CORTE DI CASSAZIONE sentenza n. 4230 del 3 marzo 2016

LAVORO – RAPPORTO DO LAVORO – INCENTIVI – EROGAZIONE – CONTRATTO INTEGRATIVO DECENTRATO COMUNALE – RECUPERO

Svolgimento del processo

La corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 5/7/11, in riforma della sentenza del 6/5/09 del tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda del lavoratore volta a sentir dichiarare l’illegittimità del recupero disposto dal comune dell’incentivo ex art. 6b co. 18 contratto integrativo decentrato comunale, ritenendo che il comune avesse indicato le ragioni di merito alla base della decisione amministrativa di non corrispondere l’incentivo in ragioni di oneri economici sostenuti dal comune.

Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore per due motivi, illustrati da memoria, cui resiste il Comune che propone ricorso incidentale condizionato per un motivo.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione art. 2033 c.c. vizio di motivazione, per aver trascurato che nel caso e ripetizione non era frutto di indebito originario, ma di nuova valutazione dei criteri di liquidazione, e che l’errore comunque non era riconoscibile dall’accipiens.

Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, ex art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione art. 2033 e 2697 c.c. vizio di motivazione, per aver addossato all’accipiens l’onere della prova del carattere non indebito della prestazione.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato si deduce violazione artt. 175 e 279 c.p.c., per aver pronunciato sull’esistenza di errore riconoscibile dell’amministrazione senza assorbire la questione.

Il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorrente fonda le sue censure per escludere la nullità, affermata dalla Corte d’appello, dell’erogazione dell’incentivo nella misura originariamente corrisposta sulla circostanza che detto incentivo traeva origine dal contratto integrativo; che era stato erogato nella piena applicazione ed in esecuzione dei requisiti contrattuali previsti nella contrattazione decentrata tenendo conto dell’orario, della difficoltà dei turni, oltre che dei maggiori risultati ottenuti.

Deduce ancora che egli si era persuaso in buona fede” di dover condividere il fondo di cui al contratto integrativo soltanto con altri lavoratori a tempo indeterminato”; che dunque “vi era stata perfetta coincidenza fra proposta ed accettazione ed il contratto nei termini convenuti era addirittura già stato eseguito” e che la ripetizione effettuata dal Comune aveva inciso in maniera gravemente arbitraria e dannosa su una contrattazione ormai conclusa ed addirittura eseguita già da quattro anni.

Le censure del ricorrente poggiano, pertanto, sulla circostanza che l’erogazione non era nulla poiché essa era stata effettuata in esecuzione ed in conformità di disposizioni della contrattazione collettiva decentrata e dunque non più suscettibile di essere incisa da una delibera comunale successivamente intervenuta.

Il ricorrente, tuttavia, non esamina, con i motivi di cui sopra, la vera ratio della sentenza impugnata e per tale ragione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La Corte territoriale ha affermato la legittimità del recupero disposto dal Comune con delibera n. 112/2004 per porre riparo ad una precedente erogazione di denaro che la Corte definisce “nulla e senza causa”.

Dalla motivazione della sentenza emerge, infatti, che i compensi incentivanti di cui è causa, disciplinati dal contratto integrativo, erano erogati in funzione di numerosi parametri tra cui quello del numero dei dipendenti assegnati e che detti incentivi dovevano essere prelevati da un apposito fondo il cui importo complessivo era fisso e solo all’interno di detto importo complessivo andava operata la distribuzione tra i dipendenti.

Risulta, poi, che il Comune aveva dovuto corrispondere incentivi ulteriori avendo dovuto includere tra coloro che avevano diritto a partecipare alla distribuzione del fondo anche i dipendenti a tempo determinato con la conseguente necessità di dover procedere ad una rideterminazione della misura degli incentivi da corrispondere, essendo il fondo, di misura fissa, divenuto incapiente, e conseguentemente era sorta la necessità di provvedere alla ripetizione delle somme corrisposte in misura maggiore al fine di non aumentare ulteriormente la spesa a carico del Comune.

Il ricorrente non esamina la sentenza impugnata sotto il profilo, ritenuto fondato dalla Corte e determinante la “nullità” della erogazione “senza causa in re ipsa”, che l’interpretazione escludente dalla ripartizione del fondo i dipendenti a tempo determinato doveva considerarsi illegittima e quindi doverosa per il Comune la loro inclusione nella ripartizione del fondo, e che detto fondo era di importo fisso, con la conseguente necessità di ripetere le somme erogate in eccedenza e dunque, come afferma la Corte “l’ineluttabilità dell’an della rideterminazione”.

Il ricorrente, opponendo la sua buona fede, afferma che le somme necessarie per erogare il compenso anche ai dipendenti a tempo determinato avrebbero dovuto essere reperite facendo ricorso ad altri capitoli di spesa, ma non esamina né la questione dei limiti della rilevanza della buona fede secondo cui in materia di impiego pubblico privatizzato, qualora risulti accertato che l’erogazione è avvenuta “sine titulo”, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033 cod. civ. per la buona fede dell’accipiens”, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi (cfr Cass 8338/2010); né la questione sotto il profilo del limite derivante dalla determinazione in misura fissa del fondo nonché della necessaria osservanza da parte del Comune delle norme di contabilità regolanti le spese degli enti locali (T.U. approvato con d.lgs. 267 del 2000) al cui rispetto il Comune non poteva sottrarsi, ricercando altri “capitoli di spesa” postumi ed ignorando che la copertura finanziaria per l’erogazione di quell’emolumento costituiva, come mostra di aver compreso l’impugnata sentenza, tetto invalicabile anche per il caso di espansione della platea dei destinatari (la cui esclusione aveva indotto, appunto, la nullità pro parte della delibera attributiva).

Sono, pertanto, inammissibili i motivi del ricorso per Cassazione che censurano argomenti della sentenza impugnata che non costituiscono la “ratio decidendi “della medesima” (cfr. Cass n. 23635/2010): il ricorso contiene carenti riferimenti alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata ed insufficiente comprensione delle ragioni sostanziali poste a base della pronuncia del giudice (Cass. 2831/2009). Il ricorso è pertanto inammissibile in quanto il ricorrente, pur denunciando la violazione di specifiche norme di diritto, non indica le questioni nella cui soluzione tali norme sarebbero state violate, e non precisa neppure i punti di divergenza tra esse e la “ratio decidendi” risultante dalla motivazione della sentenza impugnata. Per le considerazioni che precedono il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale e assorbito l’incidentale condizionato; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in € 3000 per compensi ed € 100 per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.