CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 2193 del 6 febbraio 2015
ACCERTAMENTO – PERIZIA DELL’UFFICIO – PUO’ COSTITUIRE FONTE DI CONVINCIMENTO DEL GIUDICE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’agenzia delle entrate, ufficio di Roma (OMISSIS), rideterminava in Euro 780.932,00 il valore di un terreno edificabile, sito nel comune di (OMISSIS), compravenduto nell’anno 2002 e dichiarato di Euro 284.052,00.
Notificava quindi ai venditori G.B. e a S. L., quali obbligati solidali, un avviso di rettifica e di liquidazione di (maggiore) imposta di registro, basato sugli elementi dedotti da una stima dell’Ute.
La commissione tributaria provinciale di Roma, adita dai contribuenti, accogliendo parzialmente la loro opposizione, riduceva il valore del terreno a Euro 500.000,00.
La sentenza di primo grado era confermata in appello dalla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale osservava che il valore attribuito era stato tratto – in modo sostanzialmente equidistante – dagli elementi indicati nella stima dell’Ute e da quelli evidenziati in una perizia di parte prodotta dai contribuenti.
Affermava di condividere l’esito della valutazione in quanto i valori stimati dall’Ute erano stati fondati sulla destinazione urbanistica del terreno; mentre dal confronto tra i dati di stima e i dati della perizia di parte era emerso che la riferita “destinazione” doveva essere esclusa quanto alla metà del terreno medesimo.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso G.B., articolando quattro motivi illustrati pure da memoria.
L’amministrazione ha replicato con controricorso. La corte, con ordinanza depositata il 23 aprile 2014, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei riguardi del litisconsorte S.L., che in base alla sentenza aveva preso parte al giudizio d’appello e che, quindi, aveva assunto la veste di parte necessaria nel giudizio di cassazione.
L’adempimento è stato eseguito nei confronti di S.A., erede di L. nel frattempo deceduto, la quale non si è costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo mezzo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e degli artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente lamenta che la commissione tributaria regionale abbia esorbitato dal petitum, e in ogni caso dall’ambito dei suoi poteri cognitivi, avendo rideterminato in Euro 500.000,00 il valore venale del terreno di cui è causa sulla base di un criterio equitativo, attestato sulla congruità di un valore equidistante tra quello dichiarato dal contribuente (Euro 284.052,00) e quello accertato dall’ufficio (Euro 780.932,00).
Col secondo mezzo la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, in quanto la commissione tributaria non aveva a suo dire fornito indicazioni in ordine agli elementi che l’avevano condotta a quantificare il valore in Euro 500.000,00, equidistante tra le opposte posizioni delle parti.
Col terzo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto validamente e congruamente motivato l’atto impositivo in cui la pretesa era stata giustificata mediante rinvio alla stima dell’Ute; la quale tuttavia si era risolta in una mera elencazione dei dati catastali dell’immobile, dei valori attribuiti al metro quadrato, dello sviluppo del calcolo dei valori detti e dell’indicazione di dati identificativi e dei valori di stima di quattro ulteriori incarichi di valutazione di altrettanti beni. La ricorrente si duole dell’avere la commissione tributaria ritenuto assolto l’onere della prova dell’ufficio in ordine alla similarità degli immobili assunti a parametro di confronto mediante il semplice riferimento alla stima dell’Ute. E dell’avere in ogni caso insufficientemente motivato il convincimento costi espresso.
Col quarto motivo di ricorso è infine ulteriormente dedotta l’omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo, per avere la commissione tributaria mancato di motivare in merito alla eccepita abnormità e illogicità dell’incremento di valore del terreno de quo nell’arco di soli quattro anni, pari a 16 volte il valore di acquisto, e in merito alla carenza o all’insufficienza probatoria degli elementi di fatto desumibili dal fascicolo di valutazione, acquisito dal contribuente mediante istanza di accesso agli atti amministrativi.
2. – Il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati perchè connessi, è infondato.
3. – Deve premettersi che non è dubitabile che, dinanzi al giudice tributario, l’amministrazione finanziaria sia posta sullo stesso piano del contribuente.
In tema di prova ne deriva, quanto all’imposta di registro, la conseguenza che la relazione di stima di un immobile, redatta dall’ufficio tecnico erariale e prodotta dall’amministrazione finanziaria, costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto propriamente valutativo. Al tempo stesso, però, va anche precisato che nel processo tributario esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche. E dunque anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (v. Cass. n. 8890/07; n. 7935/02).
4. – Nel caso di specie la commissione tributaria ha fatto corretta applicazione del suindicato criterio di giudizio, posto che, dopo aver richiamato la stima dell’Ute, allegata all’avviso di rettifica, e affermato che la stessa si era basata sulla destinazione urbanistica del terreno de quo, ha ponderatamente valutato l’esito della detta stima giudicandolo attendibile nei limiti di quanto in effetti ulteriormente emergente dalla perizia prodotta dal contribuente, posto che l’effettivo stato di lottizzazione portava a ritenere il terreno concretamente edificabile soltanto per la metà della sua estensione.
Ne ha quindi dedotto il corretto valore in comune commercio.
5. – Il ragionamento in tal modo condotto dal giudice di merito, basato sulla considerazione delle specifiche caratteristiche del bene, appare insindacabile in questa sede.
Invero non si apprezza l’eccepita violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, dal momento che la rideterminazione del valore del bene (sebbene in senso equidistante dalle posizione reciprocamente espresse) ha integrato il profilo valutativo sotteso all’opposizione della parte contribuente in ordine alla rettifica operata dall’ufficio.
Nè giova ipotizzare una violazione dell’art. 113 c.p.c., rispetto al principio della necessaria legalità della decisione giudiziale in materia tributaria, poichè il giudizio non è stato operato in base alla cosiddetta equità “sostitutiva”, cui la norma allude, sebbene alla luce del criterio del valore venale in comune commercio.
Il giudice d’appello, cioè, non ha sostituito, nel momento applicativo, l’equità alla norma positiva sull’accertamento del valore (D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52), ma ha operato nel solco della verifica del valore venale in comune commercio ponderando gli elementi documentali a sua disposizione, e integrandoli reciprocamente in senso funzionale alla compiuta definizione della fattispecie relativamente agli aspetti incidenti sul valore medesimo.
In questi termini, le censure di parte ricorrente di cui al secondo, terzo e quarto motivo, accomunati dal rilievo che la commissione avrebbe ignorato la inidoneità della stima dell’Ute a supportare i valori stimati, si palesano generiche e si risolvono in un inammissibile sindacato di fatto. Il testo della relazione di stima, riprodotto nel ricorso per cassazione, evidenzia che erano stati indicati gli elementi di confronto con altrettanti beni presi a parametro; ed è assertoria l’affermazione che questi non possedevano i caratteri di similarità indicati nel D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51.
Trattandosi di valutazione di merito, che non può essere sindacata in questa sede perchè immune da vizi logici e giuridici, il ricorso della parte contribuente va rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
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