CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 giugno 2021, n. 18117
Tributi – Riscossione – Cessione di ramo d’azienda – Garanzia del credito erariale – Patrimonio aziendale ceduto – Responsabilità solidale del cessionario per i debiti tributari del cedente – Limiti
Rilevato che
1. La società T. S.r.l. acquistava il ramo di azienda della T.C. s.n.c. 11 agosto 2006, con atto sottoscritto da V.P., ex socio e legale rappresentante della cedente. Il concessionario per la riscossione notificava alla contribuente T. (cessionaria di ramo d’azienda) la cartella di pagamento per l’importo di euro 400.152,01, “quale responsabile in solido per effetto della cessione del ramo d’azienda del 1 agosto 2006, ai sensi dell’articolo 14, commi 1 e 2, del d.l. 18 dicembre 1997 n. 472, come da tributi evidenziati nell’estratto di ruolo allegato”.
2. La Commissione tributaria provinciale di Verona (sentenza n. 14/2/2011) accoglieva in parte il ricorso della contribuente evidenziando, tra l’altro, che vi era stato il rispetto dei termini, in quanto la cessione del ramo di azienda era avvenuta nel 2006 e l’anno in accertamento era del 2004 e vi era stato il tentativo di escussione sul patrimonio della società cedente. La cessionaria non aveva utilizzato lo strumento di cui al terzo comma dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, che consentiva di richiedere all’Agenzia delle entrate una peculiare certificazione. Tuttavia, il ricorso veniva accolto per gli importi dovuti in relazione alla dichiarazione condonistica ex lege 289 del 2002 presentata dalla cedente, in quanto gli importi in essa indicati si riferivano a violazioni intervenute negli anni dal 1997 al 2002, quindi fuori dal limite triennale di cui all’articolo 14 suddetto.
3. La Commissione tributaria regionale del Veneto rigettava l’appello principale della contribuente e accoglieva l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, rilevando che non vi era stata decadenza dal potere impositivo, in quanto la cartella di pagamento era stata notificata nei termini al debitore principale ai sensi dell’articolo 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, che consentiva in via alternativa la notifica della cartella al debitore oppure a coobbligato. Inoltre, aggiungeva che le imposte e le sanzioni riportate nella cartella, comprese quelle relative all’adesione alle definizioni di cui alla legge n. 289 del 2002, risultavano “addebitate” nel rispetto dei termini di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997.
Equitalia Nomos s.p.a., poi, aveva tentato il recupero del credito con redazione del verbale di irreperibilità non essendo stati rinvenuti beni presso la sede dell’azienda cedente. Peraltro, era legittima anche la ripresa fiscale relativa all’adesione alla definizione agevolata di cui alla legge 289 del 2002, in quanto tali somme derivavano proprio dalla presentazione della domanda di adesione avvenuta nell’anno 2004, pur se trattavasi di debiti anteriori a tale data. Il contribuente, d’altra parte, aveva la possibilità di conoscere preventivamente le eventuali pretese del fisco, in quanto l’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 concede al cessionario di azienda la possibilità di “cautelarsi” e di conoscere l’ammontare di eventuali debiti tributari al momento del trasferimento di azienda, richiedendo all’Amministrazione finanziaria il rilascio del certificato dei “carichi pendenti”, dal quale risultavano le contestazioni in corso e quelle definite per le quali i debiti non erano stati soddisfatti. Dai documenti emergeva anche che la cessione era stata effettuata dal P., non in proprio, ma nella qualità di legale rappresentante della T.C. s.n.c., che era stata sciolta, senza essere messa in liquidazione, con la cancellazione della società dal registro delle imprese quasi un anno dopo l’avvenuta cessione del ramo d’azienda, e più precisamente in data 15 maggio 2007.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società contribuente.
5. Resistono con controricorso sia l’Agenzia delle entrate che Equitalia Nord S.p.A.
Considerato che
1. Con il primo motivo di impugnazione la contribuente T. s.r.I., cessionaria del ramo d’azienda, deduce la “violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione alla dedotta violazione dell’articolo 14, commi primo e secondo, del d.lgs. n. 472 del 1997, per illegittimità della pretesa per mancanza dei presupposti per far valere la responsabilità solidale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”, in quanto, ai sensi del secondo comma dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, l’obbligazione della società cessionaria è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, “dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria”. Tuttavia, la cartella di pagamento notificata alla cessionaria ricomprendeva la somma di euro 162.914,50, derivante dal ruolo n. 2008/450052, reso esecutivo il 28 dicembre 2007, con comunicazione del 27 marzo 2007, relativo a somme dovute a seguito del controllo automatizzato di cui all’articolo 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, su dichiarazione modello 770S/2005 per il periodo d’imposta 2004, “dichiarazione corretta in data 6 agosto 2007; oltre alla somma di euro 118.061,29, derivante dal ruolo n. 2008/450052, reso esecutivo il 28 dicembre 2007, con comunicazione del 27 marzo 2007, relativo a somme dovute a seguito di controllo automatizzato di quell’articolo 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, su dichiarazione modello Unico/2005 per il periodo d’imposta 2004, “dichiarazione corretta in data 16 ottobre 2007”. Pertanto, poiché il controllo automatizzato era avvenuto soltanto nel 2007, mancava il presupposto, fissato dal secondo comma dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, costituito dalla circostanza che il debito doveva risultare “dagli atti degli uffici dell’amministratore finanziaria”, “alla data del trasferimento”. Il debito di imposta, relativo al ruolo 2008/450052 non risultava, però, da alcun atto dell’Ufficio alla data del trasferimento del ramo d’azienda, avvenuto l’1. agosto 2006. Tutti gli atti dai quali risultava il debito erano, infatti, di data successiva. Nessuna obbligazione, dunque, poteva farsi valere nei confronti della società cessionaria del ramo d’azienda. Il giudice di prime cure, sul motivo di ricorso, aveva risposto che i debiti d’imposta comunque rilevabili erano quelli derivanti dalle dichiarazioni rese dalla società T.C.. Il giudice d’appello, a fronte di uno specifico motivo di impugnazione, non aveva adottato alcuna decisione.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione dell’articolo 14, commi primo e secondo, del d.lgs. n. 472 del 1997, per illegittimità della pretesa per mancanza dei presupposti per far valere la responsabilità solidale, in relazione all’articolo 360, comma primo, n. 3, c.p.c.”, in quanto, ove dovesse ritenersi che il contenuto della sentenza impugnata abbia sostanzialmente deciso anche sulla doglianza relativa all’insussistenza del presupposto di quell’articolo 14, comma secondo, del d.lgs. n. 472 del 1997, dovrebbe ritenersi che giudici abbiano però errato nell’interpretazione ed applicazione della relativa disposizione. Infatti, le correzioni adottate con l’articolo 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 sono tutte successive alla cessione del ramo di azienda.
