Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, sezione n. 4, sentenza n. 325 depositata il 2 marzo 2023
Il provvedimento di diniego all’accesso alla voluntary disclosure è legittimo qualora l’istanza presenti profili di inammissibilità legati all’incompletezza e non veridicità della richiesta
Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Reggio Emilia propone appello avverso la sentenza n. XXX/01/2019, pronunciata l’11/12/2017 e depositata in segreteria l’11/06/2019 della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia.
I fatti originano dalla istanza di accesso alla procedura di collaborazione volontaria ai sensi della Legge 186/2014, formulata da E.F.-R. che dichiarava contestualmente di aver violato le disposizioni di cui all’articolo 4, comma 1, della Legge 167/1990 relative al monitoraggio fiscale dei capitali, per gli anni di imposta dal 2010 al 2013; a seguito della ritenuta infruttuosa interlocuzione con l’Ufficio anche per gli anni precedenti, venivano emessi gli avvisi di accertamento in contestazione per gli anni da 2007 a 2013, con i medesimi accertandosi i maggiori redditi derivanti dalle disponibilità estere detenute dal contribuente, oltre ad irrogarsi le sanzioni corrispondenti.
Il contribuente ha impugnato tutti gli avvisi di accertamento e di contestazione che, previa riunione, sono stati decisi con la sentenza impugnata della Commissione tributaria provinciale che ha annullato
integralmente tutti gli atti emessi dall’Ufficio, in sintesi, ritenendo infondato ed illegittimo il diniego dell’istanza di accesso alla collaborazione e il mancato perfezionamento della procedura comunicata con invito del 28.11.2016, con articolata motivazione.
Appella l’Ufficio formulando i seguenti motivi di doglianza:
– nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevando come i giudici di primo grado siano incorsi in un vizio di ultra-petizione, per violazione dell’art. 112 c.p.c., dal momento che il contribuente aveva formulato la propria domanda chiedendo 1) l’annullamento integrale degli avvisi di accertamento emessi per il triennio 2007/2009 e dell’atto di contestazione sanzioni emesso per il quadriennio 2005/2008, per presunta decadenza dal potere accertativo dell’Ufficio, determinata dalla non operatività del raddoppio dei termini accertativi sancito dall’art. 12 del D.L. 78/2009; 2) rideterminazione dei soli provvedimenti sanzionatori contenuti negli avvisi di accertamento emessi per il quadriennio 2010/2013 e nell’atto di contestazione sanzioni emesso per il quinquennio 2009/2013, con riconoscimento del diritto al regime sanzionatorio premiale specificamente previsto nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria. A fronte di tali domande la sentenza impugnata ha annullato in toto gli atti emessi dall’Ufficio, senza operare alcuna distinzione tra quelli per i quali è stato richiesto l’annullamento integrale e quelli per i quali è stata chiesta invece la sola rideterminazione del quantum delle sanzioni irrogate;
– erroneità nel merito della decisione sulla legittimità del provvedimento di diniego all’accesso della procedura di collaborazione volontaria sulla base di una interpretazione restrittiva e formalistica dell’articolo 5 quater del D.L. 167/1990;
– erroneità della applicazione dell’art. 12 del D.L. 78/2009 in virtù del quale la commissione di primo grado ha pronunciato l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio supponendo la non retroattività dell’art. 12 del D.L. 78/2009, di cui è stata dichiarata la natura di norma sostanziale e non procedurale.
Si costituisce e controdeduce il contribuente, riformulando gli argomenti già posti a sostegno dei ricorsi tutti e avversando i motivi di appello dell’Ufficio, sia di diritto che di merito, ribadendo la correttezza e conformità alla legge delle deduzioni contenute nella decisione impugnata, formulando altresì appello incidentale con riferimento alla decisione della sentenza impugnata di compensare le spese, chiedendo che le stesse seguano la soccombenza non potendo gravare sul contribuente (neppure in parte qua) che ha visto riconosciute le proprie ragioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è fondato e va conseguentemente riformata la decisione di primo grado, che ha evidentemente fornito un’interpretazione non corretta della normativa in materia di voluntary disclosure, ritenendo che il provvedimento di rifiuto opposto dall’Ufficio fosse infondato e illegittimo perché non rientrante nelle ipotesi previste dalla norma di cui all’articolo 5 quater del D.L. 167/1990; i soli casi in cui l’Amministrazione finanziaria avrebbe potuto emettere un provvedimento di diniego all’accesso alla procedura di collaborazione volontaria, a giudizio della Commissione di primo grado, sarebbero cioè riconducibili alle sole cause di inammissibilità previste dal suddetto articolo 5 quater del D.L. 167/1990, ossia la pregressa conoscenza del contribuente di accessi, ispezioni, verifiche o qualsiasi altra attività di accertamento amministrativo ovvero la pendenza di procedimenti penali per violazioni di norme tributarie afferenti l’ambito di applicazione della procedura di accesso volontario.
