CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 gennaio 2018, n. 1769
Cessione ramo d’azienda – Rapporto di lavoro – Cessione del contratto – Fallimento – Differenze retributive
Fatti di causa
Con sentenza 23 maggio 2012, la Corte d’appello di Milano accertava la sussistenza senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro di G. P. e A. F. con A. s.p.a., che condannava al relativo ripristino: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva rigettato le domande dei due lavoratori di nullità, inefficacia o illegittimità della propria assegnazione al ramo d’azienda “linea Gl” e quella della cessione del preteso relativo ramo d’azienda e comunque del proprio contratto di lavoro dalla predetta società a M. Service s.r.l., con accertamento della sussistenza senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro con la prima e sua condanna al relativo ripristino.
A motivo della decisione, la Corte territoriale disattendeva in via preliminare l’eccezione di improcedibilità delle domande dei lavoratori in quanto attratte al foro concorsuale per la dichiarazione di fallimento della cessionaria M. Service s.r.l. nelle more del giudizio di impugnazione, interrotto e tempestivamente riassunto nei confronti della curatela fallimentare, ritenendo la cognizione del giudice del lavoro per l’oggetto delle domande suindicate non strumentale ad una pretesa economica nei confronti della procedura, né incidente sul patrimonio destinato ai creditori.
Nel merito, essa escludeva nell’operazione la configurabilità di una cessione di ramo d’azienda, in difetto del requisito di preesistenza (presupposto necessario anche a norma del novellato testo dell’art. 2112, quinto comma, ult. parte c.c.) per la discontinuità della sua attività presso la cessionaria, neppure essendo stata trasferita l’intera “linea Gl”: con la conseguenza del ripristino, senza soluzione di continuità, del rapporto di lavoro con la cedente dei due lavoratori, in assenza di loro consenso alla cessione del contratto di lavoro alla società poi fallita.
Con atto notificato il 21 e 22 novembre 2012, A. s.p.a. ricorreva per cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resistevano G. P. e A. F. con controricorso; non svolgeva invece difese la curatela del Fallimento M. Service s.r.l., pure intimata.
La ricorrente rinunciava quindi all’azione nei confronti del solo G. P..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24 I. fall., 409 e 433 c.p.c., per improcedibilità delle domande per incidenza degli effetti della nullità della cessione di ramo d’azienda e del ripristino del rapporto di lavoro con la cedente sul patrimonio del fallimento della cessionaria, al cui stato passivo in particolare erano stati ammessi crediti dei due lavoratori a titolo di differenze retributive, indennità di mancato preavviso e T.f.r. maturato, suscettibili di venir meno.
2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c., per la mancata indicazione delle ragioni di esclusione delle istanze istruttorie dedotte e degli elementi di formazione del convincimento decisorio.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di nullità della cessione del ramo d’azienda.
4. Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c., 2112 e 1406 c.c., per esclusione della nullità della cessione del ramo d’azienda in difetto del requisito di preesistenza, in quanto non più necessario a norma del novellato testo dell’art. 2112, quinto comma, ult. parte c.c. e in presenza di una lieve modificazione dell’attività dei lavoratori con esso trasferiti.
5. Con il quinto, la ricorrente deduce vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sui fatti controversi e decisivi della preesistenza e non alterazione della “Linea Gl” trasferita nella sua residua consistenza e della piena adeguatezza del know how ceduto, consistente in un insieme di conoscenze generali, anche non specialistiche, coerente con il bagaglio professionale di informatori medico-scientifici quali i lavoratori del ramo d’azienda ceduto.
6. In via preliminare, nella verificata sussistenza dei requisiti prescritti dall’art. 390 c.p.c. alla luce della documentata notificazione telematica della rinuncia di A. s.p.a. al ricorso nei soli confronti di G. P. con regolazione tra le stesse parti delle spese del giudizio in esito al verbale di conciliazione sindacale in data 30 aprile 2013, deve essere dichiarata l’estinzione del processo, senza alcun provvedimento sulle spese, dato semplicemente atto della volontà negoziale delle parti.
7. Nel merito, il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 24 I. fall., 409 e 433 c.p.c. per improcedibilità delle domande incidenti sul patrimonio fallimentare della cessionaria, è infondato.
7.1. Premessa l’esatta impostazione della questione in termini, non già di competenza in funzione della vis attractiva del foro fallimentare, ai sensi dell’art. 24 I. fall, (non derivando comunque l’azione dal fallimento), ma piuttosto in termini di rito, a norma degli artt. 52, 92 ss. I. fall. (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20131), è corretta l’esclusione della devoluzione cognitoria al giudice fallimentare delle domande in questione.
