CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 1890 del 2 febbraio 2015

IRPEF – INDENNITÀ SUPPLEMENTARE CORRISPOSTA DAL DATORE DI LAVORO A SEGUITO DELLA SENTENZA EMESSA DEL GIUDICE DEL LAVORO – RITENUTE IRPEF OPERATE – NON SPETTANZA RIMBORSO

Svolgimento del processo

La controversia promossa da (omissis) contro l’Agenzia delle Entrate ha ad oggetto il diniego di rimborso delle ritenute irpef operate sull’indennità supplementare corrisposta dal datore di lavoro S. s.p.a. a seguito della sentenza del Giudice del Lavoro n. 664/07.

Con la decisione in epigrafe, la CTR ha rigettato l’appello proposto dal contribuente contro la sentenza della CTP di Venezia n. 6/1/12 che ne aveva respinto il ricorso. Il ricorso proposto si articola in due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso. Il presidente ha fissato l’udienza del 21/11/2014 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

Con primo motivo la ricorrente assume la insufficiente e/o contraddittoria motivazione in merito ad un fatto decisivo: “sulla erronea ricostruzione della vicenda e sulla omessa motivazione circa le ragioni per le quali è stata riconosciuta l’indennità supplementare”.

La censura è inammissibile stante le modifiche apportate all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art. 54 c. 1 lett. b) del d.l. 83/2012, applicabile al caso in esame (SS.UU. 8053/2014).

Con secondo motivo la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 2, 16 comma 1, 46 e 48 comma 1 del dpr 917/86, anche in riferimento all’art. 19 CCNL Dirigenti Aziende Produttrici di Beni e Servizi, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. laddove la CTR ha ritenuto soggetta ad imposta l’indennità supplementare, nonostante la stessa fosse collegata ad un danno immediato e diretto alla personalità del lavoratore.

La censura è infondata alla luce dei principi espressi da questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 2196 del 16/02/2012; Sez. 5, Sentenza n. 23795 del 24/11/2010; Sez. 5, Sentenza n. 2119 del 02/02/2005) secondo cui, in tema di imposte sui redditi di lavoro dipendente, va assoggettata ad IRPEF l’indennità percepita dal dirigente in virtù di una norma del CCNL, a seguito di licenziamento ingiustificato, costituendo misura di matrice convenzionale volta, da una parte, a sanzionare la condotta datoriale priva di giustificazione e, dall’altra, a risarcire il dirigente per la perdita del posto di lavoro, che non dipenda da profili di sua colpa o responsabilità. Ed invero, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, comma 1, “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali”; a mente dell’art. 6, comma 2, stesso D.P.R. “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi… e le indennità conseguite … a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”; e l’art. 16, comma 1, lett. a) del medesimo D.P.R. (nel testo risultante dalla modifica operata dal D.L. n. 41 del 1995, art. 32, comma 1, convertito nella L. n. 85 del 1995) dispone che l’imposta si applica separatamente sulle indennità e sulle somme percepite una tantum in “dipendenza della cessazione” dei rapporti di lavoro dipendente, nonché a tutte le somme e valori, comunque percepiti, “anche se a titolo risarcitorio … a seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro”. Dalla lettura coordinata di tali norme si ricava che vanno considerati redditi da lavoro dipendente, assoggettati ad IRPEF tutti i “proventi” e le “indennità” derivanti da un rapporto di lavoro, pur se conseguiti “in sostituzione” di redditi od “a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte” (cfr. Cass. 16014/04).

Nella specie, il ricorrente chiede la restituzione della ritenuta dell’indennità supplementare per l’illegittima interruzione del rapporto di lavoro anche in riferimento alla previsione dell’art. 19 del CCNL. In base a tale norma convenzionale, il datore di lavoro è obbligato a versare al dirigente l’indennità sostitutiva – da liquidarsi secondo parametri parzialmente discrezionali (nella forbice tra minimo e massimo) graduati, anche, in relazione all’età del dirigente licenziato ed alle connesse difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro – in ipotesi di ingiustificata risoluzione del rapporto di lavoro. Ne consegue che l’indennità in esame va assoggettata ad imposta, poiché trova la fonte della sua obbligatorietà nella risoluzione non giustificata del rapporto di lavoro col dirigente e costituisce misura di matrice convenzionale volta, da una parte, a sanzionare la condotta datoriale priva di “giustificatezza”, e, dall’altra, a risarcire il dirigente per la perdita del posto di lavoro, che non dipenda da profili di sua colpa o responsabilità; a tale disciplina è, dunque, estranea la valutazione di un danno emergente di natura diversa da quella retributiva – in tesi esente da imposta -, che il singolo dirigente abbia potuto subire in conseguenza del licenziamento, non desumibile, nel caso in esame, dalla sola lesione del contraddittorio nel procedimento di licenziamento. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso. Nulla per le spese in assenza di attività difensiva.

La natura della controversia e le circostanze che caratterizzano la vicenda giustificano la compensazione delle spese tra le parti.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.