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la “violazione dell’articolo 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alla dedotta insussistenza dei presupposti di quell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 per far valere la responsabilità solidale della ricorrente, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c.”, in quanto, qualora dovesse ritenersi che il contenuto della sentenza impugnata abbia statuito anche sulla doglianza contenuta nel motivo d’appello volto a rilevare insussistenza del presupposto dell’articolo 14, comma secondo, del d.lgs. n. 472 del 1997, deve ritenersi che giudici abbiano omesso ogni motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Costituisce, infatti, fatto controverso e decisivo la circostanza di fatto se il debito di imposta, relativo al ruolo 2008/450052, risultasse o meno dai dati dell’Ufficio alla data del trasferimento del ramo d’azienda, avvenuto l’1 agosto 2006, che in alcun modo risulta aver formato oggetto di considerazione nella motivazione della sentenza impugnata.
3.1. I motivi primo secondo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
3.2. Invero, l’articolo 14, primo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997, (cessione di azienda), dispone che “il cessionario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore “. Al secondo comma, si dispone che “l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza”.
Il terzo comma, poi, prevede che “gli uffici e gli enti indicati nel comma 2 sono tenuti a rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta”.
Il quarto comma dell’art. 14 suddetto cesella la fattispecie della cessione di azienda realizzata in frode ai creditori, con la previsione per cui “la responsabilità del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo qualora la cessione sia stata attuata in frode dei creditori tributari, ancorché essa sia avvenuta con trasferimento frazionato di singoli beni”.
Al quinto comma dell’art. 14 si rinviene la presunzione iuris tantum di frode, “quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante”.
3.3. La ratio della norma e quella di impedire che l’Amministrazione perda la garanzia del proprio credito fiscale, rappresentata dal patrimonio aziendale ceduto.
È stata, quindi, introdotta già dall’art. 19 della legge n. 4 del 1929 e, poi, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 3, comma 133, della legge delega n. 662 del 1996, una forma di responsabilità solidale, dipendente, successiva, da parte del cessionario d’azienda o del ramo d’azienda.
3.4. Analoga previsione è, del resto, presente nell’articolo 2560 c.c. per il quale “l’alienante non è liberato dei debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori alla trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito”, aggiungendo al secondo comma che “nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dei libri contabili obbligatori”. Si tratta, dunque, di un accollo ex lege, inderogabile dalle parti, in quanto accordo posto a tutela dei terzi.
Tale norma differisce da quella fiscale sia perché fa espresso riferimento all’azienda commerciale, sia perché la responsabilità solidale dell’acquirente riguarda esclusivamente i debiti dell’azienda che risultino dai libri contabili obbligatori.
Questa norma può essere utilizzata anche dalla Amministrazione finanziaria, in alternativa a quella specifica di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997.
Sono stati previsti, ovviamente, dei limiti di responsabilità del cessionario, che risponde per un fatto che è indice di capacità contributiva del cedente.
3.4. In relazione alla perimetrazione dei limiti di responsabilità del cessionario questa Corte (Cass., sez. 5, 14 marzo 2014, n. 5979; Cass., sez. 5, 29 dicembre 2020, n. 29722) ha ritenuto che, in tema di riscossione dei tributi, l’art. 14 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, introducendo misure antielusive a tutela dei crediti tributari, è norma speciale rispetto all’art. 2560, secondo comma, cod. civ., diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico. Ne consegue che, nell’ipotesi di cessione conforme a legge (commi primo, secondo e terzo) ed in base ad un criterio incentivante volto a premiare la diligenza nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con “beneficium excussionis”, ed è limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi); qualora, invece, si tratti di cessione in frode al fisco, la medesima responsabilità è presunta “iuris tantum” “quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una violazione penalmente rilevante”, senza che si applichino le limitazioni stabilite dai primi tre commi della norma.
In particolare, si è evidenziato che, in linea generale, la mera adozione di atti di iniziativa del procedimento di accertamento impositivo (autorizzazioni degli uffici), cui seguono attività di indagine, acquisizione di documenti, ispezioni documentali, cessione locali, “controllo delle dichiarazioni”, invio di questionari, non è ex se sufficiente ad individuare un debito per sanzione o d’imposta, se tali attività non si concludano con la “constatazione” del presupposto impositivo, ed in particolare con un apposito processo verbale che viene definito di “constatazione” (pvc).
Tuttavia, viene esaltata la “specialità” dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, e la sua specifica caratteristica antielusiva, sicché si è ritenuto di estendere al cessionario la responsabilità solidale per il debito del cedente, relativo a violazione “commessa ” nel triennio, ma accertata in esito al procedimento definito soltanto in data successiva al trasferimento d’azienda, proprio come verificatosi nel caso in esame.