7.2. Al riguardo, appare opportuno chiarire come il discrimen tra le due sfere di cognizione sia ravvisabile nell’individuazione delle rispettive speciali prerogative: del giudice del lavoro, quale giudice del rapporto e pertanto delle controversie aventi ad oggetto lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, miranti a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro), in quanto appartenenti alla cognizione speciale propria di tale giudice (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975); del giudice fallimentare, quale giudice del concorso, nel senso dell’accertamento e della qualificazione dei diritti di credito dipendenti da rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso (anche eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale: Cass. 20 agosto 2013, n. 19271) e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, a norma dell’art. 96, ult. comma I. fall., ovvero destinate comunque ad incidere sulla procedura concorsuale e che pertanto devono essere esaminate nell’ambito di quest’ultima per assicurarne l’unità e per garantire la parità tra i creditori.
7.3. In esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto nell’interpretazione delle domande dei lavoratori (di accertamento di nullità, inefficacia o illegittimità della loro assegnazione all’ipotizzato ramo d’azienda “Linea Gl”; con conseguente accertamento “nei confronti” dei predetti di nullità, inefficacia o illegittimità della cessione del preteso ramo d’azienda e comunque della cessione del contratto di lavoro; e “per l’effetto” di accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro con la società cedente, di condanna al suo ripristino con determinazione delle modalità per la sua effettiva reintegrazione), la Corte territoriale ha ritenuto la domanda “strumentale soltanto all’accertamento della continuità del rapporto di lavoro degli appellanti con la società cedente e alla condanna della stessa al ripristino del rapporto”, sicché “l’accertamento richiesto non costituisce … premessa di una pretesa economica nei confronti della massa fallimentare”, “neppure” potendo “ritenersi che la statuizione richiesta sia destinata a ripercuotersi sul riassetto delle componenti patrimoniali accertate nell’ambito della procedura concorsualederivandone “l’unico effetto del “ritorno dei due appellanti alle dipendenze di A. e non anche il rientro degli altri beni strumentali ceduti” (così dal quartultimo al penultimo capoverso di pg. 5 della sentenza). Ed essa accertava coerentemente, in dispositivo, la sola “sussistenza senza soluzione di continuità del rapporto di lavoro tra il P. ed il F. e la società A. s.p.a. con condanna di quest’ultima al ripristino del rapporto”.
7.4. Bene pertanto è stata dalla Corte meneghina qualificata la domanda e la sua portata in esito ad un accertamento in fatto, che, come noto, è insindacabile in sede di legittimità qualora, come appunto nel caso di specie, sia sorretto da una motivazione congrua ed esente da vizi logici né giuridici (Cass. 20 agosto 2002, n. 12259; Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932).
Né, per la ragione illustrata, la pronuncia si pone in contrasto con precedente di questa Corte, secondo cui la domanda relativa all’accertamento della nullità o della simulazione delle cessioni d’azienda sarebbe attratta al foro fallimentare, per l’incidenza degli effetti di giudicato del suo accoglimento “nei confronti di tutte le parti”, con inevitabile ripercussione sul riassetto delle componenti patrimoniali accertate nell’ambito della procedura concorsuale (Cass. 9 ottobre 2006, n. 21634).
7.5. Infine, appare irrilevante, per la genericità dell’allegazione e la violazione del principio di autosufficienza in assenza di trascrizione né di produzione della documentazione relativa, il riferimento alle conseguenze sullo stato passivo accertato nel fallimento della cessionaria (al quarto capoverso di pg. 14 del ricorso), che la Corte non è in grado di valutare, anche a fronte della prospettata limitazione dei crediti ammessi in relazione alle prestazioni in suo favore effettivamente svolte, a norma dell’art. 2126 c.c. (al primo capoverso di pg. 2 del controricorso).
8. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116 c.p.c. per la mancata indicazione delle ragioni di formazione del convincimento decisorio, è inammissibile.
8.1. Non si configura, infatti, la denunciata violazione di norme di diritto, siccome non integrata dagli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984).
8.2. In particolare, ciò deve essere escluso per la violazione dell’art. 2697 c.c., ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 5 dicembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107). E parimenti per gli artt. 115 e 116 c.p.c., non configurandosi una loro violazione per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000).
8.3. Sicché, in realtà, il motivo consiste nella mera contestazione della valutazione probatoria del giudice di merito, cui solo spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così libera prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (Cass. 10 giugno 2014, n. 13054; Cass. 27 gennaio 2015, n. 1547): secondo un esercizio insindacabile dal giudice di legittimità, al quale spetta solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito (nel caso di specie con puntuale indicazione degli elementi di formazione del convincimento decisionale: al primo periodo e primo capoverso di pg. 6, al terzultimo capoverso di pg. 7, al sesto e agli ultimi quattro di pg. 8 della sentenza), non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).
9. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda di nullità della cessione del ramo d’azienda, è infondato.
