CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 maggio 2020, n. 10092

Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Credito derivante da contratto di anticipazione su fatture contro cessione di credito prò solvendo – Insinuazione al passivo

Fatti di causa

1. Il Tribunale di Forlì ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento A.C.I.S. S.r.l., proposta dalla Banca M.P.S. S.p.a. avverso la decisione del giudice delegato di ammettere solo parzialmente il credito insinuato – derivante da contratto di anticipazione su fatture contro cessione di credito prò solvendo – in ragione della mancata dimostrazione della infruttuosa escussione dei debitori ceduti.

2. In particolare, il collegio ha ritenuto che la funzione di garanzia della cessione del credito portato dalle fatture anticipate non escludesse l’onere della banca cessionaria di escutere il debitore ceduto prima di chiedere la restituzione delle somme anticipate al proprio cliente – restando medio tempore “quiescente” il credito originario – tale onere evincendosi anche dalla clausola n. 4 dei contratti inter partes, che «prevede l’obbligo di pagamento da parte del cliente con riferimento proprio all’ipotesi della mancata soddisfazione dei crediti ceduti in relazione all’importo insoluto».

3. La Banca M.P.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso.

Ragioni della decisione

4.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1198, 1260, 1267, 1362 cod. civ., deducendo che i precedenti richiamati dal giudice a quo (Cass. 15677/2009 e 3469/2007) attengono all’istituto della cessione di credito in luogo dell’adempimento ex art. 1198 cod. civ. e che, a differenza della cessione solutoria – che si presume effettuata prò solvendo – in quella effettuata, come nel caso di specie, a scopo di garanzia, «il diritto trasferito assume le caratteristiche di provvisorietà e strumentalità»; e ciò sarebbe desumibile anche dall’articolato contrattuale, prevedendo la clausola n. 2 “l’obbligo in capo al cliente di provvedere al rimborso di tutto quanto dovuto alla Banca in conseguenza delle anticipazioni accordate”» e la clausola n. 4 che, “fermo quanto stabilito dall’art. 2, qualora per qualsiasi motivo i crediti anticipati non fossero puntualmente ed integralmente pagati alla scadenza, il cliente sarà tenuto a rimborsare immediatamente, e a semplice richiesta della Banca, l’importo rimasto insoluto, restando in semplice facoltà della Banca medesima qualsiasi azione giudiziale o stragiudiziale nei confronti del debitore ceduto”.

4.2. Con il secondo mezzo si deduce, in punto di spese processuali, la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, per avere il tribunale liquidato in favore della controparte una somma a titolo di onorari comprensiva anche della “fase istruttoria”, nonostante essa non si fosse effettivamente svolta.

5. Il primo motivo è fondato e merita accoglimento, con assorbimento del secondo.

6. La decisione impugnata poggia su un equivoco, consistente nel non aver adeguatamente valutato le differenze, in termini di effetti, tra la cessione di credito di natura solutoria e la cessione di credito con funzione di garanzia atipica, quale è stata ritenuta pacificamente quella oggetto di causa.

6.1. Invero, analizzando in primo luogo la pronuncia di Cass. 3469/2007, richiamata dal tribunale, appare evidente come i principi formulati attengano esclusivamente alla fattispecie (ivi trattata) della cessione di credito in luogo dell’adempimento, ex art. 1198 cod. civ., in base ai quali: i) tale tipo di cessione «non comporta l’immediata liberazione del debitore originario, la quale consegue solo alla realizzazione del credito ceduto, ma soltanto l’affiancamento al credito originario di quello ceduto, con la funzione di consentire al creditore di soddisfarsi mediante la realizzazione di quest’ultimo credito»; ii) in questa situazione di “compresenza”, «il credito originario entra in fase di quiescenza, e rimane inesigibile per tutto il tempo in cui persiste la possibilità della fruttuosa escussione del debitore ceduto, in quanto solo quando il medesimo risulta insolvente il creditore può rivolgersi al debitore originario»; iii) di conseguenza, «grava sul cessionario che agisce nei confronti del cedente dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto, che vi è, cioè, stata escussione infruttuosa di quest’ultimo, e che la mancata realizzazione del credito per totale o parziale insolvenza del debitore ceduto non è dipesa da sua negligenza nell’iniziare o proseguire le istanze contro il debitore ceduto, essendo egli tenuto ad un comportamento volto alla tutela del credito ceduto, anche mediante richiesta di provvedimenti cautelari e conservativi, non potendo considerarsi il medesimo non diligente solamente in caso di estinzione non satisfattiva del credito ceduto o di perdita delazione, ma anche in ipotesi di insolvenza del debitore ceduto»; iv) inoltre, «finché non è esigibile il credito ceduto “pro solvendo”, tale non è nemmeno il credito originario, mentre quando quest’ultimo» (rectius il primo) «diviene esigibile, non per ciò stesso lo diviene anche il credito originario, atteso l’onere della preventiva escussione (da parte del cessionario) del debitore ceduto, stante il rinvio operato dall’art. 1198, comma 2, cod. civ.»; v) «ne consegue ulteriormente che, non essendovi estinzione del debito originario – con trasformazione novativa in obbligazione accessoria di garanzia del debito ceduto – ma rimanendo in vita entrambi i debiti, con impossibilità di chiedere al cedente l’adempimento del debito originario in difetto di previa infruttuosa escussione del debitore ceduto, solo da tale momento, in conformità con il principio posto all’art. 2935 cod. civ., inizia a decorrere la prescrizione relativa al debito ceduto».