Appare invece del tutto conforme allo spirito ed alla ragione sistematica della normativa che un provvedimento di diniego possa e debba certamente essere emesso con riferimento non alla sola eventuale sussistenza di cause di inammissibilità dell’istanza – peraltro inesistenti nel caso di specie -, ma anche qualora l’istanza stessa presenti profili di inammissibilità conseguenti alla incompletezza e non veridicità della richiesta di accesso alla procedura, così come dei profili inerenti l’indicazione dei capitali e delle attività dalle quali si prende le mosse.
Appare pertanto corretto ritenere, come argomentato dall’Ufficio, che sia un obbligo di legge quello di presentare un’istanza completa e veritiera, con riferimento alla totalità degli investimenti e delle attività finanziarie estere detenute negli anni di imposta interessati dalla procedura; diversamente si consentirebbe al contribuente di scegliere discrezionalmente quali e quante attività portare allo scoperto per assoggettarle alla procedura, in evidente contrasto con la finalità dell’istituto, con riferimento alla lettera della norma (art. 5 quater, comma 1, lettera a), del D.L. 167/1990) che fa riferimento alla possibilità che il contribuente indichi tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo la relativa documentazione alla Amministrazione.
Indipendentemente dalla valutazione della Commissione di primo grado che ipotizzerebbe la disponibilità di risorse finanziarie in capo al contribuente appellato in più Paesi esteri, con possibilità di “scegliere” quali portare allo scoperto o meno, risulta che le risorse evidenziate e detenute in Svizzera sono rappresentate e portate allo scoperto con modalità incomplete e non veritiere, sulla base di precise contestazioni dell’Ufficio alle quali il contribuente non ha in alcun modo risposto; da ciò discende la legittimità del provvedimento che ha indotto l’Amministrazione a non aderire alla procedura.
Quanto all’ulteriore profilo in forza del quale la Commissione tributaria provinciale ha dedotto l’illegittimità dell’operato dell’Ufficio, la questione attiene alla retroattività o meno dell’art. 12 del D.L. 78/2009, di cui è stata dichiarata la natura di norma sostanziale e non procedurale.
Sembra che l’argomento debba essere affrontato distinguendo i profili della natura della norma (se sostanziale e quindi irretroattiva ovvero procedurale e quindi utilizzabile retroattivamente per le valutazioni dell’Ufficio) da quello attinente l’uso della presunzione semplice da parte dell’Ufficio, che legittima comunque l’accertamento qualora non contrastata da prova contraria (come nel caso di specie); in questa prospettiva è chiara la giurisprudenza di legittimità riferibile a Sez. 5 – , Sentenza n. 33893 del 19/12/2019 (Rv. 656380 – 01); in tema di accertamento tributario, sebbene la presunzione di evasione sancita dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non sia suscettibile di essere applicata retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (prevista dal 1 luglio 2009), stante la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni, l’Ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) “sub specie” di presunzione semplice. (Nella specie, il giudice di merito aveva correttamente affermato l’utilizzabilità in astratto della c.d. “lista Falciani” come elemento indiziario idoneo a integrare presunzione semplice, sebbene ne avesse escluso il valore probatorio sulla base degli ulteriori elementi di fatto acquisiti).
In questa prospettiva l’Ufficio ha correttamente utilizzato la presunzione (semplice) indipendentemente dalla disquisizione sulla natura della norma e non ha avuto, dal contribuente alcuna affermazione contraria circa la condotta di evasione fiscale, anche per le annualità precedenti al mese di luglio 2009 ed ha quindi correttamente, diversamente da quanto ritenuto dalla decisione impugnata, contestato la correttezza del ricorso alla procedura di emersione.
La complessità della materia e l’esistenza di orientamenti emersi di recente nella giurisprudenza di legittimità depone per la compensazione delle spese del grado; va pertanto rigettato, sul punto, l’appello incidentale del contribuente in relazione alla avvenuta compensazione delle spese del giudizio di primo grado, che si ritiene corretta in relazione alla motivazione della decisione della Commissione tributaria provinciale.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale di Bologna, Sezione IV, accoglie l’appello e rigetta il ricorso del contribuente, dichiarando la legittimità delle sanzioni irrogate nella misura del 5% dell’ammontare detenuto all’estero e non dichiarato.
Spese compensate nei sensi di cui in motivazione.