CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2017, n. 26584
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Illegittimità – Reintegra – Pagamento delle retribuzioni e versamento dei contributi previdenziali – Detrazione dell’aliunde perceptum – Ricorso inammissibile – Testo contraddistinto da continue commistioni tra ragioni in fatto e in diritto – Assenza di specifica e lineare ricostruzione dei fatti e delle argomentazioni giuridiche – Indicazione di numerosi documenti – Articolazione in un singolo motivo in più profili di doglianza – Non agevole qualificazione giuridica del vizio denunciato a fondamento della censura
Svolgimento del processo
M.R., responsabile della filiale di Pomezia della società T. p.a., proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11708/12, con cui venne respinta la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla T. s.p.a. il 10.2.09 per giustificato motivo oggettivo, con le richieste conseguenze ex art. 18 L. n. 300\70, oltre al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti.
Con sentenza depositata il 15.4.15, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame dichiarando l’illegittimità del licenziamento, ritenuto discriminatorio, ed ordinando la reintegra del R. nel suo posto di lavoro.
Condannava la società al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento sino all’effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali, detratto l’aliunde perceptum (quanto percepito negli anni 2010-2011 dalle società S.G. e O.); rigettava ogni altra domanda.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società T., affidato ad unico motivo. Resiste il R. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza.
1.-La ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1345, 2697, 2729 c.c., oltre ai principi generali in tema di discriminazione.
Lamenta che la sentenza impugnata ritenne il licenziamento discriminatorio, laddove esso venne censurato come ritorsivo, licenziamento non assistito dalla tutela reale di cui all’art. 18 ante riforma. Che comunque la discriminazione doveva basarsi su di un motivo illecito determinante, non dimostrato dal lavoratore e solo adombrato dalla sentenza impugnata. Che era pacifico che la società aveva deciso, stanti le difficili congiunture di mercato, di riorganizzare la filiale di Pomezia, a cui capo era preposto il R., in semplice “sportello” che non necessitava di responsabile. Era dunque errata la considerazione (di carattere decisivo per il giudice d’appello) secondo cui se l’azienda avesse atteso pochi mesi nel licenziare il R., questi sarebbe potuto rientrare nella successiva procedura di riduzione del personale (marzo 2009), essendo stata eliminata a filiale (e dunque il suo responsabile) e riguardando infatti la procedura ex lege n. 223\91 solo i vari addetti alla ex filiale, ridotta poi (in tesi) in sportello.
Il motivo è inammissibile.
L’attuale ricorso, contenente unico motivo affidato a 103 pagine contraddistinte da continue commistioni tra ragioni in fatto ed in diritto ed in cui sono inseriti numerosi documenti (sia processuali, sia attinenti al merito; oltre a verbali, comunicazioni varie, schede inerenti l’organizzazione aziendale, tabelle, etc.) senza una specifica e lineare ricostruzione dei fatti ed indicazione dei documenti posti a fondamento dell’impugnazione (art. 366 c.p.c.), contravviene al principio per cui il ricorso per cassazione deve consentire alla Corte di procedere agevolmente alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura (Cass. 3.8.2012 n.14026), avendo tale ricorso ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., e dovendo essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (Cass. sez. un. 24.7.2013 n. 17931). Deve dunque rilevarsi che l’odierno ricorso contravviene alla finalità primaria della prescrizione di rito (art. 366 c.p.c.), che è quella di rendere agevole la comprensione della questione controversa, e dei profili di censura formulati, in immediato coordinamento con il contenuto della sentenza impugnata (Cass. ord. n.18020\13), sovrapponendo frequentemente considerazioni in diritto di carattere generale, e non del tutto pertinenti rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, con censure in fatto (id est sulla ricostruzione dei fatti da parte del giudice di merito), accompagnate dalla riproduzione fotografica di atti dei precedenti gradi di giudizio e copiosa documentazione aziendale, di cui non è chiarito se, in qual modo e quando (cfr. Cass. n.7149\2015, Cass. n. 23675\2013), essa venne ritualmente sottoposta al giudice del gravame.
In sostanza l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. ord. n. 7009\17). Deve peraltro considerarsi che la riproduzione fotografiche di numerosi documenti e schede di origine aziendale in ricorso, senza una adeguata loro esplicitazione argomentativa, finisce per affidare alla Corte la selezione delle parti rilevanti di essi e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716)
2.- Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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