Corte di Cassazione, sentenza n. 9085 depositata il 31 marzo 2023
cessione di azienda o ramo di azienda – responsabilità – cessionario – responsabilità
FATTI DI CAUSA
1. La società contribuente S. SRL ha impugnato una cartella di pagamento, emessa a termini dell’art. 36-bis P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e relativa a omessi versamenti IVA del periodo di imposta 2003 oltre sanzioni e interessi, notificatale quale responsabile solidale a termini dell’art. 14 d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 quale cessionaria dell’azienda di C.P.A. di C.S. & C. SAS.
2. La società contribuente ha dedotto, per quanto qui ancora rileva, l’assenza dei presupposti per l’applicazione della responsabilità
3. La CTP di Ancona ha accolto il ricorso, rilevando che i crediti erariali erano stati accertati dopo la cessione d’azienda.
4. La CTR delle Marche, con sentenza in data 10 luglio 2019, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello che la responsabilità del cessionario è limitata al debito risultante dagli atti degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria, rilevando come l’Amministrazione finanziaria avesse rilasciato certificazione a termini dell’art. 14, comma 3, d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 dalla quale non risultava il debito oggetto della cartella impugnata neanche in relazione alle contestazioni in corso, in quanto accertato successivamente alla cessione d’azienda, per cui ha ritenuto che i debiti non accertati al momento della cessione rimangono al di fuori delle obbligazioni solidali imputabili al cessionario.
5. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a un unico motivo, cui resiste con controricorso la società contribuente, ulteriormente illustrato da memoria. L’agente della riscossione, intimato quale successore a titolo universale dell’originario concessionario (Cass., Sez. U., 8 giugno 2021, n. 15911), non si è costituito in giudizio.
6. Con ordinanza interlocutoria in data 2 dicembre 2021 la causa è stata rimessa alla Sezione tributaria dalla Sesta Sezione.
7. Con decreto del 21 marzo 2022 è stata dichiarata inammissibile l’istanza di trattazione orale in quanto tardiva in ragione della previsione dell’art. 23, comma 8-bis, d.l. n. 137/2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2560 cod. civ. e 14, commi 1, 2, 3 d. lgs. n. 472/1997. Osserva parte ricorrente che le violazioni a carico del cedente di cui alla cartella impugnata sono state accertate in epoca successiva alla cessione di azienda, avvenuta in data 25 settembre 2003. Deduce il ricorrente che l’art. 14, comma 2, d. lgs. n. 472/1997, nella parte in cui prevede che il cessionario risponda solidalmente dei debiti del cedente risultanti dagli atti dell’Amministrazione finanziaria, riguarda i debiti delle annualità già accertate e quelle potenzialmente accertabili, ma non anche le annualità che non siano ancora accertabili. Osserva il ricorrente che, dalla disciplina dell’art. 14, commi 2 e 3, d. lgs. n. 472/1997, derogatoria di quella di diritto comune prevista dall’art. 2560 cod. civ., si evincerebbe il principio secondo cui la certificazione negativa (od omessa nei quaranta giorni dalla richiesta effettuata dal contribuente all’Amministrazione finanziaria) non potrebbe riguardare i carichi non ancora oggetto di accertamento e, tra questi, i carichi tributari relativi al periodo di imposta dell’anno di cessione («la norma non può mai far riferimento alle violazioni tributarie commesse nel corso dell’anno di cessione»), non potendo «esistere alcun accertamento dell’Ufficio tenuto conto che la dichiarazione dell’anno di cessione e da cui possono emergere eventuali violazioni tributarie viene presentata a partire dall’anno successivo» (pag. 16 ric.). Nella sostanza, il ricorrente assume che l’efficacia liberatoria del certificato avrebbe riguardo alle sole violazioni tributarie commesse nei due anni precedenti l’esercizio in cui è avvenuto il trasferimento di azienda e non anche a quelle relative al periodo di imposta in cui la cessione è avvenuta.
2. Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, essendo lo stesso rispettoso del principio di chiarezza e di specificità, così come non sussiste violazione per mancata indicazione delle norme di diritto violate.
3. Ugualmente infondata è l’eccezione di formazione del giudicato interno in relazione al capo della sentenza di appello circa la insussistenza di contestazioni in corso, posto che l’oggetto del ricorso riguarda proprio l’inapplicabilità della certificazione negativa relativa alla insussistenza di carichi pendenti ai debiti tributari non ancora oggetto di contestazione.
