CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 7572 del 15 aprile 2016
GIORNATE DI SOSPENSIONE DELL’ATTIVITA’ DECISE DAL DATORE – RETRIBUZIONE DOVUTA – NON SI POSSONO ALLA LIQUIDAZIONE AL PARI DELLE FESTIVITA’ SOPPRESSE – LAVORATORE ESEGUE UN ORDINE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con ricorso al Tribunale di Torino S.C., dipendente della Fiat Group Automobiles Spa, conveniva la datrice di lavoro esponendo che la stessa aveva imputato alle giornate del 3 novembre e del 31 dicembre 2008 – nelle quali l’attivita’ dello stabilimento cui era addetto era stata sospesa – il trattamento economico relativo alle festivita’ del 1 e del 4 novembre 2008; sosteneva che tale trattamento economico gli era gia’ dovuto ad altro titolo di fonte legale e che aveva diritto al pagamento della retribuzione normale per dette giornate come in tutti i casi di sospensione dell’attivita’ lavorativa per iniziativa del datore di lavoro; eccepiva l’inidoneita’ degli accordi sindacali intervenuti sul punto tra l’azienda e le Rappresentanze Sindacali Unitarie a legittimare la condotta della convenuta, data l’indisponibilita’ dei suoi diritti retributivi da parte delle organizzazioni sindacali; concludeva per la condanna della societa’ al pagamento dell’importo corrispondente alla retribuzione delle due giornate in questione.
Il Tribunale di Torino ha accolto il ricorso con decisione confermata dalla locale Corte di Appello con sentenza del 31 luglio 2012.
La Corte territoriale ha rilevato che la sospensione dell’attivita’ lavorativa nelle due giornate era stata decisa dalla societa’ “per ragioni esclusivamente attinenti alla gestione e all’organizzazione dell’impresa” per fatti estranei al concetto di impossibilita’ sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore, unica circostanza idonea ad esonerare il medesimo dall’adempimento dell’obbligazione retributiva; ha ritenuto che gli accordi del 18 aprile e del 27 ottobre del 2008 raggiunti tra l’azienda e le RSU sulla “copertura retributiva” delle due giornate, attuata “attraverso lo spostamento del trattamento retributivo relativo” alle festivita’ del 1 e del 4 novembre 2008, incidesse su prestazioni fondamentali derivanti dal rapporto di lavoro: la prestazione lavorativa e la correlativa retribuzione; ha affermato che tale “copertura”, in quanto realizzata attribuendo quanto gia’ pacificamente dovuto ai sensi della L. n. 260 del 1949, art. 5 per le festivita’, si traduceva nella conseguenza “che il lavoratore aveva quattro crediti (le due giornate di sospensione dell’attivita’ lavorativa + le due festivita’) e che gliene sono stati pagati soltanto due”; ha considerato che la sospensione dell’attivita’ lavorativa e della retribuzione esulasse dai poteri esercitabili dalle RSU senza previo e specifico mandato dei lavoratori; ha valutato che la mera esecuzione da parte dello S. della disposizione aziendale di sospendere l’attivita’ lavorativa, in considerazione della chiusura dello stabilimento, “non integra affatto una ratifica dell’accordo per comportamento concludente”.
2.- Ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza la Fiat Group Automobiles Spa con due motivi. Ha resistito con controricorso S.C.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.- Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. in riferimento agli accordi sindacali del 18.4.2008 e del 27.10.2008 nonche’ in riferimento all’art. 10 del CCNL per gli addetti all’industria metalmeccanica privata del 20 gennaio 2008, in quanto la Corte territoriale, in contrasto rispetto alla comune volonta’ delle parti stipulanti, avrebbe qualificato il contenuto degli stessi come di carattere normativo e non gia’ gestionale.
Si tratterebbe, invece, “di accordi gestionali, per tali intendendosi quelli che determinano effetti in via riflessa e non diretta sui rapporti di lavoro, sottraendo alla determinazione del datore ambiti altrimenti di suo unilaterale intervento, riconducendoli alla gestione concertata”.
La Corte territoriale avrebbe dunque commesso “un palese errore ermeneutico, declinando la comune intenzione delle parti stipulanti in modo difforme dal tenore letterale delle intese, dall’interpretazione del contenuto complessivo del contratto attraverso l’esame delle clausole di esso e dal risultato pratico cui le intese stesse miravano”.
La censura non coglie nel segno in quanto, al di la’ della qualificazione definitoria degli accordi, la Corte torinese non ha affatto interpretato gli stessi in modo difforme da quanto opina la societa’ ricorrente, non essendo in discussione che la volonta’ delle parti stipulanti fosse quella di ottenere la “copertura retributiva” delle due giornate di sospensione dell’attivita’ mediante lo “spostamento” del trattamento retributivo da erogare per le festivita’.
La ratio decidendi della sentenza impugnata e’ piuttosto quella che tale accordo cio’ non poteva fare in quanto disponeva di diritti retributivi del lavoratore senza uno specifico mandato all’organizzazione sindacale.
Non e’ dunque controverso il significato dell’accordo ma se l’effetto di quanto voluto dalle parti potesse essere realizzato e tale aspetto non e’ efficacemente censurato con l’originaria illustrazione del motivo che invoca la violazione delle regole legali dell’ermeneutica contrattuale.
4.- Con il secondo mezzo di gravame si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. e art. 1327 c.c., comma 1, in riferimento al comportamento concludente tenuto dal lavoratore in coincidenza con le giornate del 3 novembre e del 31 dicembre 2008, in quanto la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato che il dipendente ha “aderito implicitamente ma in modo inequivoco agli accordi poiche’ il suo non e’ stato un comportamento inerte ma di attuazione degli stessi”.
Si sostiene che “rimanendo a casa, senza nulla obiettare, dopo aver ricevuto l’informazione sul contenuto degli accordi e sul fatto che nelle giornate di chiusura collettiva vi sarebbe stata una copertura con le particolari modalita’ declinate dagli accordi stessi, il Sig. S. ha tenuto un comportamento pienamente coerente con gli accordi stipulati dalla RSU e che quindi non e’ idoneo a fondare il diritto alla retribuzione, in difetto di un dissenso di qualsiasi genere nei confronti del contenuto dell’accordo e a fronte di una condotta che ne costituisce esecuzione, percio’ rilevante anche ai sensi dell’art. 1327 c.c., comma 1”.
Anche tale motivo non puo’ trovare accoglimento.
L’accertamento di un preteso comportamento concludente di adesione all’accordo sindacale e’ indagine di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, non sindacabile in cassazione al di fuori dei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e nella specie non se ne e’ neanche efficacemente prospettato il superamento.
Invero i giudici d’appello hanno motivatamente espresso il convincimento che la mera esecuzione da parte del lavoratore della disposizione aziendale di sospendere l’attivita’ lavorativa non integrasse una ratifica dell’accordo ma, appunto, esecuzione di un ordine, non essendo tenuto il dipendente a mettere in mora per il pagamento della retribuzione il datore di lavoro che non riceve la prestazione.
Rispetto a tale convincimento del giudice del merito, privo di vizi logici, quello diverso espresso dalla parte ricorrente circa il significato del comportamento del lavoratore non e’ ovviamente sufficiente a determinare la cassazione della sentenza impugnata.
5.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.
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