CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 5858 depositata il 24 marzo 2016
ACCERTAMENTO – CESSIONE D’AZIENDA – RESPONSABILITA’ SOLIDALE DEL CESSIONARIO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nei confronti di S. s.r.l. vennero notificate in data 30 aprile 2007 due cartelle di pagamento intestate a C.degli S. di B.F. & C. s.a.s..
I due ricorsi della contribuente, previa riunione, vennero parzialmente accolti dalla CTP che, in applicazione dell’art. 14, comma 1, d. leg. n. 472/1972 (ndr art. 14, comma 1, d. leg. n. 472/1997), limitò la responsabilità solidale del cessionario di azienda al valore del ramo dell’azienda ceduta, pari a € 21.667,43. La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo rigettò sia l’appello della contribuente, che quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, sulla base della seguente motivazione per quello che qui rileva.
Non “può essere lamentata una mancanza o carenza di motivazione degli atti tale da pregiudicare il diritto di difesa della S. in quanto questa società, dalla cartella notificatagli, ha potuto risalire all’origine della obbligazione tributaria e proporre tutte le difese ritenute opportune. Non è da ignorare tra l’altro che ai sensi dell’art. 14, comma 3, l’acquirente avrebbe ben potuto richiedere alla Agenzia delle Entrate il rilascio di un certificato sulla esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti dal cedente. Pertanto nulla può eccepire il cessionario circa la mancata notifica degli atti prodromici”. Continua quindi la CTR che trova applicazione l’art. 14 d. leg. n. 472/1997, in base al quale “il cessionario è responsabile in solido entro il limite del valore del ramo dell’azienda ceduto, pari ovviamente a quello accertato dall’Ufficio e divenuto definitivo, e salvo la preventiva escussione del cedente che, come provato dall’Ufficio medesimo, è stata regolarmente effettuata con la infruttuosa notifica al cedente delle cartelle impugnate”.
Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente sulla base di cinque motivi.
Resistono con controricorso l’Agenzia delle Entrate e Equitalia Gerit s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente all’esame del ricorso va rilevato che, benché la sentenza sia stata depositata in data 2 dicembre 2008, il ricorso è stato presentato all’ufficiale giudiziario per la notifica solo in data 4 maggio 2010.
Il termine per l’impugnazione scadeva il giorno 19 gennaio 2010 (ricadendo il quarantaseiesimo giorno, successivo all’anno, e relativo alla sospensione feriale dei termini processuali, il sabato 17 gennaio 2010). Il ricorrente ha tuttavia invocato la sospensione dei termini processuali ai sensi dell’art. 5 d. I. n. 39/2009, convertito con L. n. 77/2009, la quale decorre dal 6 aprile 2009 fino al 31 luglio 2009.
Ove trovi applicazione tale disposizione, trattandosi di sospensione della durata di tre mesi e 24 giorni, il ricorso sarebbe tempestivo.
L’art. 5, comma 3, prevede quanto segue: “per i soggetti che alla data del 5 aprile 2009 erano residenti, avevano sede operativa o esercitavano la propria attività lavorativa, produttiva o di funzione nei comuni e nei territori individuati con i provvedimenti di cui al comma 1, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 6 aprile 2009 al 31 luglio 2009 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione.
E’ fatta salva la facoltà di rinuncia espressa alla sospensione da parte degli interessati. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo. Sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi, escluse le procedure di esecuzione coattiva tributaria, e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonché i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi amministrativi e giurisdizionali.
Alle procedure di esecuzione coattiva tributaria si provvede ai sensi dell’articolo 6 del presente decreto”.
Non è fra i comuni identificati dal decreto del Commissario delegato 16 aprile 2009 n. 3, cui rinvia l’art. 1 comma 2 del citato testo legislativo, quello ove si trova la sede della società ricorrente (Vasto), mentre risulta fra i comuni in questione il comune dell’Aquila, ove ha sede lo studio del difensore della parte che ha proposto l’odierno ricorso e che già difendeva la parte innanzi alla CTR, come risulta dall’epigrafe dell’impugnata sentenza. Cass. 13 giugno 2013 n. 14828 ha escluso la rilevanza della localizzazione dello studio del difensore (peraltro proprio nell’Aquila) sia perché non risultava che si trattasse del professionista che aveva officiato la difesa del giudizio presupposto, sia perché la norma, facendo riferimento ai “soggetti”, non attribuirebbe rilievo alla figura del difensore. Nell’odierno caso si tratta dello stesso professionista che ha officiato la difesa innanzi alla CTR.
