CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 11860 del 9 giugno 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – LICENZIAMENTI DISCIPLINARI – CCNL – SANZIONE CONSERVATIVA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con sentenza del 19 aprile 2013 la Corte di Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato il 16 febbraio 2010 dalla Agenzia delle Entrate nei confronti di A. R.G., con le pronunce reintegratorie e patrimoniali consequenziali.
Premesso che la contestazione disciplinare atteneva ad alcuni interventi della A. all’interno di un blog promosso da magistrati, ritenuti dall’amministrazione dai “contenuti altamente lesivi dell’immagine e della professionalità dell’Agenzia delle Entrate, dei suoi addetti nonchè del sistema fiscale”, la Corte territoriale ha ritenuto illegittimo il licenziamento non preceduto da alcuna sanzione conservativa.
Ha osservato che, posto il principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni disciplinari posto dal d.lgs. 165/2001, art. 55, l’art. 67 del CCNL relativo al personale del comparto delle agenzie fiscali 2002 – 2005 prevede per le “manifestazioni ingiuriose nei confronti dell’Agenzia” una prima sanzione minore (sospensione sino a 10 giorni) ed una più grave (sospensione da 11 giorni sino a 6 mesi, nel caso di recidiva).
Ha dunque richiamato a sostegno della declaratoria di illegittimità del recesso un precedente della Suprema Corte secondo cui, in caso di licenziamento disciplinare, deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore sia contemplato dal contatto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di un’autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, a meno che non si accerti che le parti (non) avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva.
2.- Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso l’intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.- Con l’unico mezzo di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione del d.lgs. 165/2001, art. 55, dell’art. 67 del CCNL relativo al personale del compatto delle agenzie fiscali per il quadriennio normativo 2002 – 2005 e biennio economico 2002 – 2003 nonchè degli artt. 2106 e 2119 c.c..
Si censura la sentenza impugnata “per avere letto la normativa contrattuale (e legislativa) nel senso che precluderebbe l’autonoma e globale valutazione di fatti che, considerati nel loro complesso, determinano una giusta causa di licenziamento ai sensi della disciplina civilistica solo perchè singolarmente considerati quale ipotesi minori di illecito”.
4.- Il motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha fatto altro che consapevole e coerente applicazione di un principio sovente affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione da parte del giudice, a meno che non si accerti che le parti avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva (Cass. n. 9223 del 2015; Cass. n. 13353 del 2011; Cass. n. 1173 del 1996).
Parte ricorrente non ha in alcun modo specificamente confutato tale principio di diritto, nè il Collegio ravvisa ragione per discostarsene, essendo necessario rapportare lo specifico addebito alla situazione concretamente verificatasi alla luce delle previsioni collettive espressamente stabilite nella materia delle sanzioni disciplinari.
I giudici del merito hanno ricostruito il fatto riconducendo l’addebito contestato alla A. nell’ambito di una delle fattispecie disciplinari punibili, secondo contratto collettivo, da una sanzione conservativa. Si tratta di accertamento di fatto che, essendo la sentenza d’appello pubblicata nel vigore del novellato art. 360 c.p.c. comma 1, n. 5, non può essere sindacato da questa Corte ove non adeguatamente censurato – come nella specie – nelle modalità previste da Cass. sez. un., n. 8053 del 2014. Ne consegue che il condiviso principio innanzi espresso determina l’infondatezza del gravame.
5.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Nonostante il ricorso per cassazione risulti proposto in data 16 agosto 2013, non può darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al d.p.r. 115/2002, art. 13, comma 1quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, in quanto l’Agenzia delle Entrate è amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura dello Stato istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. sez. un., n. 9938 del 2014; Cass. n. 5955 del 2014; Cass. n. 23514 del 2014).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 3.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% nonchè accessori secondo legge.
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