CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 6264 del 31 marzo 2016

LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – CONTRATTO DI AGENZIA – ATTIVITA’ DEI PROCACCIATORI – CARATTERI DISTINTIVI – OBBLIGHI CONTRATTUALI – CONTRIBUTI OMESSI – ACCERTAMENTO

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza depositata il 30.5.2012 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato dovuta dalla E. s.r.l. alla Fondazione Enasarco la somma di Euro 5.393.988,15 a titolo di contributi omessi, rilevando che la documentazione versata in atti consentisse di escludere un contratto di procacciamento di affari e di ravvisare, nei rapporti di collaborazione degli addetti alle vendite dei prodotti commercializzati dalla società, gli elementi tipici di un contratto di agenzia, considerati la serie di obblighi contrattuali posti a carico dei c.d. procacciatori, le specifiche previsioni concordate per la liquidazione delle provvisioni e per l’eventuale recesso dal rapporto di lavoro, alcuni elementi di fatto che connotavano l’attività dei procacciatori.

2. – Avverso la sentenza, la società propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi.

La Fondazione Enasarco resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale concernente il credito vantato a titolo di FIRR-Fondo indennità risoluzione del rapporto.

La società ha resistito con controricorso.

Tutte le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. – La ricorrente con i primi due motivi denuncia, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c. violazione o falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c. in relazione all’art. 155, commi 4 – 6, c.p.c. nonché omessa motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di tardività della costituzione della Fondazione (eccezione sollevata dalla società opponente nel procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla Fondazione), considerato che la prima udienza di trattazione era stata fissata al 28.5.2008, che il termine per la costituzione dell’opposto scadeva il 18.5.2008, giorno festivo (domenica) e che, quindi, in applicazione del combinato disposto dei commi quarto e quinto dell’art. 155 c.p.c. doveva ritenersi la data del venerdì 16.5.2008 quale ultimo giorno per la costituzione, avvenuta, invece, sabato 17.5.2008.

2. – Con il terzo ed il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c. violazione degli artt. 1742 e ss c.c. nonché omessa e insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, avendo, la Corte erroneamente desunto dalle clausole contrattuali stipulate tra la società e gli addetti alle vendite gli elementi tipici di un contratto di agenzia ed in particolare il requisito della stabilità dell’incarico.

3. – Con il ricorso incidentale la Fondazione denuncia, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c. violazione dell’art. 1751 c.c., dell’art. 2 della legge n. 12 del 1973, del d.m. 20.2.1974, dell’art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994, del d.p.r. 16.1.1961 n. 145, del d.p.r. 26.12.1960 n. 1842 nonché omessa e insufficiente circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, avendo, il giudice di merito, ritenuto insussistente il credito a titolo di FIRR (Fondo indennità di risoluzione del rapporto).

4. – I primi due motivi, che vanno affrontati congiuntamente per la connessione logicogiuridica, non sono fondati.

La questione relativa all’applicabilità delle disposizioni dettate dall’art. 155, commi 4 e 5, c.p.c. ai termini computati a ritroso – su cui si registrano pronunce difformi di questa Corte (per l’applicazione esclusiva ai termini a decorrenza successiva, cfr. Cass. 2/2/2015, n. 1829; Cass., 4/1/2011, n. 182; Cass., 7/5/2008, n. 11163; Cass., 12/12/2003, n. 19041; per l’estensione altresì a termini di ritroso, cfr. Cass. 30/6/2014, n. 14767) – appare irrilevante nel caso di specie.

Invero, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sulla base della documentazione prodotta dalla stessa società ricorrente-opponente (come precisato a pag. 35 del ricorso); non appare, quindi, dirimente l’accertamento di una eventuale costituzione tardiva della Fondazione Enasarco-opposta con conseguente decadenza dalla facoltà di deposito della documentazione.

Inoltre, le Sezioni Unite hanno recentemente statuito che l’art. 345, terzo comma, c.p.c. (nel testo introdotto dall’art. 52 della legge n. 353 del 1990, con decorrenza dal 30 aprile 1995), deve essere interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo, anche qualora non siano stati nuovamente prodotti nella fase di opposizione, non possono essere considerati nuovi e pertanto, se allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili (sentenza n. 14475/2015). Deve, pertanto, ritenersi che, i documenti prodotti in allegato alla richiesta di decreto ingiuntivo (nel caso di specie, dalla Fondazione Enasarco) e rimasti a disposizione della controparte (quanto meno) sino alla scadenza del termine per proporre opposizione (in base a quanto disposto dall’art. 638 c.p.c., comma 3) e quindi esposti al contraddittorio delle parti, non possono essere qualificati nuovi nei successivi sviluppi del processo. Come hanno sottolineato le Sezioni Unite, “Il principio, che può essere definito “di non dispersione della prova” una volta che questa sia stata acquisita al processo, implica, con specifico riferimento al procedimento per decreto ingiuntivo, che i documenti allegati al ricorso, in base ai quali sia stato emesso il decreto, devono rimanere nella sfera di cognizione del giudice anche nella, eventuale, fase di opposizione, che completa il giudizio di primo grado (le due fasi fanno parte di un medesimo giudizio che si svolge nel medesimo ufficio, come ha, da ultimo, sottolineato, con riferimento ad altro giudizio di primo grado bifasico in cui l’opposizione costituisce prosecuzione del giudizio di primo grado, Corte cost. 78/2015, occupandosi del problema della possibile identità fisica del giudice delle due fasi, ritenuta costituzionalmente legittima e “funzionale all’attuazione del principio del giusto processo, per il profilo della ragionevole durata)”.

