CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 gennaio 2017, n. 507
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Dichiarazione di fallimento – Sospensione ex art. 20, della Legge n. 44 del 1999 – Normativa antiusura – Inapplicabilità alle procedure prefallimentari
Fatti di causa
La F. sas ha proposto reclamo avverso la sentenza che aveva dichiarato il fallimento proprio e dei soci accomandatari, lamentando che il tribunale non aveva sospeso la procedura concorsuale per trecento giorni, come previsto dall’art. 20 della legge 23 febbraio 1999, n. 44, a favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza 30 novembre 2012, rigettando il reclamo, ha ritenuto che la menzionata disposizione, pur applicandosi ai processi esecutivi di tipo collettivo come il fallimento, non lo è nelle procedure prefallimentari, le quali hanno natura cognitiva e non esecutiva; inoltre, per applicare la proroga prevista dalla citata legge alle procedure prefallimentari, ha affermato la necessità di contemperare le esigenze di tutela della vittima dell’usura con i diritti dei creditori, i quali, nella specie, erano professionisti che richiedevano il pagamento del compenso per l’attività prestata a favore della società, ai quali non era addebitabile alcun delitto di usura o estorsione.
Avverso questa sentenza la F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi; la Curatela del Fallimento e i soci non hanno svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso la F. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 20, comma, 4, della legge n. 44/1999, per avere la sentenza impugnata ritenuto inapplicabile la sospensione dei termini prevista dalla normativa antiusura, omettendo di considerare che essa dovrebbe intervenire prima della sentenza di fallimento.
Il secondo motivo, in relazione al parametro normativo suindicato, lamenta la irragionevolezza della ritenuta inapplicabilità della sospensione alla fase prefallimentare, invocandosi una interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 20, comma, 4, tenuto conto che la sentenza di fallimento spoglia il debitore dei suoi beni, come da interpretazione “autentica” del commissario antiracket.
I motivi in esame, da esaminare congiuntamente, sono manifestamente infondati, avendo la sentenza impugnata deciso in conformità alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la procedura prefallimentare non ha natura esecutiva, ma cognitiva, in quanto, prima della dichiarazione di fallimento, non può dirsi iniziata l’esecuzione collettiva, così come, prima del pignoramento, non può dirsi iniziata l’esecuzione individuale; ne consegue che il procedimento per la dichiarazione di fallimento non è soggetto alla sospensione dei procedimenti esecutivi contemplata dall’art. 20, comma 4, della legge n. 44 del 1999 in favore delle vittime di richieste estorsive e dell’usura (v. Cass. n. 8432 del 2012, 6309 del 2014, 10172 del 2016).
Il terzo motivo, che lamenta l’erronea considerazione del fatto che i creditori istanti erano professionisti e non usurai, è assorbito.
Il ricorso è rigettato, senza necessità di provvedere sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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