CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5377 depositata il 18 marzo 2016

FALLIMENTO – DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO – IMPRESE SOGGETTE – LIMITE DI FALLIBILITÀ PREVISTO DALL’ART. 15, COMMA 9, L.FALL. – DEBITI SCADUTI E NON PAGATI – DEBITI DESUMIBILI DALL’ISTRUTTORIA PREFALLIMENTARE – COMPUTABILITÀ – DEBITI RISULTANTI DALLA VISURA PROTESTI – INCLUSIONE – FONDAMENTO

IN FATTO E IN DIRITTO

1. E’ stata depositata in Cancelleria, e regolarmente comunicata, la seguente relazione: “Il consigliere relatore, letti gli atti depositati, rilevato che la Cooperativa Sociale Sanniomedical, in persona del legale rappresentante D.D.G., ha proposto ricorso per cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli, resa pubblica il 17 dicembre 2012, che ha rigettato il reclamo proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Benevento aveva dichiarato il fallimento della societa’ stessa; che resiste con controricorso la curatela del Fallimento della societa’ ricorrente, mentre l’intimata L.L., creditore ricorrente, non ha svolto difese;

considerato che con tre mezzi la societa’ ricorrente censura la sola statuizione con la quale la Corte distrettuale ha disatteso la sua eccezione di improcedibilita’, a norma della L. Fall., art. 15, della istanza di fallimento per un credito di Euro 5.445,45; con i primi due denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 15 e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che erroneamente la Corte stessa: a) ha considerato nell’ammontare dei debiti scaduti e non pagati gli importi di assegni protestati (che invece costituirebbero solo indizi dello stato di insolvenza) risultanti dalle visure prodotte dalla creditrice istante, oltre al credito fatto valere da Equitalia solo in sede di ammissione al passivo e quindi non risultante dalla istruttoria prefallimentare; b) ha posto a suo carico l’onere di provare l’estinzione dei debiti portati dagli assegni protestati, gravando invece su chi ha proposto il ricorso per fallimento l’onere di provare i fatti costitutivi della sua domanda; con il terzo mezzo lamenta – sotto il profilo della violazione della L. Fall., art. 15 e sotto quello del vizio di motivazione – l’omesso esame della visura protesti prodotta da essa reclamante dalla quale risulterebbe che i protesti a carico della societa’ (che nella visura acquisita in sede prefallimentare risulterebbero cumulati a quelli elevati a carico della legale rappresentante) si limitavano ad un importo che, sommato al credito della ricorrente L., non superava comunque il limite di Euro 30.000 posto dall’art. 15; ritenuto che i primi due motivi siano privi di fondamento;

che invero la Corte distrettuale non pare aver erroneamente interpretato l’art. 15, la’ dove, contrariamente a quanto sostenuto dalla reclamante, ha affermato che la norma fa riferimento non solo al credito della parte istante per fallimento, ma anche a tutti i debiti, comunque emersi nel corso dell’istruttoria, immediatamente esigibili nei confronti del debitore resistente; ne’ pare contestabile che tali debiti possano risultare al giudice del reclamo (oltre che – cfr. Cass. n. 9760/11 – dalla verifica in sede fallimentare, come per l’ingentissimo credito, che ivi pacificamente risulta emerso, in favore della Agenzia delle Entrate) dall’elenco degli assegni protestati, che documentano altrettanti debiti scaduti del cui eventuale pagamento dovrebbe ritenersi spettare al debitore l’allegazione e la prova una volta che il creditore istante ha provato, con la produzione della visura protesti, l’esistenza dei debiti stessi;

che il terzo motivo sia inammissibile, non solo perche’ facente riferimento indistinto a due diversi profili di impugnazione, ma anche perche’: a) il fatto che alcuni dei protesti documentati nella visura prodotta dalla creditrice ricorrente non fossero stati elevati a carico della societa’ ma del suo legale rappresentante non appare ritualmente sostenuto dal deposito, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della visura stessa; b) comunque tale fatto, del cui omesso esame la ricorrente si duole, non appare ne’ decisivo (se si considera il debito verso l’Agenzia delle Entrate di cui sopra), ne’ avere costituito specifico oggetto di discussione tra le parti;

ritiene che, pertanto, il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio a norma dell’art. 380 bis c.p.c., per ivi, qualora il collegio condivida i rilievi che precedono, essere rigettato”. 2. In esito alla odierna adunanza camerale, il Collegio, letta la memoria adesiva di parte resistente, condivide integralmente le considerazioni svolte nella relazione, che peraltro non hanno trovato replica alcuna da parte ricorrente. Il rigetto del ricorso si impone dunque.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore del Fallimento resistente delle spese di questo giudizio, in Euro 3.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di legge.