5. – Il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente, vertendo tutti, sia pure sotto il duplice profilo della deduzione di un vizio di violazione di legge e di un vizio anche di motivazione, sulla esaustività della pronuncia in merito alla ritenuta individuazione di un rapporto di agenzia tra la società e gli addetti alle vendite.

Si tratta di censure inammissibili. La ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 nella parte in cui il giudice del merito ha accertato, alla luce delle risultanze documentali, la sussistenza del requisito della stabilità dell’attività lavorativa prestata dagli addetti alle vendite, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite, dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (eccezion fatta, beninteso, per i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (cfr. S. U., Sentenza n. 26242 del 2014; da ultimo, vedi Cass. n. 22006/2015, Cass. n. 17693/2015).

La Corte territoriale ha, invero, con motivazione esaustiva, rinvenuto i caratteri distintivi del contratto di agenzia nell’esame delle singole clausole contrattuali, dalle quali emergono una serie di obblighi ” difficilmente compatibili con il rapporto saltuario del semplice procacciatore di affari” quali l’obbligo di conformità alle istruzioni ricevute, il rispetto degli obiettivi di vendita concordati, l’obbligo di utilizzare l’automezzo frigorifero di proprietà della società, l’obbligo di memorizzare sul computer di bordo i dati delle vendite a domicilio effettuate, l’obbligo di emissione delle bolle relative alla merce venduta, il divieto di concedere sconti o dilazioni di pagamento, l’obbligo di consegnare al termine della giornata la copia delle bolle e gli incassi, le penali per il rinvenimento sull’automezzo di merce non di proprietà della società o per il mancato rispetto delle condizioni di vendita, l’onere di ricevere reclami. Inoltre, la Corte ha dato atto di ulteriori elementi caratterizzanti i rapporti di lavoro quali l’obbligo di avvertire la società in caso di assenza, la previsione del passaggio quindicinale presso clienti prestabiliti in base alle indicazioni della società, l’obbligo di partecipazione a riunioni, la previsione di zone di competenza di ciascun venditore nonché di previsioni contrattuali di particolare rilievo quali la liquidazione mensile delle provvigioni, la previsione di un anticipo provvigionale mensile, la previsione del recesso in caso di inadempimento, la previsione di un preavviso in caso di recesso.

Il ricorso principale, dunque, deve essere rigettato.

Secondo consolidata giurisprudenza, caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; diversamente, il rapporto di procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa (cfr. Cass. n. 12776/2012, Cass. n. 13629/2005).

La Corte ha fatto corretta applicazione di tale orientamento consolidato, rinvenendo – con motivazione immune da vizi logico-giuridici – nelle previsioni contrattuali e nell’assetto concreto dato ai rapporti di lavoro instaurati tra società e addetti alle vendite il requisito tipico della stabilità.

Come è stato già statuito da questa Corte (Cass. n. 2272/2007), “Il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.

6. – II ricorso incidentale va accolto.

Invero, la Corte territoriale non ha tenuto conto che gli Accordi Economici Collettivi del 17.7.1957 e del 13.10.1958 sono stati recepiti, rispettivamente, nel d.p.r. 16.1.1961 n. 145 e nel d.p.r. 26.12.1960 n. 1842 ed hanno, pertanto, acquisito efficacia erga omnes. Di conseguenza, il giudice di merito doveva ritenere dovuto il versamento dell’accantonamento da parte della società (vedi arg. Cass. n. 2407/1986).

Questa Corte ha, inoltre, ritenuto che possa trarsi conferma della perdurante vigenza, e quindi della legittimità, del sistema che articola il calcolo della indennità di scioglimento del contratto sulla base delle provvigioni ricevute nel corso del rapporto (e cioè del sistema, di cui agli accordi economici collettivi del 1957 e del 1958 validi erga omnes, che prevede l’accantonamento presso l’Enasarco, fondo indennità risoluzione del rapporto, dei contributi – a carico sia dell’agente sia del preponente – sulle provvigioni versate) considerando che – nonostante la nuova formulazione dell’art. 1751 c.c. – nessuna modifica è stata apportata all’art. 2 della legge 2 febbraio 1973 n. 12 (Natura e compiti dell’Enasarco), ove si dispone che detto ente “provvede alla gestione dell’indennità di scioglimento del contratto di agenzia”, con i contributi accantonati sulla base delle provvigioni (vedi Cass. n. 11791/2002). Il ricorso incidentale va, per quanto detto, accolto e l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio al giudice di merito per la determinazione esatta del credito.

7. – Le spese del presente giudizio di Cassazione saranno determinate dal giudice del rinvio.

8. – Il ricorso principale è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. i bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvica, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.