9.1. Neppure ricorre la denunciata omessa pronuncia, posto che nel caso di specie non difetta, per le ragioni illustrate in riferimento al primo mezzo, una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richieda una pronuncia di accoglimento o di rigetto: sicché, il vizio deve essere escluso in relazione a una questione esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza, quindi suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio, se riprospettata con specifica censura (Cass. 19 marzo 2004, n. 5562; Cass. 20 febbraio 2015, n. 3417; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1360).
10. Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c., 2112 e 1406 c.c. per esclusione della nullità della cessione del ramo d’azienda in difetto del requisito di preesistenza e in presenza di una lieve modificazione dell’attività dei lavoratori) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il quinto (vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sui fatti controversi e decisivi di preesistenza e non alterazione della trasferita “Linea Gl” nella sua residua consistenza e di piena adeguatezza del know how ceduto).
10.1. Essi sono infondati.
10.2. Deve essere ribadito, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, come, ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 d.lg. 276/2003, costituisca elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente (Cass. 31 maggio 2016, n. 11247). Sicché, non si configura un ramo d’azienda suscettibile di cessione, in difetto di preesistenza di una realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, ma qualora sia stata creata ad hoc una struttura produttiva in occasione del trasferimento, o come tale identificata dalle parti del negozio traslativo. Né, come anticipato, la nozione giuridica è stata mutata dalla richiamata novellazione dell’art. 2112 c.c. ad opera dell’art. 32 d.lg. cit., dovendosi per ramo d’azienda intendere ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità (come del resto previsto dalla prima parte dell’art. 32, prima parte d.lg. cit.), sul presupposto di una preesistenza, potendo conservarsi solo qualcosa che già esista: essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (Cass. 26 luglio 2016, n. 15438; Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901; Cass. 15 aprile 2014 n. 8757; Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711; Cass. 8 giugno 2009 n. 13171; Cass. 9 ottobre 2009 n. 21481).
Né la correttezza di una tale interpretazione appare inficiata da un supposto contrasto con la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia (in causa C-458, Amatori e altri), come prospettato dalla ricorrente nella memoria comunicata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., per le ragioni, qui richiamate, già espresse da questa Corte (Cass. 28 settembre 2015, n. 19141; Cass. 12 agosto 2014 n. 17901).
10.3. Neppure, infine, ricorrono i presupposti di configurazione di un ramo di azienda per il trasferimento di un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (Cass. 6 giugno 2007, n. 13270; Corte Giustizia UE 6 settembre 2011, causa C- 108/10, da n. 42 a n. 51). E ciò in esito all’accettata insussistenza del trasferimento di un know how individuabile in una particolare specializzazione del personale trasferito (anzi esclusa), anche tenuto conto della solo marginale cessione della rete degli informatori medico – scientifici della linea Gl, e non già dell’intera organizzazione (ancora recentemente valorizzata, ai fini della sussistenza di un trasferimento d’azienda ai sensi della Direttiva 2001/23 in un settore in cui l’attività sia fondata essenzialmente sulla mano d’opera, la necessità che la parte più rilevante del suo personale sia rilevata dal presunto cessionario, per la conservazione dell’identità di un’entità economica, da: Corte Giust. UE 19 ottobre 2017, Securitas, in causa C-200/16, n. 29), per le argomentate e puntuali ragioni esposte (in particolare: dal quart’ultimo capoverso di pg. 7 al quinto di pg. 8 della sentenza).
10.4. Deve parimenti essere esclusa un’omessa motivazione, per la sua evidente ricorrenza e così pure una sua insufficienza, sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo abbia condotto alla formazione del proprio convincimento; e così anche una contraddittorietà di motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma n.5 c.p.c., che presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, ossia l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Né il vizio di motivazione può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. s.u. 21 dicembre 2009, n. 26825).
10.5. Sicché, quest’ultimo vizio si risolve in una critica del ragionamento decisorio, sotto il principale profilo valutativo degli elementi probatori acquisiti, ridondante in una sollecitazione alla rivisitazione, in contrapposizione con la ricostruzione giudiziale, del merito decisorio, non consentita in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato congruamente argomentata (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 7 all’ultimo di pg. 8 della sentenza), con indicazione delle fonti di prova a fondamento della decisione, nella spettanza esclusiva del giudice di merito.
11. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso nei confronti di A. F., con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza; senza alcun provvedimento sulle spese nei confronti della curatela fallimentare, cui il ricorso è stato notificato a titolo di mera denuntiatio litis e che comunque non ha svolto difese.
P.Q.M.
Dichiara estinto il processo nei confronti di G. P.; rigetta il ricorso nei confronti di A. F. e condanna A. s.p.a. alla rifusione, in favore del predetto, delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.