CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2017, n. 16521
Tributi – Imposte sui redditi – Accertamento – Lavoratore dipendente – Versamenti ingiustificati dall’impresa sul proprio conto corrente bancario – Rinvenimento brogliacci presenze operai – Presunzione attività d’impresa autonoma – Evasione totale – Omessa dichiarazione reddito d’impresa
Ritenuto in fatto
A seguito di attività di verifica e di accertamenti bancari eseguiti nel 1996 nei confronti della C.L. s.r.l., emergeva che la suddetta società aveva emesso assegni in favore di D.C.; conseguentemente, la Guardia di Finanza di Busto Arsizio eseguiva una verifica anche nei confronti del C., all’esito della quale, con processo verbale di constatazione del 31 dicembre 1997, rilevava che per i periodi di imposta 1992-1993, il contribuente, pur dichiarando solo redditi di lavoro dipendente, aveva svolto attività di impresa edile in forma autonoma, con l’ausilio di personale dipendente, in totale evasione d’imposta.
Sulla base di detto p.v.c., l’Ufficio delle Imposte dirette di Busto Arsizio notificava, in data 27 agosto 1998, a D.C. due avvisi di accertamento, relativi rispettivamente agli anni di imposta 1992 e 1993, con i quali venivano recuperati a tassazione i redditi di impresa non dichiarati.
Tali avvisi venivano impugnati dal contribuente dinanzi alla C.T.P. di Varese, che, con sentenza del 12 luglio 2007, respingeva i ricorsi.
La C.T.R. della Lombardia, con sentenza del 9 aprile 2009, in accoglimento dell’appello del contribuente, annullava gli avvisi di accertamento impugnati.
Il giudice di appello rilevava che l’Agenzia delle Entrate non aveva addotto elementi probatori idonei a supportare la tesi secondo cui, negli anni di imposta in questione, il contribuente avrebbe svolto la propria attività non alle dipendenze della C.L. s.r.l., bensì come imprenditore, con alle proprie dipendenze altri lavoratori. In particolare, lo stralcio del p.v.c. prodotto non consentiva di comprendere da quali elementi indiziari (che, per poter essere idonei ai fini di una prova per presunzioni, dovevano essere plurimi, gravi ed univoci) la Guardia di Finanza e l’Ufficio accertatore avevano desunto: che gli operai il cui nominativo era inserito, come quello del contribuente, nel brogliaccio “mensile – ore di presenza” trovato in possesso del C., fossero dipendenti dello stesso, e non della C.L. s.r.l., potendo – per contro – il C. essere in realtà solo un incaricato, in quanto dipendente più anziano e/o di maggior fiducia, di annotare le presenze al lavoro; che i versamenti effettuati dalla C.L. s.r.l. sul conto corrente bancario del C. attenessero a rapporti da lui instaurati quale imprenditore edile, anziché (come pure plausibile) quale incaricato, in quanto operaio più anziano e/o persona di fiducia, di provvedere materialmente al pagamento delle retribuzioni spettanti ai suoi colleghi di lavoro.
Avverso la suddetta pronuncia, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il contribuente, che ha depositato successiva memoria.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia “violazione, ex art. 360 n. 3 cpc, dell’art. 2697 cc nonché dell’art. 39, comma 2, e dell’art. 32, comma 1, n. 2) e n. 7), del DPR 29.9.1973, n. 600”. Formula il seguente quesito di diritto: “premesso che l’Agenzia emanava due avvisi d’accertamento induttivo basati sul rinvenimento di documentazione extracontabile da cui risultava la percezione di un reddito non dichiarato da parte del contribuente oltre che sulla verifica di movimentazione bancaria (versamenti e prelievi) su conto corrente imputabile al contribuente che era incoerente con le attività dichiarate e premesso altresì che le parti controvertevano in appello se, dati per pacifici gli elementi indiziari appena riferiti, l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio fosse (il)legittimo perché fondato su presunzioni non gravi, non precise e non concordanti, comportanti l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, dica codesta Suprema Corte se alla presente fattispecie si applichi o no la norma giuridica, ricavata dall’art. 2697 cc nonché dall’art. 39, comma 2, e dall’art. 32, comma 1, n. 2) e n. 7), del DPR 29.9.1973, n. 600, secondo cui ‘nell’ipotesi di rinvenimento di documentazione extracontabile, l’Agenzia delle entrate è abilitata a servirsi del metodo induttivo ai fini dell’accertamento del reddito, anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, aventi l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria, di tal che la movimentazione di conti correnti imputabili al contribuente, costituente oltretutto, di per sé, elemento probatorio elevato dalla legge a presunzione legale relativa, rileva ai fini dell’accertamento dell’imponibile, senza necessità di ulteriori elementi di riscontro, salva la prova contraria a carico del contribuente, consistente non in una dimostrazione generica delle ragioni della movimentazione, ma nella prova analitica che ogni singola movimentazione del conto non è riferibile a qualsivoglia operazione imponibile e, comunque, è irrilevante ai fini della determinazione del reddito’, anziché