CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 16697 depositata il 9 agosto 2016

ACCERTAMENTI E CONTROLLI – POTERI DEGLI UFFICI DELLE IMPOSTE – PRESUNZIONE EX ART. 32 DEL D.P.R. N. 600 DEL 1973 – PRELEVAMENTI DA PARTE DEL LAVORATORE AUTONOMO O PROFESSIONISTA SU CONTO CORRENTE BANCARIO – APPLICABILITA’ – ESCLUSIONE – VERSAMENTI – SUSSISTENZA

RITENUTO IN FATTO

I. A seguito di verifica fiscale effettuata nei confronti della Cassia Alluminio s.r.l., nel corso della quale era emerso che il contribuente C.D., di professione aiuto regista, conviveva con la figlia del legale rappresentante della predetta societa’, la G.d.F. riteneva opportuno estendere l’accertamento anche nei confronti del C., dal quale risultava che nel corso del 1997 il predetto aveva effettuato un elevato numero di operazioni su due conti correnti al medesimo intestati, con movimentazioni di somme di denaro di cospicua entita’, non giustificata dall’entita’ del reddito da lavoro autonomo dichiarato dal C. nell’anno in verifica.

Pertanto, sulla scorta del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. in data 28 febbraio 2000, l’Agenzia provvedeva a notificare al contribuente un avviso di rettifica parziale con cui recuperava a tassazione, per l’anno 1997, il maggiore imponibile dedotto dalle movimentazioni dei due conti conenti per complessive Lire 900.129.300 ed acquisti di beni e servizi non assoggettati ad IVA per Lire 714.409.638.

2. La sentenza della CTP di Roma, che rigettava il ricorso proposto dal contribuente avverso il predetto atto impositivo, veniva riformata dalla CTR del Lazio che, con sentenza n. 377 del 2 ottobre 2008, accoglieva l’appello del C. sostenendo: a) che l’accertato collegamento con la societa’ Cassia Alluminio s.r.l., che era stato motivo di estensione della verifica anche al C., avrebbe dovuto indurre i verificatori “a riscontrare i soggetti interessati ai movimenti bancari sui conti” del medesimo anche alla stregua del contenuto dell’atto di notorieta’ dell’amministratore della predetta societa’, prodotto in giudizio, in cui lo stesso dichiarava che i conti conenti erano stati aperti solo per farvi transitare le operazioni svolte dalla societa’; b) che gravava sull’Amministrazione finanziaria la prova della fittizieta’ delle operazioni commerciali poste in essere per interposta persona; c) che l’Ufficio aveva “trasformato in deduzioni precise e concordanti, semplici sospetti… pur se connotati di un alto grado di probabilita’”, che comunque dovevano “ricevere il riscontro di un indizio concreto, quale ad esempio la dichiarazione di uno degli imprenditori della inerenza ad una transazione commerciale effettivamente intrattenuta dal soggetto destinatario dell’accertamento”.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi, cui resiste il contribuente con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed accompagnato da idoneo quesito di diritto, l’Agenzia lamenta che il giudice di merito, in violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, e art. 54, comma 2, nonche’ degli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., ha posto a carico dell’Agenzia delle entrate l’onere di integrare con ulteriori riscontri probatori concreti gli elementi indiziari raccolti, costituiti dalle risultanze dei movimenti bancari effettuati su due conti correnti intestati al contribuente, ritenuti incompatibili con il reddito dichiarato dal medesimo, sostenendo lo stesso giudice che in ogni caso non poteva pretendersi dall’intestatario dei predetti conti correnti la giustificazione dei singoli movimenti bancari anche in ragione del suo diritto alla riservatezza.

2. Il ricorso e’ fondato e va accolto nei limiti e per le ragioni di seguito spiegate.

3. Con l’avviso di accertamento impugnato l’Ufficio aveva provveduto a recuperare a tassazione una serie di movimenti – versamenti e prelievi – effettuati sul conto corrente intestato al contribuente libero professionista, considerati “compensi” conseguiti dall’attivita’ libero professionale dal medesimo svolta, cosi’ come, al momento della pronuncia della sentenza impugnata (14 maggio 2009), era previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, che, in relazione ai rapporti ed alle operazioni (anche) bancarie, stabiliva che “sono altresi’ posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche’ non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

3.1. Con sentenza 24 settembre 2014, n. 228, la Corte costituzionale ha pero’ dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della sopra riportata disposizione “limitatamente alle parole o compensi”, ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse “lesiva del principio di ragionevolezza nonche’ della capacita’ contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attivita’ professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.

In conseguenza della predetta pronuncia, pertanto, “non e’ piu’ proponibile l’equiparazione logica tra attivita’ d’impresa e attivita’ professionale fatta, ai fini della presunzione posta dall’art. 32, dalla giurisprudenza di legittimita’ per le annualita’ anteriori” (Cass. n. 23041 del 2015), cosicche’ e’ definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attivita’ dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, che la citata disposizione poneva, spostandosi, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.

Con riferimento ai versamenti effettuati dai predetti soggetti (lavoratori autonomi) sui propri conti correnti resta, quindi, invariata la presunzione legale posta dalla predetta disposizione a favore dell’Erario, che data la fonte legale, non necessita dei requisiti di gravita’, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, superabile da prova contraria fornita dal contribuente (Cass. n. 6237 del 2015 e n. 9078 del 2016), “il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilita’ di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili” (Cass. sent. n. 18081 del 2010; cfr. anche sent. n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014).

3.2. Ha quindi errato, nella specie, il giudice di appello che, in relazione ai versamenti risultanti dai conti correnti del contribuente, non si e’ attenuto ai principi sopra enunciati, ponendo a carico dell’Amministrazione finanziaria un onere probatorio che non le spettava.

3.3. Si rende, quindi, necessario l’accoglimento del motivo in esame nei limiti sopra precisati e la cassazione della sentenza impugnata in relazione al profilo dei soli versamenti riscontrati sui conti correnti del contribuente, con rinvio al giudice di merito affinche’ riesamini la vicenda processuale alla luce dei suddetti principi.

4. Il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa erariale ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non aver spiegato le ragioni per le quali, nonostante l’accertata disponibilita’ da parte del contribuente di ingenti somme di danaro, incompatibili con il livello di reddito dichiarato, spetterebbe all’Ufficio fornire la prova di un fatto mai specificamente contestato dall’Ufficio e, cioe’, che quelle somme, di spettanza di una terza societa’, sarebbero state fittiziamente intestate al contribuente, chiaramente assorbito dall’accoglimento del primo mezzo.

5. Il giudice del rinvio provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.