Pertanto, il contribuente, per evitare di incorrere in responsabilità per debiti di imposta relativi al triennio anteriore alla data di stipula della cessione di azienda, deve chiedere agli uffici dell’Amministrazione finanziaria ed agli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza un “certificato” sull’esistenza di “contestazioni in corso” e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Infatti, ove venga rilasciato tale certificato di assenza di contestazioni in corso o di contestazioni “già definite” ne scaturisce un “pieno effetto liberatorio” del cessionario. Allo stesso modo, il cessionario è liberato dalla debitoria in caso di silenzio-assenso alla “liberatoria”, ove gli Uffici non rilascino tale certificazione entro 40 giorni dalla richiesta.
Se, invece il cessionario non ottempera a tale diligente condotta ne deriva una sorta di “responsabilità oggettiva”, “in bianco”, dello stesso cessionario, con riferimento a tutti i debiti fiscali del cedente relativi al “triennio” anteriore alla cessione, anche se al momento della cessione ancora incerti nell’an, ancorandosi tale responsabilità proprio alla condotta omissiva del contribuente. In tal modo, l’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, al fine di evitare eventuali elusioni fiscali, accolla sul cessionario, che non si adoperi per richiedere agli uffici finanziari la certificazione necessaria in ordine alla debitoria del cedente nell’ultimo triennio anteriore alla cessione, il rischio di rispondere per l’eventuale maggiore debito fiscale, anche se occultato dal cedente o “non ancora accertato dalla amministrazione al tempo della cessione”.
Pertanto, per questa Corte l’ipotesi del primo comma dell’articolo 14 (imposta e sanzioni riferibili a violazioni “commesse” nel triennio) è del tutto autonoma e svincolata rispetto a quella del secondo comma, che, invece, limita la responsabilità solidale cessionario soltanto “al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza”.
Il comma secondo va, dunque, letto in stretta connessione con il comma terzo, ma non con il comma primo, o meglio non con la prima parte del primo comma. Ciò nel senso che si vuole favorire il cessionario, limitandone ulteriormente la responsabilità, ove questi abbia preventivamente comunicato l’operazione di cessione di azienda agli uffici finanziari, con richiesta specifica di certificazione della posizione debitoria del cedente. In tal caso, quando anche il cedente avesse “commesso delle violazioni finanziarie” nel triennio in questione, ma queste non fossero ancora emerse all’atto del trasferimento d’azienda, avendo l’Ufficio svolto solo attività di acquisizione dati (mancando dunque “atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria” di cui al comma 2 dell’articolo 14), alcun obbligo fiscale a carico del cedente potrebbe risultare dagli atti dell’Amministrazione finanziaria, in difetto di alcuna “constatazione” della violazione o del presupposto impositivo; il cessionario, proprio in base alla certificazione “necessariamente liberatoria” rilasciata dall’ufficio (in assenza di constatazione di illeciti tributari), non potrebbe essere chiamato in seguito a rispondere, a differenza delle ipotesi regolata dal primo comma, anche per debiti d’imposta o per sanzioni tributarie relativi a fatti “commessi” dal cedente nel triennio precedente ed accertati solo successivamente alla cessione di azienda.
Pertanto, risulta illogico ipotizzare una commistione tra le disposizioni dei primi tre commi, tale per cui troverebbe sempre e comunque applicazione la limitazione prevista dal comma secondo dell’articolo 14, anche nell’ipotesi in cui cessionario non abbia inteso verificare previamente presso gli uffici finanziari la posizione debitoria del soggetto cedente, in quanto, adottando a tale tesi, verrebbe ad essere di fatto priva di significato precettivo la disposizione del comma primo dell’articolo 14, che invece ha inteso estendere la responsabilità solidale cessionario a qualsiasi debito per imposte e sanzioni relativo a “violazioni commesse” dal soggetto cedente nel triennio precedente al trasferimento d’azienda, anche se al tempo della cessione d’azienda non ancora constatate, contestate od accertate.
3.5. Nella specie, dunque, è pacifico che la contribuente non ha chiesto alla Amministrazione finanziaria la certificazione di cui al comma 3 dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997.
Il controllo automatizzato di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 ha riguardato l’anno 2004 in relazione al ruolo n.2008/450052, per le somme di euro 162.914,50 ed euro 118.061,29. Pertanto, è vero che i controlli automatizzati sono stati effettuati nell’anno 2007, quindi dopo la cessione di azienda avvenuta il 1°r agosto 2006, ma il triennio da tenere in considerazione per verificare quali fossero le violazioni commesse, ai sensi del comma primo dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, è quello 2006-2004, ricomprendendo appieno gli anni d’imposta 2004 e 2005. In tali ipotesi, seguendo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, pur non essendovi atti di costatazione compiuti dagli uffici finanziari, in quanto si è trattato semplicemente di correggere le dichiarazioni e di liquidare le imposte, per la somme dichiarate non versate, non trova applicazione il comma secondo dell’art. 14, che limita l’obbligazione del cessionario al debito risultante, alla data di trasferimento, “dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza”. In realtà, come detto, il primo comma dell’art. 14 rappresenta un’ipotesi del tutto autonoma rispetto ai seguenti. Mentre il secondo comma, con il riferimento e la limitazione di responsabilità esclusivamente per il debito risultante “agli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria”, va letto unitamente al terzo comma, in relazione all’onere del contribuente di chiedere all’Amministrazione una certificazione sulla esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti dal cedente. Sul punto, il giudice d’appello, seppure sinteticamente, ha rigettato l’eccezione sulla pretesa violazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, in quanto la cartella di pagamento è stata formata nel pieno rispetto dei principi di cui al primo comma della disposizione citata, che si riferisce espressamente agli obblighi tributari relativi a violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti (triennio).
Non rileva, in questo caso, l’interpretazione giurisprudenziale di questa corte (Cass., sez.5, 13 luglio 2017, n. 17264), che si è discostato in qualche misura dal precedente prima citato (Cass., 2014/5979; confermato da Cass., 2020/29772). Invero, si è ritenuto che il secondo comma dell’articolo 14 del decreto legislativo numero 472 del 1997, sia da leggere in stretto contatto con l’ultima parte del primo comma dell’articolo 14 (responsabilità del cessionario, oltre che per il “triennio” anche “per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”).