Va inoltre considerato che la norma, fra le attività per le quali risulta la sospensione dei termini, menziona anche lo svolgimento di attività difensiva e la presentazione di ricorsi amministrativi e giurisdizionali. Lo svolgimento di attività difensiva e la presentazione del ricorso per cassazione sono attività inequivocabilmente riferibili al professionista officiato per la difesa della parte. Sussiste quindi anche per l’attività del professionista, e non solo per la parte, la sospensione del termine processuale. Del resto, come affermato da Cass. 26 gennaio 2011 n. 1766, prevedendo l’art. 5, comma 1-bis, che “sono altresì sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto del procedimento che chiunque debba svolgere negli uffici giudiziari aventi sede nei comuni di cui all’art. 1, comma 2”, la sospensione si applica anche alla notifica del ricorso per cassazione che deve essere eseguita dall’ufficiale giudiziario dell’Aquila, a dimostrazione del grado di generalità della disposta sospensione.
Trova in conclusione applicazione la sospensione prevista dalla legge e, conseguenzialmente, il ricorso in cassazione risulta tempestivo.
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 7 e 17 L. n. 212/2000, 12 e 25 d.p.r. n. 602/1973, D.M. n. 321/1999, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Osserva la ricorrente che illegittima è la notifica della cartella di pagamento in assenza di qualsivoglia riferimento circa la pretesa tributaria, essendo il ruolo privo dei requisiti di motivazione e chiarezza ed essendo apposto il nome della contribuente solo sulla busta di spedizione.
Il motivo è inammissibile. Esso muove da un presupposto di fatto rispetto al quale vi è un divergente accertamento di fatto del giudice di merito.
Questi ha accertato che dalla cartella di pagamento era possibile risalire alla pretesa tributaria, sicché la censura implica un’indagine di merito preclusa nella presente sede di legittimità.
Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Lamenta la ricorrente che la CTR, con valutazione insufficiente e contraddittoria, ha ritenuto conforme a legge la notificazione delle cartelle di pagamento intestate ad altra società, sul presupposto che la contribuente avesse potuto svolgere le opportune difese. Il motivo è inammissibile.
E’ carente il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. non risultando indicato in modo chiaro il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali al dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. In secondo luogo con la censura si solleva un vizio di motivazione giuridica, laddove invece il vizio motivazionale attiene solo ad una questione di fatto e non ad una questione di diritto (Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348).
Con il terzo motivo si denuncia omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che la CTR ha omesso di pronunciare in ordine alle istanze istruttorie proposte dalla contribuente in base all’art. 7 d. leg. n. 546/1992, senza indicare le ragioni dell’omissione, e così comprimendo il diritto di difesa della contribuente medesima.
Il motivo è inammissibile sotto più profili. In primo luogo è carente il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. non risultando indicato in modo chiaro il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa.
In secondo luogo, in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente ha omesso di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova e di dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse (fra le tante Cass. 30 luglio 2010, n. 17915 e 22 febbraio 2007, n. 4178).
Con il quarto motivo si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Osserva la ricorrente che le difese che la contribuente avrebbe potuto esercitare sarebbero dovute emergere proprio dall’attività istruttoria richiesta ai sensi all’art. 7 d. leg. n. 546/1992 (e fra le lacune conseguenti alla mancata istruttoria vi è anche il beneficio della preventiva escussione nei confronti della cedente, che parrebbe non esserci stato).
Il motivo è inammissibile. E’ carente il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. non risultando indicato in modo chiaro il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali alla dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Anche in occasione di tale censura, in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente ha omesso di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova e di dimostrare l’esistenza di un nesso eziologico fra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 14 d. leg. n. 472/1997. Lamenta la ricorrente che la CTR ha errato nel ritenere provata la circostanza del maggior valore attribuito all’azienda in quanto l’avviso di liquidazione definito ai sensi dell’art. 15 L. n. 289/2002 non è idoneo a costituire prova di tale maggior valore (la definizione dell’avviso non comporta alcun riconoscimento delle eventuali infrazioni commesse).
Il motivo è inammissibile. Esso muove da un presupposto di fatto rispetto al quale non risulta un accertamento di fatto del giudice di merito. Questi ha assunto come parametro il valore “accertato dall’Ufficio e divenuto definitivo”. Non risulta un accertamento nel senso che tale valore sia il risultato di una istanza di definizione in sanatoria. Una simile indagine di merito è preclusa nella presente sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i motivi del ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in euro 1.467,50 per compenso, oltre, in favore dell’Agenzia delle Entrate, le spese prenotate a debito e, in favore di Equitalia Gerit s.p.a., gli esborsi per euro 200,00 e gli oneri di legge.
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