CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 1464 del 27 gennaio 2016
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – VERIFICA MOVIMENTAZIONI DI CONTI CORRENTI BANCARI ESCLUSIVAMENTE A FAMILIARI DEI SOCI – ONERE DI PROVA DELL’AMMINISTRAZIONE DEL CARATTERE DI INTESTAZIONE FITTIZIA DEL CONTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C. di G.K. & C. s.n.c., propone ricorso per cassazione in sedici motivi, illustrati anche con memoria, avverso sentenza della C.T.R. del Veneto, che, respinto l’appello della società contribuente e accolto quelli dell’Agenzia, ha (per quanto ancora rileva) affermato l’integrale legittimità di avviso di rettifica iva per l’anno 2006, fondata sulle movimentazioni dei conti correnti bancari intestati alla società, alle socie ed a loro familiari, e della conseguente cartella.
L’Agenzia resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, la società contribuente censura, sotto il profilo dell’omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c. e sotto quello della violazione di legge, il mancato accoglimento da parte dei giudici di appello dell’eccezione d’inammissibilità del gravame per carenza di legittimazione processuale dell’Agenzia territoriale e del relativo direttore (in assenza di delega del direttore dell’Agenzia centrale), basata sul presupposto che, ai sensi dell’art. 68, comma 1, d.lgs. 300/1999, detta legittimazione compete al solo il direttore dell’Agenzia centrale.
Il secondo motivo, articolato in termini di violazione di legge, è infondato.
Invero – per consolidata giurisprudenza di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi (v. Cass., ss.uu., 3116/06 e Cass. 6338/08, 16830/14, 20911/14) – in tema di contenzioso tributario, la legittimazione processuale degli uffici locali dell’Agenzia delle entrate trova fondamento nella norma statutaria (art. 5, comma 1, del Regolamento di amministrazione delle Agenzie) adottata ai sensi dell’art. 66 d.lgs. n. 300 del 1999; con l’effetto che agli uffici locali va riconosciuta la posizione processuale di parte e l’accesso alla difesa davanti alle commissioni tributarie tramite la rappresentanza del direttore, permanendo la vigenza degli artt. 10 e 11 d.lgs. 546/1992 e 7 d.p.r. 636/1972.
L’infondatezza del secondo motivo ed il conseguente rigetto comporta, nella prospettiva dell’applicazione del criterio di cui a Cass., ss.uu. 9936/14 e 26242/14, l’assorbimento del primo.
Con il terzo ed quarto motivo di ricorso (che per la stretta connessione possono essere congiuntamente esaminati), la società contribuente – deducendo “violazione e falsa applicazione dell’art. 51 D.P.R. 26.10.1972, n. 633 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”, in duplice prospettiva – censura la decisione impugnata per aver utilizzato, ai fini dell’accertamento a carico della società, movimentazioni di conti correnti bancari, prive di ulteriori riscontri, e, peraltro, tratte anche da conti correnti non intestati alla società, bensì alle socie e ad altri soggetti privi di diretto collegamento con la società (in particolare: familiari delle socie), pur in assenza di prove sulla riferibilità di detti conti alla società.
La complessiva doglianza è solo parzialmente fondata, posto che l’avviso di rettifica impugnato deve ritenersi legittimo, quanto alla parte fondata sulle movimentazioni dei conti correnti bancari intestati alla società ed alle socie, ed illegittimo, quanto alla parte fondata sulle movimentazioni di conti correnti intestati ad altri soggetti, diversamente collegati alla società.
Deve, invero darsi seguito alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di accertamento a carico di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dagli artt. 32, comma 1 nn. 2 e 7, d.p.r. 600/1973 e 51, comma 2 nn. 2 e 7, d.p.r. 633/1972, le movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soci, tenuto conto del fatto che, le peculiari caratteristiche della compagine sociale sono idonee a far presumere, salva la facoltà di provare la diversa origine delle entrate, la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci (cfr. Cass. 6595/13); mentre l’utilizzazione delle risultanze dei conti-correnti bancari intestati esclusivamente a soggetti diversi, ancorché legati ai soci da vincoli familiari è illegittimo, salvo che l’Ufficio alleghi e comprovi, in relazione alle circostanze del caso concreto, il carattere fittizio dell’intestazione del conto o, comunque, la sostanziale riferibilità alla società o ai soci delle posizioni creditorie e debitorie annotate sul conto medesimo (cfr. Cass. 11145/11).
Con il quinto mezzo, la società ricorrente deduce “omessa pronuncia sulla prova fornita in merito alle movimentazioni bancarie, e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4)” e formula il seguente quesito: “se la sentenza ha omesso di pronunciarsi sulla prova contraria fornita, già in primo grado, soprattutto con il deposito documenti datato 15.7.2005 depositato il 18.7.2005 con ricevuta S-4 937/05”.
Il motivo va disatteso.