Pertanto, ma il caso è diverso da quello prospettato nella fattispecie in esame (che attiene, invece, alle imposte e sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta le cessione e nei due precedenti), sussiste la responsabilità solidale del cessionario, in relazione alle “contestazioni”, sia per aspetti sostanziali, sia per le sanzioni, avvenute nel triennio, anche se riferite” a violazioni commesse in epoca anteriore”, “sempre che le stesse risultino dagli atti degli uffici”; in tal modo, si ritiene che “questi atti degli uffici” assolvano ad una funzione latamente sovrapponibile a quella svolta dai libri contabili sul piano della certezza e della conoscibilità della pretesa tributaria.
4. Con il quarto motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione dell’articolo 25 d.P.R. n. 602 del 1973, decadenza dal potere impositivo e dal potere di riscuotere l’importo iscritto a ruolo a seguito di liquidazione delle dichiarazioni 770S/2005 e Unico/2005 della società T.C. s.n.c., illegittimità della pretesa, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”, in quanto il concessionario avrebbe dovuto notificare la cartella di pagamento alla società contribuente, quale cessionaria di ramo d’azienda, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2008. Sarebbe errata, dunque, l’affermazione del giudice d’appello, laddove ha affermato che il concessionario aveva la possibilità di modificare la cartella alternativamente al debitore principale o al coobbligato. Se fosse corretta tale interpretazione della norma menzionata, potrebbe ritenersi validamente notificata la cartella di pagamento all’ultimo dei coobbligati in solido, con conseguente impossibilità, per il debitore principale, di eccepire la decadenza dell’azione nei suoi confronti. Inoltre, il concessionario potrebbe notificare la cartella anche dopo molti anni dalla notifica al debitore principale, sicché il coobbligato solidale rimarrebbe così indefinitamente esposto all’azione esecutiva del concessionario della riscossione, senza che nei suoi confronti possa configurarsi un termine decadenziale.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Invero, deve osservarsi che per questa Corte l’avviso di accertamento, relativo al pagamento delle imposte e delle sanzioni, diretto al cedente dell’azienda o di un suo ramo non deve essere notificato anche al cessionario, né in caso di cessione lecita, né in quella in frode al fisco, in mancanza di espressa deroga al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata (Cass., sez. 5, 14 marzo 2014, n. 5979).
Inoltre, l’articolo 25, primo comma, d.P.R. n. 602 del 1973, prevede che “il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza”.
Pertanto, il concessionario può alternativamente notificare la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo oppure al coobbligato. In caso di cessione di ramo d’azienda, come nella specie, tra il cedente ed il cessionario si instaura un rapporto di solidarietà dipendente successiva. Ciò consente al concessionario di notificare la cartella esclusivamente al debitore principale, senza necessità di una ulteriore notifica nei confronti del coobbligato solidale (cessionario).
5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione dell’articolo 25 d.P.R. n. 602 del 1973, dell’articolo 37, comma 44, del d.l. n. 223 del 2006, decadenza dal potere impositivo e dal potere di riscuotere l’importo iscritto a ruolo a seguito di liquidazione della dichiarazione integrativa ex lege 289 del 2002 della società T.C. s.n.c., illegittimità della pretesa, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”. Infatti, alcuni importi indicati nella cartella di pagamento derivano dalla liquidazione di dichiarazione integrativa presentata ai sensi della legge n. 289 del 2002; si tratta della somma di euro 119.041,83, derivante da ruolo n. 2008/150080, reso esecutivo il 21 dicembre 2007, relativo a “recupero delle somme dovute a seguito di adesione alle definizioni di cui agli articoli 8, 9 e 14 legge 289/02 e succ. modif. e integr.”, con indicazione di “irregolarità relative ai versamenti successivi al primo”, con “applicazione della sanzione del 30%”. Anche in questo caso per l’iscrizione a ruolo, derivante dalle dichiarazioni integrative, presentata ai sensi degli articoli 7, 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, la cartella di pagamento doveva essere notificata entro il 31 dicembre 2008, come previsto dall’articolo 37, comma 44, del d.l. n. 223 del 2006. La notifica è stata eseguita, invece, il 12 ottobre 2009 e oltre il termine decadenza ed è, dunque, illegittima.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. Invero, l’articolo 37, comma 44, del d.l. n. 223 del 2006 dispone che “la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti alle iscrizioni a ruolo previste dagli articoli 7, 8, 9,14,15 e 16, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, è eseguita, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2008.
5.3. Trattandosi, anche in questo caso, di una obbligazione solidale, in quanto gli obblighi tributari a carico del cedente, a seguito della cessione di azienda, o di ramo d’azienda, si trasferiscono in solido al cessionario, valgono i medesimi principi di quell’articolo 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, sicché il concessionario può eseguire la notifica alternativamente o nei confronti del debitore originario oppure nei confronti del debitore solidale.
6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, illegittimità della assunta responsabilità del cessionario del ramo d’azienda, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.” in quanto la società ha acquistato con atto del 1 agosto 2006, da V. P. il ramo d’azienda, non quindi l’intera azienda.
