CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 21536 depositata il 25 ottobre 2016
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – LAVORO SUBORDINATO – RICONOSCIMENTO DELLE DIFFERENZE RETRIBUTIVE – ONERE DELLA PROVA
Svolgimento del processo
1. La Corte d’appello di Messina confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da I.M. nei confronti di B.G., quale titolare della ditta omonima, diretta al riconoscimento delle differenze retributive in conformità ai criteri di cui all’art. 36 della Costituzione e alla contrattazione collettiva, anche con riferimento al lavoro straordinario prestato in via continuativa.
2. I giudici del merito disattesero le argomentazioni difensive della convenuta in merito al prospettato difetto di legittimazione passiva (rectius titolarità del rapporto sotto il profilo passivo), fondate sul rilievo in forza del quale il rapporto di lavoro si sarebbe svolto alle dipendenze della B. s.r.l. e non della ditta individuale.
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione B.G. e con unico motivo.
Resiste con controricorso la lavoratrice.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c.
Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio con riferimento al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Rileva che la Corte d’appello di Messina aveva ritenuto circostanza pacifica che l’impresa individuale B.G. e la B. s.r.l. espletassero la stessa attività e avessero la medesima sede operativa, poiché dalle visure della Camera di Commercio di Messina si evinceva, quanto all’impresa individuale, che la stessa esercitava in Messina – vill. F.S. e, alla via M., il “commercio al minuto di olio, latte, bevande alcoliche ed analcoliche in confezioni originali”, quanto alla società, che l’attività della stessa era svolta in San Filippo del Mela (c.da ….) e consisteva in “produzione e imbottigliamento di olii e vini”. Da ciò doveva evincersi che le due ditte svolgessero attività commerciali differenti. Rileva che le richiamate risultanze probatorie di carattere documentale, decisive, non erano state valutate dai giudici del merito.
2. Il motivo va dichiarato inammissibile. Ed invero è da rilevare, per un verso, che le affermazioni difensive fondate sul richiamo delle visure camerali non sono corredate da adeguato supporto in termini di allegazione documentale a mente dell’art. 369 n. 4 c.p.c., nonché di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c. Per altro verso si evidenzia che le argomentazioni difensive non assumono carattere di decisività, a fronte del tenore della motivazione che ha attribuito rilevanza alle circostanze di fatto emerse dall’istruttoria in ordine al tipo di attività espletata dalle due ditte ed alla sede operativa in cui le stesse effettivamente operavano, e ciò prescindendo dai dati formali.
3. Conseguentemente, alla declaratoria di inammissibilità le spese del giudizio di legittimità sono poste a carico del ricorrente e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.000,00, di cui € 1.900,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
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