CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 26101 del 30 dicembre 2015
Ritenuto in fatto
1.- Con sentenza n. 611/40/2008, depositata il 22 dicembre 2008 e non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione staccata di Latina (hinc: «CTR»), rigettava l’appello proposto da V. D. T. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Sora, avverso la sentenza n. 77/06/2006 della Commissione tributaria provinciale di Frosinone (hinc: «CTP»), compensando integralmente tra le parti le spese di lite.
2.- Il giudice di appello premetteva che l’accertamento ai fini IVA, IRPEF ed IRAP, relativo all’anno 2000 e dell’importo di euro 3.353,00, era scaturito dall’incongruità del risultato economico dichiarato dal contribuente rispetto a quello risultante dall’applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 427 del 1993.
3.- La CTR, nel confermare (per quanto qui rileva) la decisione della CTP, osservava che le circostanze addotte dal contribuente per giustificare il minor reddito dichiarato (rispetto alle risultanze dello studio di settore) erano irrilevanti e generiche e che la determinazione dei ricavi era avvenuta per mezzo dell’applicazione del programma informatico denominato “Gerico” in forza di una nota tecnica e di una metodologia previste dalla legge.
4.— Avverso la sentenza di appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 4 febbraio 2010 ed affidato ad un solo motivo.
5.— L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso, notificato il 16 marzo 2010.
Considerato in diritto
1.— Con l’unico motivo proposto, il ricorrente ha denunciato — in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ. — l’illegittimità, per l’automatica applicazione nei suoi confronti delle risultanze dello studio di settore, dell’avviso di accertamento notificatogli e relativo all’IVA, all’IRPEF ed all’IRAP del 2000.
2.— In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del motivo per la violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ.
3.— Occorre premettere che la sentenza impugnata, in quanto pubblicata in data 22 dicembre 2008 e, dunque, successivamente al 10marzo 2006, rientra, ratione temporis, nella disciplina di cui all’art. 58, comma 5, della legge 18 giugno 2009, n. 69, e quindi nel regime previsto dall’art. 366- bis cod. proc. civ., nella formulazione rimasta in vigore fino al 3 luglio 2009.
3.1.— Tale disposizione, nella consolidata lettura datane dalla giurisprudenza di legittimità, richiede che le censure circa i vizi riconducibili ai numeri 3) e 4) dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ. siano corredate da un “quesito di diritto” contenente, a pena di inammissibilità: a) la sintesi degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) l’indicazione della regola di diritto da questi applicata; c) la diversa regola di diritto ritenuta da applicare. Il tutto in modo tale che il giudice di legittimità, nel rispondere al quesito, possa formulare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in diversi casi (Cass. sez. un. n. 2658 e n. 28536 del 2008, n. 18759 del 2009; Cass. n. 22704 del 2010, n. 21164 del 2013, n. 11177 e n. 17958 del 2014).
3.2.— Nel ricorso in esame, invece, il motivo proposto risulta privo, anche sotto l’aspetto meramente grafico (requisito sottolineato, tra le molte pronunce, da Cass. n. 24313 del 2014), di qualsiasi formulazione del corrispondente quesito. Né può attribuirsi a questa Corte il potere di individuarne autonomamente una possibile stesura all’interno dello svolgimento del motivo (Cass. n. 22591 del 2013), dal momento che ne resterebbe negata — rispetto ad un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata — la portata innovativa dell’art. 366-bis cod. proc. civ., consistente proprio nell’imposizione della formulazione di motivi contenenti una sintesi autosufficiente della violazione censurata, funzionale anche alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte (ex plurimis, Cass. n. 20409 del 2008 e n. 16481 del 2014).
4.— In ragione del principio di causalità, il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il motivo di ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente Agenzia delle entrate le spese di lite, che si liquidano in complessivi E. 2.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile, in data 9 dicembre 2015.
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