CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 aprile 2017, n. 10158
Collaborazione coordinata e continuativa – Mansioni di redattore – Subordinazione nell’attività giornalistica – Compensi percepiti – Differenze retributive
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1063/2014, depositata il 15/9/2014, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina, condannava la D.S.E. S.p.A. al pagamento, in favore di G.L.R., della minor somma di euro 172.497,11 oltre accessori, a titolo di differenze retributive, ritenuti estinti per intervenuta prescrizione i crediti maturati in epoca anteriore al 14/1/2000; confermava, invece, la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’espletamento, da parte del ricorrente, già operante per il quotidiano “La Sicilia” in regime di collaborazione coordinata e continuativa, di mansioni di redattore.
La Corte di appello, in particolare, osservava, a sostegno della propria decisione, che erano presenti nella specie gli indici cui la giurisprudenza riconnette la subordinazione nell’attività giornalistica, avuto riguardo alle testimonianze assunte; richiamato, quindi, l’indirizzo, per il quale il lavoro giornalistico prestato in carenza di iscrizione, pur nella nullità del rapporto, dà diritto ad una retribuzione adeguata ai parametri di cui all’art. 36 Cost., applicava il trattamento spettante alla figura di redattore ordinario, compresa l’indennità redazionale in quanto connessa con le mansioni proprie di tale figura.
Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con due motivi, assistiti da memoria; il L.R. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, deducendo la violazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., nonché dell’art. 116 c.p.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la sussistenza della subordinazione, senza peraltro che la prova dei relativi requisiti fosse stata fornita dal lavoratore.
Con il secondo motivo, deducendo la violazione dell’art. 36 della Costituzione e degli artt. 2099 e 2126 c.c., la ricorrente si duole che la Corte di appello, anziché procedere ad un adeguamento dei compensi percepiti, ne abbia disposto la completa equiparazione alla retribuzione prevista dal CCIML Giornalisti per la figura del redattore ordinario, ivi compresa anche l’indennità redazionale.
Il primo motivo è inammissibile.
Al riguardo, si richiama il principio di diritto, secondo cui la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in cassazione (Cass. 14160/2014; conforme, fra le altre, Cass. n. 16681/2007).
Nella specie, la ricorrente ha, invece, di fatto proposto, al di là della formulazione della rubrica, una diversa lettura del materiale probatorio, senza formulare alcuna censura nei confronti dei criteri di qualificazione del rapporto fatti propri dal giudice di merito, il quale, d’altra parte, si è attenuto a consolidati orientamenti di legittimità in tema di lavoro giornalistico (cfr. Cass. n. 5693/1998 e successive conformi) e di presupposti per il riconoscimento della figura di redattore (cfr. Cass. n. 3272/1998 e successive conformi), richiamando altresì, e del tutto correttamente, oltre alla continuità della prestazione lavorativa, gli indici specifici del pieno inserimento nell’attività redazionale, dell’utilizzazione secondo specifiche esigenze della società editrice, della disponibilità di strumenti di lavoro dalla stessa forniti, della cura di particolari settori di informazione e di rubriche fisse, dell’assoggettamento al potere di decisione e al controllo del capo servizio.
Il secondo motivo è infondato.
Come più volte precisato da questa Corte, “per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria la iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti. Ne consegue che il contratto giornalistico concluso con un redattore non iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, detta nullità non produce effetti ex art. 2126 cod. civ. e il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice di merito” (Cass. n. 23638/2010; conforme, fra le altre, Cass. 4941/2004).
Nella specie, la Corte territoriale, nel confermare la decisione del giudice di primo grado, ha considerato che il pieno svolgimento, da parte del L.R., delle mansioni di redattore ordinario giustificasse, ai sensi dell’art. 36 della Costituzione, l’adozione di un parametro remunerativo in tutto corrispondente alle previsioni per tale figura del CCNL Giornalisti, compiendo, pertanto, anche in relazione alla cosiddetta “indennità redazionale”, ritenuta “intrinsecamente connessa” con le suddette mansioni, un adeguato, e comunque non impugnato, accertamento di fatto.
Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 6.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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