la diversa e inesistente norma concretamente applicata dalla CTR, per la quale, pur in presenza di documentazione extracontabile e di movimentazione bancaria relativa a conti correnti imputabili al contribuente non riconducibile al reddito da lavoro dipendente dichiarato, resta a carico dell’Agenzia delle entrate la determinazione analitica della provenienza, della fonte e dell’esatta misura dei redditi di tale contribuente, da provarsi per presunzione mediante elementi indiziari plurimi, gravi ed univoci”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”. Formula il seguente momento di sintesi: “dica codesta Suprema Corte se sia o no contraddittoria per irragionevolezza la motivazione della sentenza della CTR in cui il giudice affermi, senza alcuna indicazione di prova al riguardo e in contrasto con quanto accade comunemente, che sia più plausibile che un datore di lavoro versi in conto corrente ad un suo dipendente tutte le retribuzioni dovute al suo personale affinché quel dipendente le redistribuisca e ripartisca tra gli altri lavoratori piuttosto che quei versamenti costituiscano il reddito non dichiarato di attività imprenditoriale autonoma svolta per quel soggetto”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”. Formula il seguente momento di sintesi: “dica codesta Suprema Corte se il giudice d’appello abbia basato su motivazione insufficiente o no la decisione di accogliere l’appello del contribuente, senza descrivere il processo logico-giuridico e cognitivo attraverso il quale il medesimo giudice si è formato il giudizio finale espresso di maggiore plausibilità della tesi giustificativa addotta dal contribuente secondo cui le somme da lui ricevute erano le retribuzioni da distribuire ad altri lavoratori del soggetto che le aveva versate e, in particolare, senza indicare quali mezzi di prova sono stati oggetto del suo giudizio né illustrare la valutazione delle risultanze di prova scaturitene e la qualificazione datane nonché l'(in)idoneità dei fatti di prova contrari forniti dall’Amministrazione”.
4. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione, sono fondati.
5. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione di inammissibilità dei motivi per l’asserita inidoneità dei quesiti formulati dalla ricorrente.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, si osserva come dalla ampia e completa formulazione del quesito di diritto ad esso correlato si evinca con chiarezza la quaestio iuris sulla quale la Corte è chiamata a pronunciarsi, incentrata sulla individuazione del soggetto sul quale grava, nella specie, l’onere probatorio; per quanto concerne gli altri due motivi, le censure mosse dal controricorrente si palesano inconferenti, avendo questi dedotto l’inidoneità dei quesiti a costituire la regula iuris da applicare in altri casi consimili, mentre, nella specie, si verte nella diversa ipotesi della formulazione di un momento di sintesi (c.d. quesito di fatto), il quale involge profili inerenti il fatto controverso in ordine al quale è prospettato il vizio motivazionale.
6. La C.T.R. ha posto a fondamento della decisione la circostanza che l’Ufficio non avesse offerto sufficienti elementi indiziari idonei a dimostrare che il contribuente D.C. non fosse solo un incaricato, in quanto dipendente più anziano e/o persona di fiducia, di annotare le presenze al lavoro e di provvedere materialmente al pagamento della retribuzione spettante ai suoi colleghi di lavoro; conseguentemente, ha ritenuto che, nella specie, non operassero le presunzioni legali correlate sia alla documentazione extracontabile rinvenuta, sia ai versamenti effettuati sul conto corrente del contribuente.
Il giudice di appello è pervenuto a tale conclusione senza adeguatamente valutare il contenuto del brogliaccio “mensile – ore di presenza” trovato in possesso del contribuente – dove erano annotate le ore di lavoro svolte da altri soggetti, oltre allo stesso D.C. -, ai fini della operatività, nella specie, della presunzione stabilita dall’art. 39, comma 2, D.P.R. 600/73.
Inoltre, la C.T.R. non ha considerato che dal dato riveniente dalle movimentazioni bancarie e, segnatamente, dagli accrediti effettuati dalla C.L. s.r.l. sul conto corrente del contribuente, derivava la presunzione legale idonea a fondare l’avviso di accertamento, salvo che il contribuente non provi che i versamenti siano registrati in contabilità (ex plurimis, Cass. civ., sez. trib., 24-07-2014, n. 16896). Nella specie, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata – secondo cui “pare pure plausibile” che i versamenti effettuati sul conto corrente del C. dalla C.L. s.r.l. attenessero a rapporti con lui instaurati quale “incaricato, in quanto operaio più anziano e/o persona ‘di fiducia’, di provvedere materialmente al pagamento della retribuzione spettante ai suoi colleghi di lavoro” – non risulta sorretta da congrua motivazione, impedendo ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito dal giudice nella formazione del proprio convincimento.
7. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.
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