6.2. L’ulteriore pronuncia richiamata nel decreto impugnato, di Cass. 15677/2009, pur riguardando una fattispecie di cessione di credito pro solvendo a garanzia di un’apertura di credito, ha fatto applicazione del principio enunciato da Cass. 3469/2007 per la diversa ipotesi di «cessione del credito in luogo dell’adempimento (art. 1198 cod. civ.)», per cui «grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto».

6.3. Anche l’affermazione di Cass. 17162/2002 (richiamata da Cass. 15677/2009) per cui «la cessione del credito, quale negozio a causa variabile, può essere stipulata anche a fine di garanzia e senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia, pure quando la cessione sia “pro solvendo” e non già “pro soluto”, con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto» è fuorviante nella sua seconda parte, poiché non ha senso applicare le due categorie della cessione pro soluto e pro solvendo alla fattispecie della cessione del credito con funzione di garanzia, dove la cessione non viene effettuata “in luogo dell’adempimento” (cioè come forma estintiva satisfattiva della prestazione originaria) bensì allo scopo di rafforzare l’obbligazione originaria, quale effetto tipico della funzione di garanzia.

6.4. Né deve fuorviare il rinvio che il secondo comma dell’art. 1198 cod civ. fa al secondo comma dell’art. 1267 cod. civ. che, nell’ambito della disciplina generale sulla “cessione dei crediti” (Capo V del Titolo I del Libro IV) contempla l’ipotesi in cui il cedente si impegni espressamente a garantire la solvenza del debitore – che è cosa ben diversa dall’effettuare la cessione del credito con funzione di garanzia di altra sua obbligazione (cd. cessione in securitatem) – disponendo che, «quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa, se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso» e perciò solo in quell’ipotesi (che resta cessione solutoria, sia pure assistita dalla garanzia della solvenza del debitore ceduto e, quindi, prò solvendo).

7. I suddetti precedenti non sono quindi utilmente invocabili ai fini della corretta risoluzione del caso in esame, come detto vertente pacificamente in tema di cessione di credito con funzione di garanzia, per il quale vale invece il risalente (ma ancora attuale) orientamento di questa Corte per cui «la cessione del credito, avendo causa variabile, ben può avere anche funzione esclusiva di garanzia, comportando in tal caso il medesimo effetto, tipico della cessione ordinaria, immediatamente traslativo del diritto al cessionario, nel senso che il credito ceduto entra nel patrimonio del cessionario e diventa un credito proprio di quest’ultimo. Ne deriva che, nel caso di cessione effettuata esclusivamente a scopo di garanzia di una diversa obbligazione dello stesso cedente, il cessionario è legittimato ad azionare sia il credito originario sia quello che gli è stato ceduto in garanzia; ove, invece, si verifichi l’estinzione, totale o parziale, dell’obbligazione garantita, il credito ceduto a scopo di garanzia, nella stessa quantità, si ritrasferisce automaticamente nella sfera giuridica del cedente, con un meccanismo analogo a quello della condizione risolutiva, senza quindi che occorra, da parte del cessionario, un’attività negoziale diretta a tal fine» (Cass. 4796/2001, 3797/1999).