Esso si rivela, infatti, inammissibile sia perché corredato da quesito che – sostanzialmente risolvendosi in mera generica richiesta di pronunciamento sull’esistenza della denunziata violazione di legge, ed essendo, peraltro, inidoneo ad esprimere di per se stesso i compiuti termini della proposta censura (cfr. Cass., ss.uu., 3519/08, Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07) – non risponde alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis), sia perché denunzia in prospettiva di omessa pronunzia, rilevante ai sensi degli artt. 112 e 360, comma 1 n. 4, c.p.c., una mancanza della decisione che, al più, configura vizio di motivazione censurabile con riguardo alla previsione dell’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c..
Con il sesto mezzo, la società contribuente deducendo “omessa instaurazione del contraddittorio di cui all’art. 51, primo comma, n. 2, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 633 (art. 360 n. 3 c.p.c.)” lamenta l’illegittimità degli accertamenti per difetto di contraddittorio, essendo questo, in concreto stato indebitamente delegato alla G.d.F.. Formula, al riguardo, il seguente quesito di diritto: “se sia legittimo l’accertamento di pretesi ricavi desunti dall’esame dei conti-correnti bancari in caso di contraddittorio svolto solo da soggetti diversi dall’Agenzia delle Entrate sulle singole movimentazioni dei conti correnti bancari con conseguente delega dell’attività di accertamento a soggetto non legittimato”.
La censura si rivela inammissibile per la violazione dell’art. 366 bis c.p.c., per ragioni del tutto analoghe a quelle esposte in occasione dell’esame di precedente motivo di ricorso, ed è, peraltro, infondato perché, pone quale presupposto della denunziata violazione di legge, una situazione di fatto (assenza di contraddittorio) che trova smentita nello stesso riscorso, ove (v. pag. 6) si dà atto della circostanza dell’avvenuto contraddittorio amministrativo a fine di accertamento con adesione.
Con il settimo mezzo, la ricorrente – deducendo “omesso rilascio dell’autorizzazione alla trasmissione all’Agenzia delle Entrate della ricorrente, oltre che dell’autorizzazione all’utilizzo a fini fiscali, della documentazione bancaria acquisita nel corso di indagine di p.g. condotta nei confronti di altro soggetto: art. 33, terzo comma, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (art. 360 n. 3 c.p.c.)” – sembra lamentare che l’autorizzazione dell’A.G. alla G.d.F. circa l’utilizzo a fini fiscali di atti del procedimento penale non basti a legittimare l’accertamento, essendo necessario ulteriore autorizzazione nei diretti confronti dell’Agenzia locale.
Formula il seguente quesito di diritto: “… se sia legittima la trasmissione della documentazione bancaria acquisita nel corso di indagine di P.G. a carico di un diverso soggetto, all ‘Agenzia Entrate competente per un soggetto invece estraneo all’indagine di P.G., in presenza di un’autorizzazione dell’A.G. all’utilizzo a fini fiscali, ma in assenza di autorizzazione dell’A.G. alla trasmissione all’Agenzia Entrate”.
In disparte l’inadeguatezza del quesito, la doglianza si rivela infondata.
Deve, invero, osservarsi che l’autorizzazione dell’A.G. è garanzia ai soli fini del procedimento penale (cfr.: Cass. 11203/07, 7947/09, 27149/11) e che, peraltro, dal testo dell’art. 33 d.p.r. 600/1973, emerge inequivocabilmente che l’autorizzazione dell’A.G. alla G.d.F. all’utilizzo ai fini fiscali di dati rilevati nel corso dell’indagine penale, è anche autorizzazione alla trasmissione di detti dati all’Agenzia delle Entrate.
Con l’ottavo ed il nono motivo di ricorso, la società contribuente censura, sotto il profilo dell’omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c. e sotto quello della violazione di legge, il mancato accoglimento da parte dei giudici di appello della doglianza relativa all’avvenuta omissione della “notizia immediata al soggetto interessato”, prescritta dall’art. 51 n. 7 d.p.r. 633/1972.
I motivi (da trattare congiuntamente nella prospettiva già perseguita nell’esame del primo e del secondo mezzo) vanno disattesi, poiché si riferiscono ad obbligo, imposto a carico degli istituti bancari, che non incide sulla validità dell’accertamento.
Con il decimo mezzo, la società ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte dei giudici di appello della dedotta illegittimità del ricorso operato dall’Ufficio alla rettifica analitica di cui all’art. 54 d.p.r. 633/1972 e non già all’accertamento induttivo ex art. 55.
La doglianza è in nuce infondata, atteso che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, da cui non vi è motivo di discostarsi (cfr., tra le altre, Cass. 13430/12 e 19258/05) – il contribuente non ha interesse a contestare l’emissione nei suoi confronti, da parte degli Uffici finanziari, di un accertamento analitico, invece che di un accertamento induttivo o sintetico, posto che l’eventuale adozione di questo implicherebbe per lui minori garanzie di quelle correlabili all’accertamento analitico.
Con il undicesimo mezzo, la società ricorrente – deducendo “violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 54 d.p.r. 29 settembre 1972 n. 633, in relazione al principio di ragionevolezza ex art. 3 cost. e al principio di capacità contributiva ex art. 53 Costituzione” sembrerebbe lamentare il mancato riconoscimento in detrazione dei costi correlati al maggior reddito accertato, in quanto necessari alla relativa produzione.