Pertanto, in caso di cessione di ramo d’azienda la responsabilità del cessionario deve ricomprendere soltanto i debiti per imposte “inerenti” al ramo d’azienda ceduto. Non è, dunque, condivisibile l’affermazione del giudice d’appello in base alla quale “nel contesto della questione non sono rilevanti gli accordi privati di riparto dei debiti pregressi tra cedente cessionario”. Non si pone, dunque, una questione di opponibilità all’Amministrazione di patti tra privati circa l’individuazione dei debiti tributari gravanti sul cessionario. Si tratta, invece, di verificare se i debiti fiscali siano sorti in relazione all’intero complesso aziendale oppure con riferimento al singolo ramo d’azienda ceduto. Pertanto, possono trasmettersi al cessionario i debiti tributari per ritenute Irpef non versate, solo qualora, unitamente al ramo d’azienda ceduto, il cessionario abbia assunto anche dipendenti impiegati in quel complesso. Il cessionario non può, invece, diventare responsabile in solido anche di debiti tributari relativi ad elementi dell’azienda che non hanno formato oggetto di cessione, come appunto il caso delle ritenute Irpef di dipendenti che sono rimasti occupati presso l’azienda cedente.
6.1. Il motivo è fondato.
6.2. Anzitutto, si rileva che proprio l’articolo 14, primo comma, d.lgs. n. 472 del 1997, fa riferimento sia alla cessione dell’azienda che alla cessione del ramo d’azienda, con distinzione delle due ipotesi.
6.3.La nozione di cessione ramo di azienda si ricava dall’art. 2112 c.c. e dalla giurisprudenza formatasi proprio in abito lavoristico. Il principio generale è quello di cui al primo comma dell’art. 2112 c.c., per cui, “in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”. Anche in questo caso, ai sensi del comma secondo dell’articolo 2112, il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento”. La liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro può derivare soltanto dall’utilizzo delle procedure di cui agli articoli 410 e 411 c.p.c., ove il lavoratore lo consenta.
Per questa Corte, ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, applicabile “ratione temporis”, costituisce elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente, situazione ravvisabile (quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica) anche rispetto ad un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva, purché dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (Cass., sez. L, 8 novembre 2018, n. 28593; Cass., sez. L, 31 luglio 2017, n. 19034; Cass., sez. L, 31 maggio 2016, n. 11247).
Pertanto, l’elemento costitutivo del ramo d’azienda è rappresentato dalla piena “autonomia funzionale” del ramo ceduto.
Questa Corte ha chiarito in proposito, anche valorizzando la giurisprudenza unionale che per “ramo d’azienda”, come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e (come affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, in C-51/00) consenta l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo. Il relativo accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, dell’eventuale trasferimento della clientela, nonché del grado di analogia tra le attività esercitate prima o dopo la cessione, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 cod. civ. che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto e comporta la mera sostituzione di uno dei soggetti contraenti, nonché il consenso del lavoratore ceduto (Cass., sez. L, 28 aprile 2014, n. 9361).
6.4. È ben possibile, dunque, che il titolare di un complesso aziendale possa limitarsi a cedere, non l’intera azienda, ma soltanto uno dei rami della stessa, che deve però essere caratterizzato da “autonomia funzionale”. Sarà onere del contribuente dimostrare che effettivamente gli è stata ceduta, non l’intera azienda, ma un ramo perfettamente funzionale in via autonoma, scorporabile dal complesso aziendale. Sarà sempre il contribuente a dover dimostrare quali sono i cespiti ed i dipendenti “inerenti” in modo specifico al ramo d’azienda trasferito.
6.5. Del resto, per questa Corte, in caso di cessione di ramo d’azienda, l’acquirente, pur in presenza di una contabilità unitaria, risponde, a norma dell’art. 2560 cod. civ., dei debiti pregressi risultanti dai libri contabili obbligatori, a condizione, però, che siano “inerenti” alla gestione del ramo d’azienda ceduto (Cass., sez. 3, 30 giugno 2015, n. 13319).
Il medesimo concetto di “inerenza” deve caratterizzare l’obbligazione tributaria, di cui deve rispondere in solido anche il cessionario di ramo d’azienda, per le violazioni commesse nel triennio a decorrere dalla data di trasferimento del ramo stesso.
La responsabilità del cessionario deve fondarsi, dunque, sull’inerenza del debito al compendio acquistato, sicché essa non opera per quelle obbligazioni pecuniarie che siano riconducibili ad altro ramo aziendale rimasto di proprietà del cedente.
Sarà onere del cessionario dimostrare la non inerenza del debito al ramo aziendale acquistato.
6.6. Pertanto, il motivo deve essere accolto, avendo trascurato il giudice d’appello di valutare se le obbligazioni tributarie in capo alla contribuente cessionaria, fossero o meno “inerenti” al ramo d’azienda eventualmente trasferito dal cedente. Per prima cosa, dunque, dovrà valutarsi se si è in presenza del trasferimento di un ramo d’azienda e, in un secondo momento, ove sia fornita risposta positiva al primo quesito, dovrà accertarsi la qualità e la quantità delle obbligazioni tributarie inerenti al ramo d’azienda ceduto.
7. Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, degli articoli 2272, comma primo, n. 4, e 2308 c.c., illegittimità della pretesa ed insussistenza della responsabilità solidale, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”, in quanto secondo la ricorrente il ramo d’azienda le sarebbe stato ceduto non dalla società T.C., che si era sciolta, ex lege, ai sensi dell’art. 2272, primo comma, n. 4, c.c. e dell’art. 2308, c.c., a seguito del decesso del socio P.A.. La cessione del ramo d’azienda sarebbe stata, dunque, compiuta dall’unico socio rimasto, V. P., che avrebbe perciò ceduto il suo patrimonio personale, da ritenersi a lui devoluto quale socio superstite. Per tale ragione la cessionaria non potrebbe rispondere delle obbligazioni tributarie della cedente T.C. s.n.c., non essendo questa la parte del contratto di cessione, ma solo il socio. Il giudice d’appello, invece, sul punto, ha ribadito che la cessione è stata effettuata dal P., non in proprio, ma in qualità di legale rappresentante della T.C. s.n.c., che “è stata sciolta senza messa in liquidazione con la cancellazione della società dal registro delle imprese presso la Camera di Commercio di Verona quasi un anno dopo l’avvenuta cessione del ramo aziendale e più precisamente in data 15 maggio 2007 “.