4. Il ricorso, come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero e adeguatamente argomentato dal controricorrente, anche in memoria, è infondato. Dispone l’art. 14, comma 1, d. lgs. n. 472/1997, che il cessionario è responsabile solidalmente con il cedente, salvo il beneficio di escussione (responsabilità di natura sussidiaria rispetto a quella del cedente), entro i limiti del valore del ramo di azienda ceduto, per il pagamento di imposte e sanzioni «riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore» (art. 14, comma 1, d. lgs. cit.). Questa responsabilità del cessionario deroga al principio di cui all’art. 2560, secondo comma, cod. civ., che limita per gli altri creditori la responsabilità del cessionario se ed in quanto l’obbligazione risulti dalle scritture contabili obbligatorie del debitore cedente, essendo in questo caso l’obbligazione solidale e sussidiaria del cessionario svincolata da tali risultanze e scaturente dalla mera sussistenza del credito erariale, quale risultante dagli «atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza» (art. 14, comma 2, d. lgs. cit.).
5. La responsabilità del cessionario per i debiti di imposta si configura, pertanto, in termini più estesi rispetto alla generale responsabilità del cessionario per i debiti aziendali, in quanto l’opponibilità del credito non consegue alle risultanze delle scritture contabili del debitore dell’azienda ceduta ma a quanto risulti al creditore. Tale responsabilità non opera, tuttavia, in termini assoluti, diversamente da un’obbligazione pecuniaria inerente l’azienda ceduta di rilevanza eurounitaria, quale quella dei lavoratori dipendenti (art. 2112 cod. civ.), in cui vi è piena tutela nei confronti del cessionario negli stessi termini in cui la tutela opera in danno del cedente (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12, punto 41). La legge circoscrive, difatti, la responsabilità solidale del cessionario dei debiti tributari in relazione al valore del compendio aziendale (azienda o ramo) oggetto di trasferimento, prevedendo che il debito tributario non sia esigibile se non «entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda» (art. 14, comma 1, cit.). In secondo luogo, questa responsabilità, solidale e sussidiaria del cessionario dei crediti come risultanti al creditore erariale, è limitata ai debiti tributari maturati nell’ultimo triennio dalla cessione («riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti»: art. 14, comma 1, cit.). Per i debiti tributari derivanti da violazioni dei periodi di imposta precedenti e non risultanti dalle scritture contabili, la responsabilità sussiste se vi sia stata una precedente contestazione, peraltro ove intervenuta nel medesimo triennio («per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore»).
6. Dette limitazioni non sussistono, invece, se la cessione di azienda viene effettuata in frode ai crediti tributari nei confronti del cedente (art. 14, comma 4, d. lgs. n. 472/1997), ipotesi nella quale il legislatore detta alcune disposizioni antielusive, quali l’applicazione della norma anche in caso di trasferimento frazionato di beni (art. 14, comma 4, cit.), ovvero la presunzione iuris tantum di trasferimento di azienda in frode ove effettuato nei sei mesi da una contestazione penalmente rilevante (art. 14, comma 5, lgs. cit.); ciò a rimarcare la radicale differenza di trattamento del trasferimento di azienda conforme a legge (art. 14, commi 1, 2 cit.) da quello «in frode dei crediti tributari» di cui al comma 4 (da ultimo Cass., Sez. V, 1° aprile 2022, n. 10647; Cass., Sez. V, 14 gennaio 2022, n. 1027; Cass., Sez. V; 27 maggio 2021, n. 14759).
7. L’interpretazione letterale dei primi due commi dell’art. 14 cit. consente di trarre una prima conclusione. In primo luogo, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il periodo di imposta in corso al momento del trasferimento di azienda non è trattato diversamente dai due periodi precedenti. In secondo luogo, per le violazioni commesse negli esercizi dell’ultimo triennio, la responsabilità sussiste per il solo fatto il debito risulti all’ente creditore, anche se non vi è stata una specifica contestazione, occorrendo una specifica contestazione per i debiti antecedenti al triennio. Ne consegue che, secondo l’interpretazione letterale della norma, i debiti tributari per i quali è solidalmente e sussidiariamente responsabile il cessionario (nei limiti del valore del ramo di azienda), in assenza di specifica contestazione all’atto della cessione, sono quelli dell’ultimo triennio (periodo di imposta in corso e due precedenti).