Formula il seguente quesito di diritto: “… se il disposto normativo di cui all’art. 51 d.p.r. 633/1972 secondo cui i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati … sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti significhi che l’eventuale maggior reddito accertato vada determinato solo ed esclusivamente sulla base di tali elementi o invece debba essere posto a base delle rettifiche e degli accertamenti sempre secondo il fondamentale canone della ragionevolezza ex art. 3 Cost. e conformemente al principio dì capacità contributiva ex art. 53 Cost.”.
Il motivo va disatteso.
Esso si rivela, infatti, inammissibile sia perché corredato da quesito che – sostanzialmente risolvendosi in mera generica richiesta di pronunciamento sull’esistenza della denunziata violazione di legge, ed essendo, peraltro, inidoneo ad esprimere di per se stesso i compiuti termini della proposta censura (cfr. Cass., ss.uu., 3519/08, Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07) – non risponde alle prescrizioni dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis), sia perché del tutto carente con riguardo al requisito di specificità, poiché non fornisce la benché minima indicazione dei pretesi costi né indica le modalità di calcolo del relativo ammontare.
La censura è, peraltro, infondata, non essendo onere dell’Amministrazione provare la ricorrenza dei presupposti dei componenti negativi del reddito (cfr. Cass. 16461/13, 3305/09, 4218/06).
Con il dodicesimo mezzo, la società ricorrente deduce “omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla dedotta illegittimità della rettifica attesa l’inesistenza della detrazione di costi non inerenti (rilievo n. 1 dell’avviso di rettifica e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.)” e formula il seguente quesito di diritto: “se la sentenza ha omesso di pronunciarsi sulla lamentata (nell’atto di costituzione in appello, controdeduzioni e appello incidentale della contribuente, al paragrafo 5.4 pag. 25) illegittimità del rilievo della detrazione di “costi non inerenti”.
Con il quattordicesimo mezzo, la società ricorrente denuncia “omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla illegittimità della rettifica de qua attesa l’inesistenza, sul piano probatorio e di fatto, della pretesa omessa fatturazione, violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.)” e formula il seguente quesito di diritto: “se la sentenza ha omesso di pronunciarsi sulla lamentata (nell’atto di costituzione in appello, controdeduzioni e appello incidentale della contribuente, al paragrafo 5.6, dalla fine di pag. 26 alla fine di pag. 30) illegittimità della rettifica de qua attesa l’inesistenza, sul piano probatorio e di fatto della pretesa omessa fatturazione”.
Le doglianze vanno disattese, in quanto inammissibili sia perché corredati di quesiti inadeguati alle prescrizioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., essendo inidonei ad esprimere di per se stessi i compiuti termini della proposta censura (cfr. Cass., ss.uu., 3519/08, Cass. 4311/08, 4309/08, 20603/07, 16002/07), sia perché, in assenza di puntuale riproduzione delle censure asseritamente trascurate dal giudice del gravame e delle modalità di relativa prospettazione, carenti del necessario grado di specificità.
Con il tredicesimo mezzo, la società contribuente – denunciando “omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla sottrazione dell’Ufficio all’onere della prova e conseguente delega dell’accertamento a soggetto non legittimato (rilievo n. 2 lettere a), f b), e), d) dell’avviso), violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.)” – sembra lamentare che l’autorizzazione dell’A.G. alla G.d.F. circa l’utilizzo a fini fiscali di atti del procedimento penale non basti a legittimare l’accertamento, essendo necessario ulteriore autorizzazione nei diretti confronti dell’Agenzia locale per estensione.
Formula il seguente quesito di diritto: “se la sentenza ha omesso di pronunciarsi sulla lamentata (nell’atto di costituzione in appello, controdeduzioni e appello incidentale della contribuente, al paragrafo 5.5, dalla fine di pag. 25 alla fine di pag. 26) Illegittimità della rettifica per sottrazione dell’Ufficio all’onere della prova e conseguente delega dell’accertamento a soggetto non legittimato (rilievo n. 2 lettere a, b, e, d)”.
In disparte l’inadeguatezza del quesito, la doglianza si rivela infondata.
Deve, invero, osservarsi che l’autorizzazione dell’A.G. è garanzia ai soli fini del procedimento penale (cfr.: Cass. 11203/07, 7947/09, 27149/11) e che, peraltro, dal testo dell’art. 33 d.p.r. 600/1973, emerge inequivocabilmente che l’autorizzazione dell’A.G. alla G.d.F. all’utilizzo ai fini fiscali di dati rilevati nel corso dell’indagine penale, è anche autorizzazione alla trasmissione di detti dati all’Agenzia delle Entrate.
Con il quindicesimo ed il sedicesimo mezzo, la società ricorrente lamenta la mancata considerazione da parte dei giudici di appello della dedotta nullità insanabile della cartella di pagamento per difetto di sottoscrizione.
La censura è in nuce infondata posto che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacché l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, respinte tutte le altre doglianze, vanno accolti il terzo ed il quarto motivo di ricorso nei limiti in precedenza precisati. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il terzo ed il quarto motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa, in relazione, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione.