CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10458 depositata il 20 maggio 2016
PLURALITA’ DI OPERAZIONI INDIVIDUALMENTE LECITE E RECIPROCAMENTE COORDINATE – CONSEGUIMENTO DI UN RISPARMIO TRIBUTARIO – CONFIGURAZIONE DI OPERAZIONI ELUSIVE O ABUSO DEL DIRITTO – VALUTAZIONE CASO PER CASO – RIPARTO DELL’ONERE DI PROVA TRA CONTRIBUENTE E UFFICIO
CONSIDERATO IN FATTO
L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti della s.p.a. C.G. e figli (che resiste con controricorso) per la cassazione della sentenza n. 258/5/08 con la quale la CTR della Campania, in controversia concernente impugnazione di un avviso di accertamento per Iva, Irpeg e Irap relative all’anno 2002, in parziale accoglimento dell’appello principale della società e dell’appello incidentale dell’Agenzia, ha annullato tutti rilievi contenuti nell’avviso opposto ad eccezione dei rilievi numeri 1 e 9.
In particolare, per quanto ancora rilevante nella specie, i giudici d’appello hanno escluso che l’acquisto da parte della attuale controricorrente della partecipazione delle quote della società S. s.r.l. – proprietaria di un terreno al quale la suddetta controricorrente era interessata – in luogo dell’acquisto del solo terreno, l’acquisto del terreno medesimo dalla partecipata al costo storico e la successiva svalutazione della partecipazione non costituiscono operazione elusiva ai sensi dell’art. 37 bis d.p.r. n. 600 del 1973.
La società contribuente ha depositato memoria illustrativa.
RITENUTO IN DIRITTO
Col primo motivo, deducendo vizio di motivazione, l’Agenzia ricorrente si duole del fatto che la CTR abbia omesso di esaminare sia il motivo di impugnazione principale ed assorbente concernente l’assoluta indeducibilità della svalutazione della partecipazione nella società S. nel presupposto che fosse configurabile un’operazione elusiva, sia l’ulteriore problema derivante in via consequenziale dalla tesi accolta, concernente la deducibilità dei costi in contestazione in cinque quote costanti anziché in un unico esercizio, onde la sentenza dovrebbe essere cassata per consentire di esaminare concretamente le questioni vanamente rappresentate dall’Ufficio.
Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 37 bis d.p.r. 600/1973 e dei principi comunitari in materia di abuso del diritto, la ricorrente chiede a questo giudice di dire se per il divieto di operazioni elusive contenuto nell’art. 37 bis d.p.r. 600/73 o per il divieto di abuso del diritto affermato dalla normativa comunitaria e dai principi costituzionali, l’amministrazione finanziaria possa disconoscere i vantaggi fiscali conseguiti dal contribuente attraverso una pluralità di operazioni individualmente lecite e reciprocamente coordinate che, in quanto prive di una effettiva ragione economica, risultino finalizzate a raggiungere i risultati normalmente conseguibili attraverso una diversa operazione assoggettata ad un più oneroso trattamento tributario, e se incorra nella violazione di questo principio la sentenza impugnata che abbia ritenuto legittima la deduzione della perdita subita dalla contribuente che abbia ritenuto legittima la deduzione della perdita subita dalla contribuente per effetto della svalutazione della partecipazione totalitaria assunta in una società proprietaria di un terreno necessario per l’espletamento della propria attività di impresa omettendo di considerare che, come evidenziato dall’ufficio impositore nell’atto impositivo e nelle difese in giudizio: a) l’acquisto della partecipazione delle quote della società proprietaria del terreno in luogo dell’acquisto del solo terreno costituisce operazione astrattamente idonea a realizzare un risparmio fiscale perché consente di dedurre il costo dell’eventuale svalutazione delle quote acquistate a fronte dell’impossibilità di ammortizzare il costo del terreno; b) la svalutazione della partecipazione, contabilizzata in base all’effettivo valore del patrimonio della partecipata, si è determinata per effetto della cessione del terreno operata dalla stessa partecipata alla partecipante al prezzo storico anziché a quello di mercato in contrasto con le ordinarie regole di razionalità economica.
Col terzo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che la motivazione della sentenza impugnata sia insufficiente nella parte in cui non ha riconosciuto la sussistenza di una operazione elusiva e di un caso di abuso del diritto illogicamente sostenendo la legittimità degli atti in contestazione.
Col quarto motivo, deducendo ulteriore vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano annullato tutti i rilievi ad eccezione del rilievo n. 9 omettendo qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata ovvero al merito di ciascun rilievo, semplicemente sulla base di considerazioni astratte disancorate dal caso concreto omettendo di esaminare le specifiche ragioni poste a base dei recuperi di imposta in contestazione.
I motivi 1, 3 e 4 sono inammissibili. In particolare, nei motivi 1 e 3 manca l’illustrazione prescritta dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c. (disposizione applicabile nella specie ratione temporis), a norma del quale, in ipotesi di denuncia di vizio di motivazione, è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (tra le altre v. cass. n. 8897 del 2008), l’onere di indicare chiaramente tale fatto, le ragioni della sua decisività nonché le ragioni per le quali la motivazione in relazione ad esso è da ritenersi insufficiente deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso ma anche formulando al termine di esso una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un “quid puris” rispetto alla illustrazione del motivo.
Con riguardo al quarto motivo, invece, la “sintesi” che lo conclude manca delle caratteristiche richieste dalla illustrazione prevista dal citato articolo 366 bis c.p.c., posto che in tale sintesi manca assolutamente l’indicazione del o dei fatti in ordine ai quali la motivazione sarebbe insufficiente nonché delle ragioni della suddetta insufficienza e, a fortiori, della evidenziazione della decisività dei suddetti fatti.
II secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità – alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene -, è ravvisabile elusione nell’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale (v. tra numerose altre cass. nn. 4603 del 2014 e 21390 del 2012).
Correttamente pertanto la ricorrente evidenzia i presupposti perché l’amministrazione finanziaria possa disconoscere i vantaggi fiscali conseguiti dal contribuente attraverso una pluralità di operazioni individualmente lecite e reciprocamente coordinate che, in quanto prive di una effettiva ragione economica, risultino finalizzate a raggiungere risultati normalmente conseguibili attraverso una diversa operazione assoggettata ad un più oneroso trattamento tributario. Tuttavia i giudici d’appello non hanno errato nella individuazione dei richiamati presupposti e pertanto non sono incorsi nella denunciata violazione di legge, ma, confermando la statuizione dei giudici di primo grado in proposito, hanno escluso che nella specie ricorressero i presupposti suddetti, e sono giunti a tale conclusione attraverso un accertamento in fatto non ammissibilmente censurato in questa sede.
Il ricorso deve essere pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna a ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 7.000,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.
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