8. Venendo, più specificamente, alla questione dedotta dal ricorrente, il legislatore ha previsto a tutela del cessionario – che si troverebbe comunque esposto, anche in caso di cessione non in frode ai crediti tributari, alla responsabilità per i debiti tributari dell’ultimo triennio, benché non risultanti dalle scritture contabili – uno strumento che gli consente di ovviare all’assenza di riscontro del debito nelle scritture contabili del contribuente. Il contribuente può, difatti, chiedere e ottenere dall’Amministrazione finanziaria «un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti» che «se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario», effetto liberatorio che si verifica anche «ove il certificato non sia rilasciato entro quaranta giorni dalla richiesta» (art. 14, comma 3, d. lgs. n. 472/1997). Tale disposizione, analoga all’abrogato art. 19 l. 7 gennaio 1929, n. 4, coniuga la specialità della responsabilità per il cessionario di azienda per i debiti di imposta (che non richiede, ai fini della loro opponibilità, un riscontro nelle scritture contabili del cedente) con il principio di affidamento del contribuente. Il contribuente non è tenuto a rispondere dei debiti tributari del cedente non risultanti dalle scritture contabili e non ancora accertati (c.d. debiti «in itinere»), ove l’Ufficio, debitamente interpellato, nei quaranta giorni dalla richiesta, rilasci la certificazione dell’assenza di ulteriori debiti di imposta, ovvero ometta di provvedere. Se non vi fosse uno strumento che consentisse al cessionario di conoscere l’esistenza di questi debiti tributari nella cessione d’azienda conforme a legge, la responsabilità alla quale verrebbe chiamato il cessionario sarebbe – come osservato in dottrina – una responsabilità sanzionatoria per fatto illecito altrui. Per quanto il cessionario possa essere chiamato a rispondere anche di debiti tributari non risultanti dalle scritture contabili, a sua tutela vi è uno strumento che lo mette in condizione di conoscere l’esistenza di questi debiti e che, in caso di certificazione dell’inesistenza di debiti tributari, gli consente di usufruire di un effetto liberatorio ex lege degli eventuali carichi fiscali che dovessero accertarsi in capo al cedente («se negativo, ha pieno effetto liberatorio del cessionario»).
9. Tale certificato, ove negativo, non può che riferirsi a tutti i debiti che siano opponibili al cessionario in assenza di riscontro dalle scritture contabili, purché risultanti all’Amministrazione finanziaria, ciò in quanto l’istituto ha lo scopo di sottrarre il cessionario a una responsabilità da illecito altrui, conseguente alla consumazione della violazione tributaria da parte del cedente il quale, al contempo, non ha esposto il debito tributario nelle proprie scritture contabili. Né si ricava testualmente dal comma 3 dell’art. 14 cit. (come non la si ricavava dall’abrogato art. 19 l. n. 4/1929) una limitazione dell’effetto liberatorio alle annualità precedenti il periodo di imposta oggetto del trasferimento di azienda. L’interpretazione letterale dell’art. 14, comma 3, d. lgs. cit. consente – pertanto – di ritenere che l’efficacia liberatoria del certificato relativo ai carichi tributari si riferisca sia ai periodi precedenti il periodo di imposta del trasferimento di azienda, sia al periodo di imposta in corso al momento del trasferimento. Leggendosi, pertanto, il richiamato comma 3 unitamente ai due commi precedenti dell’art. 14 cit., si ricava la conclusione che la responsabilità del cessionario relativa ai debiti aziendali dell’ultimo triennio può essere neutralizzata dal rilascio del certificato dell’Amministrazione finanziaria anche in relazione alle violazioni accertate per l’esercizio in corso all’atto del trasferimento.
10. Si condivide, pertanto, quanto argomentato dal Pubblico Ministero, ove osserva «che l’art. 14, commi 1, 2 e 3, del lgs. n. 472 del 1997, relativo alla cessione di azienda, è norma speciale rispetto all’art. 2560, secondo comma, c.c., che, per evitare che sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico, estende la responsabilità solidale e sussidiaria del concessionario anche alle imposte ed alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché alle imposte ed alle sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore, sempre che risultino dagli atti dell’Ufficio (Cass. 13/07/2017, n. 17264) (…) Dunque, non v’è da dubitare che una volta rilasciato il “certificato negativo” da parte dell’amministrazione finanziaria — ed è esattamente quanto accaduto nella vicenda all’esame —, il cessionario non poteva più essere chiamato a rispondere dei debiti tributari maturati nell’anno in corso rispetto alla cessione dell’azienda, considerato, per un verso, che la norma in esame attribuisce al certificato negativo «pieno effetto liberatorio» senza distinzioni di sorta e, soprattutto, senza escludere i crediti maturati nel corso dell’anno in cui l’atto traslativo si è perfezionato, e per altro verso, che la ratio della disciplina in commento è chiaramente tesa a dare certezza al cessionario circa l’esatta entità dei debiti tributari in capo al cedente, compresi ovviamente quelli ancora in corso di accertamento, perché appunto maturati nell’immediatezze della cessione».