8. Innumerevoli sono, del resto, i precedenti di questa Corte nei quali – per lo più in tema di revocatoria fallimentare e in concomitanza di operazioni di finanziamento – è stato appunto evidenziato come la cessione di credito sia un negozio a causa variabile, potendo essere stipulata anche a fine di garanzia, oltre che di pagamento, sicché l’effettiva funzione solutoria della cessione pro solvendo di un credito va accertata in concreto, in base al contesto oggettivo e soggettivo della cessione stessa, piuttosto che del successivo pagamento del credito ceduto (Cass. 23261/2014, 12736/2011, 17683/2009, 1617/2009, 17590/2005, 15955/2005), sottolineandosi altresì che, nella cessione pro solvendo di un credito in luogo di adempimento, l’estinzione dell’obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito verso il debitore ceduto (Cass. 9141/2007).

8.1. E’ stato altresì precisato come la funzione di garanzia possa assistere la cessione di credito (ove – a differenza del mandato irrevocabile all’incasso – il credito viene riscosso in nome e per conto proprio del cessionario, divenutone il titolare in forza dell’effetto traslativo tipico della cessione) in quanto negozio traslativo a causa variabile, senza che ciò ne invalidi il naturale effetto traslativo, attraverso il quale piuttosto essa si attua (sia stata la cessione prevista pro soluto o pro solvendo), realizzandosi, in tal caso, allorché il debito del cedente verso il cessionario viene “coperto” dalla riscossione del credito da parte di quest’ultimo; pertanto, la funzione di garanzia dispiega il suo effetto tipico fino al momento in cui il credito del cessionario, garantito, non trovi piena soddisfazione mediante la sua riscossione (Cass. 2517/2010; cfr. Cass. 29608/2018, 15677/2009, 8145/2009, 5061/2001).

8.2. Al riguardo pare opportuno precisare come alcuni dei precedenti citati (Cass. 29608/2018 e 15677/2009, cui può aggiungersi Cass. 15080/2018 che, in peculiare fattispecie di factoring, implica il medesimo equivoco) affermino tralatiziamente due principi che, ex sé considerati, sono assolutamente corretti – e cioè: i) che in caso di «cessione del credito in luogo dell’adempimento (art. 1198 cod. civ.)» (ossia di cessione con funzione solutoria e non di garanzia) «grava sul cessionario, che agisca nei confronti del cedente, dare la prova dell’esigibilità del credito e dell’insolvenza del debitore ceduto»; ii) che «la cessione del credito, quale negozio a causa variabile, può essere stipulata anche a fine di garanzia e senza che venga meno l’immediato effetto traslativo della titolarità del credito tipico di ogni cessione, in quanto è proprio mediante tale effetto traslativo che si attua la garanzia» – ma combinati con l’ulteriore affermazione per cui alle medesime conclusioni si deve pervenire «pure quando la cessione sia prò solvendo e non già prò soluto, con mancato trasferimento al cessionario, pertanto, del rischio d’insolvenza del debitore ceduto», ingenerano l’erronea convinzione che anche nel caso di cessione in garanzia gravi sul cessionario l’onere di provare l’insolvenza del debitore ceduto prima di poter escutere direttamente il cedente.

9. Pertanto, nonostante le persistenti incertezze della dottrina sulla sistemazione teorica e sulla conformazione dell’istituto della cessione del credito a scopo di garanzia – salva l’esclusione della sua invalidità per divieto del patto commissorio ex art. 2744 cod. civ., anche in considerazione della peculiarità del bene (credito) la cui titolarità viene pacificamente trasferita in capo al cessionario – la ricostruzione teorica cui in epoca risalente ha aderito questa Corte (cfr. Cass. 4796/2001 cit.), in termini di cessione sottoposta a condizione risolutiva, in cui l’evento dedotto in condizione è l’adempimento del debito principale garantito (così come sottoposto a condizione sospensiva sarebbe il dovere del cessionario di restituire l’eccedenza di quanto eventualmente riscosso dal ceduto), mostra ancora la sua resilienza.

9.1. Ma soprattutto conserva la sua persuasività la netta distinzione, tra le varie operazioni che si registrano nella prassi bancaria, della cessione dei crediti a garanzia della restituzione del finanziamento – che ha appunto funzione di garanzia atipica e conseguente connotazione di accessorietà – rispetto alle diverse figure che realizzano invece (direttamente o indirettamente) una funzione solutoria, come la cessio prò solvendo ex art. 1198 cod civ., ove la cessione tiene luogo della restituzione delle somme finanziate, o il mandato in rem propriam all’incasso con patto di compensazione tra l’attuale credito restitutorio della banca e il futuro credito del mandante per l’accreditamento degli importi incassati.