7.1. Il motivo è infondato.
7.2.Invero, è pacifico che l’atto di cessione del ramo d’azienda, è stato stipulato il 1 agosto 2016, con la sottoscrizione da parte di V. P., quale legale rappresentante della T.C. s.n.c, società cedente; il socio A. P. è deceduto nell’anno 2005, sicché la società, composta da solo due soci, si è sciolta, ex lege, decorsi sei mesi dalla mancata ricostituzione della compagine sociale.
7.3. Per questa Corte, in tema di società di persone composta da due soli soci, per effetto del coordinamento tra l’art. 2284 c.c. e 2272 n. 4 c.c., in caso di morte di un socio, la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi va considerata come condicio iuris priva di efficacia retroattiva, sicché in difetto di detta ricostituzione lo scioglimento della società si verifica alla scadenza del semestre in pendenza del quale il socio superstite, oltre ad optare per la ricostituzione, può scegliere tra le diverse alternative di cui all’art. 2384 c.c. (Cass., sez. 6-1, 16 aprile 2018, n. 9346).
Si è, però, chiarito che, in tema di società di persone (nella specie, società in nome collettivo), la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi non determina l’estinzione, ma solamente lo scioglimento della società e la liquidazione e, pertanto, la massa dei rapporti attivi e passivi che facevano capo alla compagine sociale prima dello scioglimento conserva il proprio originario centro di imputazione (Cass., sez. 5, 22 dicembre 2014, n. 27189).
Si è evidenziato che la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi, pur concernendo un elemento necessario del contratto di società, in base al dato testuale dell’articolo 2272, primo comma, n. 4, c.c., non produce alcun effetto sulla permanenza in vita della società, non ne determina in particolare l’estinzione, ma ne comporta unicamente lo scioglimento ovvero che essa, attraverso il procedimento di liquidazione, che fa seguito all’avverarsi di una delle cause di scioglimento di cui all’articolo 2272 c.c., liquidi il proprio patrimonio, adempia i debiti sociali (articolo 2280 c.c.) e ripartisca l’eventuale residuo attivo ai soci (articolo 2282 c.c.). Solo dopo che i liquidatori hanno proceduto al compimento di queste operazioni, con la predisposizione del bilancio finale di liquidazione, il deposito dello stesso presso il registro delle imprese e la sua definitività per difetto di opposizione da parte dei soci (articolo 2311, secondo comma, c.c.), potrà essere chiesta la cancellazione della società dal registro delle imprese, ex articolo 2312, primo comma, c.c.. Pertanto, nonostante il verificarsi di un evento che determina lo scioglimento della società, tuttavia si produce l’estinzione della società, sia di persone (Cass., sez. un., 2010/4046) che di capitali, ai sensi dell’articolo 2495 c.c. (norma relativa alle società di capitali), secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte ( Cass., sez.un., 6070/2013), soltanto al momento della avvenuta cancellazione (art. 2495 c.c. “ferma restando la cancellazione”).
Pertanto, correttamente il giudice d’appello ha ritenuto che l’azienda sia stata ceduta, non da V. P., in proprio, ma dallo stesso, quale ex socio e legale rappresentante della società T.C. s.n.c., ormai sciolta, ma non cancellata dal registro delle imprese e, quindi, non ancora estinta. La parte cedente del contratto di cessione di ramo di azienda era, quindi, proprio la T.C. s.n.c.
8. Con l’ottavo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione dell’articolo 14 d.lgs. n. 472 del 1997, illegittimità ed infondatezza della pretesa per mancanza dei presupposti per far valere la responsabilità solidale, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.” in quanto non può sussistere la responsabilità solidale della cessionaria contribuente con riferimento alle imposte liquidate in sede di dichiarazione integrativa, relativamente a periodi di imposta di molto anteriori rispetto ai termini indicati nel primo comma dell’articolo 14. Si tratta della somma di euro 119.041,83, derivante da ruolo n. 2008/150080, reso esecutivo il 21 dicembre 2007, a recupero delle somme dovute a seguito di adesione alle definizioni di cui agli articoli 8, 9 e 14 della legge n. 289 del 2002. La pretesa segue ad irregolarità relative ai versamenti successivi al primo, con applicazione della sanzione del 30%. L’iscrizione a ruolo riguarda le imposte liquidate su dichiarazione integrativa, per gli anni dal 1997 al 2002, presentata nel 2004. Pertanto, secondo la ricorrente, non trattandosi di imposte o sanzioni riferibili a violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione o nei due anni precedenti, e non essendo state contestate o irrogate le sanzioni nel medesimo periodo, nessuna responsabilità solidale può essere affermata nei confronti della cessionaria. Il giudice d’appello, invece, erroneamente ha ritenuto che “sono da considerare nei termini e quindi legittimi anche gli addebiti relativi all’adesione alle definizioni di cui alla legge 289 del 2002 per il fatto che sono somme derivanti appunto dalla presentazione della domanda di adesione avvenuta nell’anno 2004”.
8.1. Il motivo è fondato.
8.2. Invero, emerge dagli atti che la società cedente T. s.n.c. ha aderito alla definizione agevolata di cui agli articoli 8, 9 e 14 della legge n. 289 del 2002.
8.3.Tuttavia, l’adesione a tali forme di definizione agevolata aveva come presupposto la mancata predisposizione di un processo verbale di constatazione nei confronti della cedente.
8.4.L’articolo 8, della legge n. 289 del 2002(integrazione degli imponibili per gli anni pregressi), dispone al primo comma che “le dichiarazioni relative ai periodi di imposta per i quali i termini per la loro presentazione sono scaduti entro il 31 ottobre 2002, possono essere integrate secondo le disposizioni del presente articolo “. Al comma 10, però, si prevede che “le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora:a) alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonché invito al contraddittorio di cui all’articolo 5 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, relativamente quali non è stata perfezionata la definizione ai sensi degli articoli 15 e 16”.