11. Deve, quindi, darsi continuità al precedente – citato dallo stesso ricorrente – sul quale il controricorrente torna diffusamente in memoria, secondo cui l’art. 14, commi 1, 2 e 3, d.lgs. n. 472/1997, relativo alla cessione di azienda conforme a legge, è norma speciale rispetto all’art. 2560, comma 2, cod. civ., che estende la responsabilità solidale e sussidiaria del concessionario anche alle imposte ed alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nell’esercizio in cui è avvenuta la cessione oltre che nei due periodi di imposta precedenti, salvo che sia rilasciato certificato dell’Amministrazione che, ove negativo o anche rilasciato tardivamente, assolve a «una funzione liberatoria anticipata» dalla suddetta responsabilità (Cass., Sez. V, 13 luglio 2017, n. 17264). Principio ribadito di recente da questa Corte, ove si è osservato che «il contribuente, per evitare di incorrere in responsabilità per debiti di imposta relativi al triennio anteriore alla data di stipula della cessione di azienda, deve chiedere agli uffici dell’Amministrazione finanziaria ed agli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza un “certificato” sull’esistenza di “contestazioni in corso” e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Infatti, ove venga rilasciato tale certificato di assenza di contestazioni in corso o di contestazioni “già definite” ne scaturisce un “pieno effetto liberatorio” del cessionario (Cass., Sez. V, 24 giugno 2021, n. 18117). Principio, peraltro, condiviso dalla stessa Amministrazione finanziaria, ove osserva che «nel certificato devono essere enunciate anche le violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione o nel biennio precedente e già constatate dall’ufficio o dell’ente competenti, ancorché alla data del trasferimento non sia stato ancora emesso il relativo atto di contestazione o di irrogazione della sanzione» (Circ. del 10 luglio 1998 n. 180).
12. L’attività ricognitiva dell’Amministrazione finanziaria su richiesta del cessionario a termini dell’art. 14, comma 3, d. lgs. n. 472/1997, oltre che rispettosa del principio di legittimo affidamento del contribuente (art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212), non appare, del resto, dissimile da altri istituti che fanno affidamento sulla collaborazione tra fisco e contribuente, come in caso di apposizione del «visto pesante» da parte del professionista in materia di rimborso delle eccedenze di imposta IVA («dichiarazione o istanza da cui emerge il credito richiesto a rimborso recante il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa di cui all’articolo 10, comma 7, primo e secondo periodo, del decreto-legge 10 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto n. 102»: art. 13, comma 3, d. lgs. 21 novembre 2014, n. 175). Attività, inoltre, analoga a quella richiesta all’ente impositore in caso di transazione fiscale – nella quale sono coinvolti interessi di terzi (altri creditori del contribuente) – dove l’Ufficio è tenuto a rilasciare una «certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché dai ruoli vistati, ma non ancora consegnati all’agente della riscossione» (art. 182-ter, secondo comma, l. fall., art. 93, comma 3, d. lgs. d. lgs. 12 gennaio 12 gennaio 2019, n. 14).
13. Il rilascio del certificato si configura, pertanto, come comportamento diligente cui è tenuto il cessionario (Cass., Sez. V, 16 luglio 2020, n. 15172, Cass., Sez. V, 14 marzo 2014, n. 5979), che intenda giungere alla liberazione dalla eventuale responsabilità solidale nella cessione di azienda conforme a legge (art. 14, commi 1 – 3, d. lgs. n. 472/1997). L’avvenuto rilascio del certificato negativo comporta, pertanto, la liberazione del cessionario dalla responsabilità solidale anche per i debiti insorti nell’anno oggetto del trasferimento.
14. Va, infine, osservato che l’Amministrazione finanziaria non possa ritenersi del tutto priva di tutela in caso di cessione di azienda, restando salvo per l’Ufficio, come si è visto, l’accertamento della cessione in frode a termini dell’art. 14, comma 4, d. lgs. cit. (il cui onere della prova ricade sull’Amministrazione finanziaria), essendo l’illecito, in quest’ultimo caso, ricollegabile anche al comportamento del cessionario (Cass., Sez. V, 20 novembre 2020, n. 26480; Cass., Sez. VI, 10 aprile 2017, n. 9219; Cass., Sez. V, 14 marzo 2014, n. 5979); fattispecie, peraltro, fatta salva anche in caso di cessioni operate in ambito concorsuale (art. 14, comma 5-bis, d. lgs. n. 472/1997), a conferma della natura di norma di chiusura a tutela dell’Erario.
15. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi. Il ricorso va, conseguentemente, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo. Non sussistono i presupposti di cui all’art. 96 cod. proc. civ., non ritenendosi che il ricorrente abbia agito senza aver adoperato la normale diligenza (Cass., Sez. III, 11 febbraio 2022, n. 4430). Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., Sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 1778).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 11.800,00, oltre 10% spese generali, € 200,00 per rimborsi e accessori di legge.