9.2. Invero, nella cessione prò solvendo ex art. 1198 cod. civ., come detto, l’acquisto della titolarità del credito da parte del cessionario tiene luogo dell’adempimento del cedente, realizzando direttamente l’effetto satisfattorio sull’oggetto della diversa prestazione, mentre il profilo della garanzia emerge solo nell’ipotesi di inadempimento del debitore ceduto, a tal fine essendo previsto che «l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito, se non risulta una diversa volontà delle parti». Nella cessione con funzione di garanzia, invece, il trasferimento del credito al cessionario è destinato solo in via sussidiaria ed eventuale a realizzare l’obbligazione principale, mediante l’escussione del debito ceduto oggetto della garanzia. Sul punto la dottrina ha messo in evidenza alcune analogie esistenti tanto con la riscossione del credito pignoratizio ex art. 2803 cod. civ., quanto con i contratti “di cessione del credito o di trasferimento della proprietà di attività finanziarie con funzione di garanzia” disciplinati dal d.lgs. 21 maggio 2004, n. 170 (in particolare quanto alla forma di autotutela satisfattiva contemplata dall’art. 5, comma 2, richiamato dall’art. 6, comma 3, assimilabile a quella attribuita al titolare del credito ceduto in garanzia, con esclusione di un meccanismo immediatamente satisfattorio proprio con riferimento alla cessione dei crediti in garanzia).

9.3. In altri termini, è proprio la natura accessoria della garanzia a collocare la riscossione del debito ceduto su un piano “subordinato” – o comunque diverso rispetto all’ipotesi della cessione solutoria – rispetto alla riscossione del credito originario garantito (con la precisazione che le frequenti pattuizioni di “estinzione progressiva” del debito principale, non ancora scaduto, attraverso l’escussione dei debiti ceduti viene in dottrina ricondotta ad un meccanismo atipico di “ritenzione definitiva”).

9.4. Peraltro, poiché gli artt. 1260 ss. non individuano uno specifico tipo contrattuale (potendo il credito essere trasferito a titolo di vendita, donazione, conferimento societario, datio in solutum, garanzia o altro), ma si limitano a regolare gli effetti del trasferimento del diritto di credito, la disciplina del singolo negozio di cessione di credito va ricostruita sulla base dello scopo perseguito dalle parti, applicando le norme suddette – in uno alle disposizioni, codicistiche o pattizie, che regolano il rapporto contrattuale di riferimento, tipico o atipico – alla luce della concreta funzione economico-sociale del negozio.

9.5. I superiori approdi trovano riscontro anche nella disciplina del factoring contenuta nella legge n. 52 del 1991, il cui art. 4 prevede, all’opposto della previsione codicistica, l’assunzione da parte del cedente dell’obbligo di garantire la solvenza del debitore, salvo che il cessionario non vi rinunci. Tanto che la dottrina ha al riguardo osservato che, nel contratto di factoring con prevalente causa di finanziamento, l’effetto traslativo della cessione rappresenta uno strumento di garanzia atipica del soddisfacimento del credito del factor derivante dall’erogazione dell’anticipazione; funzione di garanzia che resterebbe, però, evidentemente compromessa, ove si imponesse al factor l’onere di escutere preventivamente il debitore ceduto, con il risultato che il credito derivante dall’anticipazione diverrebbe esigibile solo nel momento in cui risultassero infruttuose le azioni, anche esecutive, esercitate dal cessionario contro il ceduto.

9.7. Deve dunque darsi seguito all’orientamento di questa Corte, sopra citato, con affermazione del seguente principio di diritto:

In caso di cessione del credito effettuata non in funzione solutoria, ex art. 1198 cod. civ., ma esclusivamente a scopo di garanzia di una diversa obbligazione dello stesso cedente, il cessionario è legittimato ad agire sia nei confronti del debitore ceduto che nei confronti dell’originario debitore cedente senza essere gravato, in quest’ultimo caso, dall’onere di provare l’infruttuosa escussione del debitore ceduto“.

10. Il decreto impugnato va quindi cassato con rinvio al Tribunale di Forlì, in diversa composizione, il quale si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Forlì, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.