CORTE di CASSAZIONE ordinanza n. 20086 depositata il 11 agosto 2017
Fatti di causa
GOB, in persona del legale rappresentante pro tempore, ricorre, su due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Calabria, ne aveva rigettato l’appello avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, rigettò il ricorso proposto avverso avviso di accertamento relativo ad IRES, IVA e IRAP dell’annualità 2000. A seguito di proposta ex art.380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituali comunicazioni. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata in quanto resa senza il preventivo invio al difensore della comunicazione dell’avviso di trattazione. Nella specie, secondo quanto allegato dalla stessa ricorrente, tale avviso era stato effettuato mediante deposito presso la Segreteria della stessa Commissione, perché il plico, spedito al vecchio indirizzo del difensore, non era stato recapitato, risultando lo stesso trasferito.
1.1. La censura è infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, ribadito, di recente, con sentenza n. 5749 del 23/03/2016: <in tema di contenzioso tributario, la regola prevista in via residuale dall’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, che consente l’effettuazione delle notificazioni e delle comunicazioni presso la segreteria della commissione, si applica non solo nei casi, espressamente menzionati di originaria carenza o inidoneità delle indicazioni fornite dalla parte, ma anche nelle ipotesi in cui, non essendo stato adempiuto l’onere di comunicare le successive variazioni, la sopravvenuta inefficacia delle predette indicazioni renda in concreto impossibile procedere alla notificazione o alla comunicazione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha ritenuto valida la comunicazione dell’avviso di trattazione effettuata presso la segreteria della commissione tributaria, non avendo la parte dato notizia dell’avvenuto trasferimento dello studio del difensore, presso cui aveva eletto domicilio)>.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art.9 della legge 289/2002 e 145 c.p.c. laddove la C.T.R. aveva ritenuto ostativo alla procedura definitoria di cui all’art.9 della legge 289/2002 la notificazione dell’avviso di accertamento per l’annualità 2000 che, però, era stata effettuata non al legale rappresentante all’epoca in cui era stato redatto il p.v.c., ma all’attuale legale rappresentante.
2.1. La censura è infondata. Premesso che, in ogni caso, all’applicabilità del condono con riguardo all’Iva osta la giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le tante Cass.20435 del 26/09/2014:<<l’art. 9 bis della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nella parte in cui consente di definire una controversia con l’Amministrazione finanziaria evitando il pagamento delle sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA, deve essere disapplicato a prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali (quale, nella specie, il carattere “chiuso” del giudizio di cassazione), essendo in contrasto con gli obblighi previsti dagli artt. 2 e 22 della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388 CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’IVA, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia nella sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, che ascrive a dette norme comunitarie portata generale. Invero, anche tale forma di condono cosiddetto clemenziale, come le ipotesi di condono premiale previste dagli artt. 7 ed 8 della menzionata legge n. 289 del 2002, è idonea a pregiudicare seriamente il funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto>>) la censura è, in ogni caso, inammissibile siccome vertente su questione che, sul silenzio sul punto della sentenza impugnata ed in assenza di qualsiasi specificazione al riguardo in ricorso, deve ritenersi nuova.
3.Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo. 4.Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente, in persona del legale rappresentante, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio che liquida in complessivi euro 6.000,00 oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del d.p.r. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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