CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 8326 depositata il 27 aprile 2016

ACCERTAMENTO – DEDUCIBILITA’ DEI COSTI BLACK LIST – MERA VIOLAZIONE FORMALE

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate di Roma emetteva nei confronti della società X Editore srl un avviso di accertamento con il quale rettificava ai fini Irpeg ed Irap la dichiarazione dei redditi presentata per l’anno di imposta 2003, sul rilievo che la società, in violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11, aveva omesso di indicare separatamente le spese e gli altri componenti negativi di reddito derivante da operazione intervenute con imprese commerciali aventi sede in paesi a fiscalità privilegiata, nella specie con la società Creol Enterprises con sede ad (OMISSIS).

Contro l’avviso di accertamento la società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo rigettava con sentenza n. 542 del 2007.

Avverso la sentenza la società proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Roma che con sentenza del 3.12.2008 lo accoglieva, osservando che: la società aveva fornito la prova della effettività delle operazioni economiche intrattenute con la società sedente in (OMISSIS); le sanzioni erano inapplicabili avendo la ricorrente presentato la dichiarazione prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, così sanando l’errore formale commesso.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per i seguenti motivi: 1) violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, L. n. 296 del 1998, art. 1, commi 302 e 303, L. n. 212 del 2000, art. 10 e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110 nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’omessa separata indicazione delle componenti reddituali negative di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11 costituisce mera violazione formale non sanzionabile; 2) violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, L. n. 296 del 1998, art. 1, commi 302 e 303, L. n. 212 del 2000, art. 10, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110 e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11 bis nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha escluso l’applicabilità delle sanzioni a seguito di dichiarazione integrativa presentata dalla contribuente successivamente all’avvio delle operazioni di verifica, anzichè riconoscere l’applicabilità della sanzione prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 303; 3) vizio di ultrapetizione per violazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53 e 61; 4) vizio di insufficienza della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella parte in cui la Commissione tributaria regionale ha ritenuto provata la sussistenza delle condizioni richieste per la deducibilità dei costi.

La società X Editore ha depositato controricorso con il quale chiede di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è fondato. A seguito delle modifiche al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11, introdotte dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 301, l’esposizione separata dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese localizzate in paesi a fiscalità privilegiata, pur mantenendo il carattere di adempimento obbligatorio, ha cessato di essere una condizione alla quale è subordinata la deducibilità dei costi da “black list”, essendo consentito anche al contribuente che ha omesso tale adempimento di fornire la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali di deducibilità stabiliti dallo stesso art. 110, comma 11 (attività commerciale effettivamente svolta dalla impresa estera, ovvero effettivo interesse economico ad effettuare l’operazione commerciale con l’impresa “black list” ed effettiva esecuzione della operazione).

L’omessa esposizione separata dei componenti negativi di cui al D.Lgs. n. 917 del 1986, art. 110, comma 11, da causa ostativa alla deducibilità dei costi è divenuto, una violazione specificamente sanzionata dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3 bis, introdotto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 302, applicabile retroattivamente anche alle violazioni commesse antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006 in forza del disposto dell’art. 1, comma 303 della legge stessa (in senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 4030 del 27/02/2015, Rv. 634884).

1.2. La violazione dell’obbligo di indicazione separata dei costi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11 non è annoverabile tra le “mere violazioni formali” per le quali comma 3 L. n. 212 del 2000 stabilisce il principio della inapplicabilità delle sanzioni. Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5 bis, aggiunto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 7 recante disposizioni di attuazione dei principi stabiliti dallo Statuto dei contribuenti a norma della L. n. 212 del 2000, art. 16, ha definito la nozione di “mera violazione formale” non punibile, stabilendo che essa sussiste allorchè la violazione è priva di incidenza sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo, ed è inidonea ad arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo. Si tratti di requisiti concorrenti nel senso che essi devono ricorrere congiuntamente affinchè la violazione sia catalogabile tra quelle meramente formali non sanzionabili. L’omessa evidenziazione, mediante indicazione separata, dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti in Stati a fiscalità privilegiata, costituisce condotta idonea a frapporre un ostacolo all’attività di costante monitoraggio da parte della Amministrazione finanziaria delle operazioni economiche intercorse con imprese “black list”; pertanto si tratta di violazione priva di uno dei requisiti necessari per essere annoverata tra le violazioni formali non punibili ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5 bis.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla inefficacia della dichiarazione integrativa rispetto alla applicazione delle sanzioni, è fondato per la preliminare ragione di diritto di seguito indicata.