8.5. L’articolo 9 della legge n. 289 del 2002 (definizione automatica per gli anni pregressi), stabilisce, al primo comma, che “i contribuenti, al fine di beneficiare delle disposizioni di cui al presente articolo, presentano una dichiarazione con le modalità previste dai commi 3 e 4 dell’articolo otto, concernente, a pena di nullità, tutti i periodi di imposta per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni sono scaduti entro il 31 ottobre 2002”.
Anche in questo caso costituisce causa ostativa, tra le altre, anche quella della notifica di un processo verbale di constatazione. Infatti, al comma 14 dell’articolo 9 si legge che “le disposizioni del presente articolo non si applicano qualora: a) alla data di entrata in vigore della presente legge, sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo, ovvero avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell’imposta sul valore aggiunto ovvero dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonché invito al contraddittorio di cui all’articolo 5 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, relativamente ai quali non è stata perfezionata la definizione ai sensi degli articoli 15 e 16 della presente legge; in caso di avvisi di accertamento parziale di cui all’articolo 41-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, ovvero di avvisi di accertamento di quell’articolo 54, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, divenuti definitivi alla data di entrata in vigore della presente legge, la definizione è ammessa a condizione che il contribuente versi, entro la prima data di pagamento degli importi per la definizione, le somme derivanti dall’accertamento parziale, con esclusione delle sanzioni e degli interessi”.
8.6.Pertanto, l’articolo 14, primo comma, del d.lgs. n. 472 del 1997, deve confrontarsi con le specifiche norme condonistiche.
In particolare, deve tenersi conto che il primo comma dell’articolo 14, oltre a prevedere, nella prima parte, la responsabilità in solido da parte del cessionario, in relazione all’imposta ed alle sanzioni “riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti”, nella seconda parte, allarga ed amplifica il perimetro di responsabilità solidale del cessionario d’azienda anche a “quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore”.
La norma non brilla per chiarezza, in quanto non si comprende quale sia il soggetto della seconda parte del primo comma dell’art. 14 del d.lgs. 472/1997; dal punto di vista meramente formale la norma sembrerebbe riferirsi esclusivamente alle sanzioni, “irrogate” e “contestate” nel triennio, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
Tuttavia, c’è concordia in dottrina ed in giurisprudenza nel ritenere che la responsabilità solidale del cessionario si allarghi, oltre che alle sanzioni espressamente previste, anche alla contestazione relativa alle obbligazioni tributarie sostanziali, evidentemente “connesse” alle sanzioni irrogate o contestate, contestazione che deve avvenire nel triennio, pur se riferita violazioni commesse in epoca anteriore.
8.7. Nella specie, però, ci si trova dinanzi all’adesione della cedente il ramo d’azienda alla definizione agevolata cui alla legge n. 289 del 2002, la quale, come visto, è esclusa dalla esistenza di processi verbali di constatazione o dall’emissione di avvisi di accertamento notificati prima della data di entrata in vigore della legge stessa. Ciò significa che per poter beneficiare delle norme condonistiche è necessario che sussista il presupposto della mancata notifica del processo verbale di constatazione o degli avvisi di accertamento.
8.8.Per questa Corte, infatti, in tema di condono fiscale, la definizione automatica dei redditi di impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi, prevista dall’art. 7 della l. n. 289 del 2002, presuppone l’assenza di qualsivoglia attività accertativa da parte dell’Amministrazione, sicché è preclusa nel caso di notifica di un processo verbale di constatazione “con esito positivo”, la cui mancata definizione ai sensi dell’art. 15 della l. n. 289 del 2002, come richiamato dalla lett. c) del comma terzo dell’art. 7 cit., costituisce causa ostativa qualunque sia l’importo oggetto della contestazione (Cass., sez. 5, 31 maggio 2019, n. 14945).
Si è anche ritenuto che, in tema di condono fiscale, il “processo verbale di constatazione con esito positivo” – la cui notifica preclude il ricorso alla definizione automatica a norma dell’art. 9, comma 14, della l. n. 289 del 2002 – è l’atto che segnala materia imponibile e quindi, per le imposte sui redditi, maggiori componenti positivi o minori componenti negativi, anche se per importi non precisamente determinati (Cass., sez. 5, 11 ottobre 2017, n. 23840). Del resto, la consegna al contribuente di un processo verbale di constatazione, redatto all’esito di una verifica della Guardia di Finanza con esito positivo, rende inoperante la definizione automatica per l’anno cui si riferisce, prevista dall’art. nove della legge 27 dicembre 2002, n. 289, analogamente alla notifica del predetto verbale, in quanto ciò che rileva, a tale fine, è la funzione e non la provenienza dell’atto (Cass., sez. 6-5, 18 dicembre 2014, n. 26702).
8.9.Inoltre, deve evidenziarsi che, in tema di condono fiscale, il processo verbale di constatazione “con esito positivo” – la cui notifica preclude il ricorso alla fattispecie di definizione automatica per gli anni pregressi, prevista dall’art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 – è l’atto con il quale, a conclusione dell’indagine, si segnala all’Ufficio finanziario, per le valutazioni e le determinazioni a questo riservate, l’esistenza di materia imponibile, ossia, per le imposte sui redditi, di “maggiori componenti positivi” o di “minori componenti negativi”, anche se per un importo non precisamente determinato (Cass., sez. 5, 3 febbraio 2012, n. 1554).
8.10.Peraltro, in materia di condono fiscale, la dichiarazione integrativa degli imponibili per gli anni pregressi di cui all’art. 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 preclude l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, ma non la liquidazione delle imposte né l’attività di “controllo formale”, in quanto il legislatore – con scelta discrezionale non irragionevole poiché l’attività di cui all’art. 36 ter, pur non strettamente liquidatoria come quella di cui all’art. 36 bis, si esaurisce nell’esame testuale dei dati della dichiarazione raffrontati con documentazione (anche) esterna a questa, senza profili di tipo valutativo o interpretativo – ha costantemente fatto salvi gli art. 36 bis e ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, distinguendoli dall’accertamento vero e proprio e accomunandoli nello stesso regime (Cass., sez.5, 6 agosto 2014, n. 17631). Proprio ciò è avvenuto nel caso in esame, in cui si è proceduto, pur in presenza dell’adesione ai benefici condonistici, con un controllo automatizzato, nell’anno 2007, ai sensi dell’articolo 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
8.11.Pertanto, la responsabilità del cessionario, in via solidale, per le obbligazioni tributarie del cedente, deve essere esclusa nel caso in esame, in cui la società cedente ha deciso, nell’anno 2004, di aderire alla definizione agevolata di cui alla legge 289 del 2002, in relazione agli anni di imposta dal 1997 al 2002, per le ipotesi di cui agli articoli 8, e 14, della legge n. 289 del 2002, evidentemente prima della notifica di avvisi di accertamento o processi verbali di constatazione.
Il procedimento automatizzato di accertamento ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 è del 2007, mentre il ruolo è stato reso esecutivo soltanto il 21-12- 2007, quindi fuori dai termini di cui all’art. 14, primo comma, del d.lgs. n. 472/1997.
È insussistente, allora, il requisito di cui al primo comma, ultima parte, dell’articolo 14, del d.lgs. n. 472 del 1997, che presuppone l’irrogazione e la contestazione delle sanzioni o comunque la “contestazione” di formali atti impositivi, nel triennio (2006-2004), anche se riferibili a violazioni commesse in epoca anteriore.
9. Con il nono motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione dell’articolo 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, illegittimità della pretesa per mancata escussione del cedente del ramo d’azienda, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c.” in quanto la contribuente aveva sollevato l’eccezione della preventiva escussione del cedente ramo d’azienda. Non era sufficiente, a tal fine, la tentata riscossione da parte del concessionario nei confronti della società, con redazione del verbale di irreperibilità in data 3 dicembre 2008. In realtà, poiché la società si era sciolta per il venire meno della pluralità dei soci e l’intero patrimonio della stessa era passato a V. P., con successiva cancellazione della società nel maggio 2007, la preventiva escussione doveva essere tentata, non nei confronti della società, ormai sciolta, ma nei confronti di V. P., successore universale del patrimonio sociale.
9.1. Il motivo è infondato.
9.2.Invero, si premette che per questa Corte, a sezioni unite, il cessionario d’azienda risponde di una obbligazione propria, perché subentra al cedente, e ne risponde in via sussidiaria, in base all’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, pur non avendo realizzato il fatto indice di capacità contributiva (Cass., sez. un., 16 dicembre 2020, n. 28709). L’esistenza dell’obbligo della società cedente, quindi, è costitutiva dell’obbligo del cessionario, e quest’obbligo, sebbene diverso per causa, concerne il medesimo oggetto, ossia il debito di imposta. Ciò spiega la ragione per cui l’ente creditore notifica soltanto al cedente l’avviso di accertamento, senza necessità di simultaneus processus con il cessionario. Il soggetto passivo del tributo è, infatti, proprio il cedente, sicché rispetto allo stesso va accertato il tributo dovuto, ai fini della formazione del titolo esecutivo, e quindi del ruolo. Nei confronti del cessionario d’azienda, quindi, può essere notificata la cartella di pagamento, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973. La cartella vale come notificazione del ruolo e determina, al pari del precetto, la pretesa esecutiva. Il cessionario d’azienda o di un ramo di essa, una volta ricevuta la notifica della cartella, relativa ai debiti del cedente, può contestare l’obbligo tributario del cedente e il titolo formatosi nei suoi confronti, ma anche il presupposto della propria obbligazione, ossia il contratto di cessione, e può far valere la natura sussidiaria della propria responsabilità. Pertanto, non si configura alcuna impossibilità di notificare al coobbligato sussidiario la cartella prima dell’escussione dei beni dell’obbligato principale. È pur sempre il coobbligato beneficiato che deve far valere il beneficio al fine di impedire che inizi l’esecuzione vera e propria, oppure di bloccarla dopo che sia iniziata. Al fine di affermare l’inoperatività della responsabilità sussidiaria vi è la necessaria dimostrazione che la società cedente ha la capacità patrimoniale di soddisfare i propri debiti. La responsabilità sussidiaria, quindi, rileva soltanto quando il creditore non riesca a soddisfarsi, in tutto o in parte sui beni dell’obbligato principale. Vi è, poi, un diverso riparto dell’onere della prova, perché nelle società semplici ed in quelle irregolari è il socio che ha l’onere di provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale; nelle società in nome collettivo ed in quelle in accomandita semplice e per azioni l’onere della prova si inverte, sicché il creditore a dover provare l’insufficienza del patrimonio sociale. Nella specie, pur avendo eccepito la cessionaria il beneficium excussionis, tuttavia è emerso in modo chiaro che la società non aveva beni per il soddisfacimento del debito fiscale, tanto che la stessa, dopo essersi sciolta, per mancata ricostituzione della pluralità dei soci, ex lege, è stata cancellata successivamente dal registro delle imprese.
Pertanto, la tesi della cessionaria, in base alla quale, ai fini del beneficio discussione, sarebbe stato necessario procedere nei confronti di V. P. e del suo patrimonio, quale “successore universale” del patrimonio sociale, e non nei confronti della società cedente, ormai cessata e cancellata, non può essere in alcun modo condivisa. La cessione dell’azienda è avvenuta da parte della società T.C. s.n.c., come già esplicato in precedenza, e non da parte del socio V. P., che ha agito in qualità di ex socio e legale rappresentante della T.C. s.n.c.
10. La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi sesto e ottavo; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.