Lo strumento della dichiarazione integrativa previsto dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8-bis consente di operare una rettifica in aumento del reddito dichiarato in favore del fisco, ovvero una diminuzione del reddito dichiarato a favore del contribuente. Tale procedura è inapplicabile in caso di omessa indicazione separata dei costi prescritta dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11, poichè essa non dà luogo ad alcuna rettifica, nè in aumento nè in diminuzione, del reddito dichiarato. Inoltre l’inciso “salva l’applicazione delle sanzioni”, posto all’inizio del D.P.R. n. 322 del 1988, art. 2, comma 8, costituisce argomento letterale di conferma della estraneità della procedura della dichiarazione integrativa alla materia delle sanzioni, per la quale vige il diverso istituto del ravvedimento operoso previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13.

Subordinatamente, è ugualmente fondata la censura secondo cui l’avvio della verifica fiscale di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, in quanto, se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse, la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni comminate dal legislatore. (Sez. 6 – 5, Sentenza n. 15798 del 27/07/2015, Rv. 636114; Sez. 5, Sentenza n. 14999 del 17/07/2015, Rv. 636123; Sez. 5, Sentenza n. 5398 del 04/04/2012, Rv. 622225).

Tale conclusione è avvalorata dal disposto del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, che precludendo l’accesso al regime di riduzione delle sanzioni ai soggetti nei cui confronti siano già iniziate attività di accertamento, a maggior ragione esclude che i soggetti nei cui confronti siano già iniziate le verifiche possano fruire del beneficio di totale esenzione dalle sanzioni.

3. Il terzo motivo è infondato. L’atto di appello proposto dalla società ha devoluto alla cognizione della Commissione tributaria regionale anche la questione relativa alla effettiva sussistenza dei costi sostenuti, richiamando il fatto che l’Amministrazione finanziaria non aveva mosso contestazione alla loro effettiva sussistenza, ma si era limitata (come risulta da verbale di accertamento) a disconoscerne la deducibilità per il solo dato formale della mancata indicazione separata.

4. Il quarto motivo è infondato. Il giudice di appello, sulla base della documentazioni richiamata (certificato di registrazione della società residente ad (OMISSIS), bollette doganali, fatture) ha ritenuto che l’impresa estera svolgesse effettivamente una attività commerciale e che le operazioni intercorse con la società appellante avevano avuto concreta esecuzione. La motivazione è sufficiente. Le difformi valutazioni svolte nel motivo di ricorso involgono profili di merito in ordine alla valutazione del materiale probatorio non sindacabili in questa sede.

5. In accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, la sentenza deve essere parzialmente cassata e la causa decisa nel merito.

Trattandosi di violazione dell’obbligo di esposizione separata dei costi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11 primo periodo, commessa prima dell’entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 296, trova applicazione l’art. 1, comma 303 della stessa legge, che, secondo l’interpretazione di questo Collegio, stabilisce l’applicazione congiunta della sanzione proporzionale del 10% dei costi non indicati separatamente prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3 bis, unitamente alla sanzione minore fissa (da Euro 258 ad Euro 2065) prevista dallo stesso art. 8, comma 1. Il tenore letterale della norma secondo cui, in caso di violazioni dell’obbligo di indicazione separata dei costi commessi anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche legislative “resta ferma l’applicazione della sanzione di cui all’art. 8, comma 1” non consente conclusione diverse. La ratio del cumulo delle sanzioni può individuarsi nella intenzione del legislatore di consentire retroattivamente la deducibilità dei costi “da black list” ritualmente documentati, pur in presenza della omissione dell’obbligo dichiarativo, ma comminando la nuova sanzione di cui all’art. 8, comma 3 bis congiuntamente alla previgente sanzione generale prevista dall’art. 8, comma 1 in caso di “omessa indicazione di ogni elemento prescritto per il compimento dei controlli”.

Non può trovare accoglimento la tesi di parte resistente secondo cui, qualora il contribuente fornisca la prova della sussistenza dei requisiti sostanziali di deducibilità dei costi richiesti dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110, comma 11, si deve applicare la sola sanzione fissa prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 1 in luogo di quella proporzionale prevista dallo stesso art. 8, comma 3 bis. Osta a tale interpretazione la considerazione che, in caso di insussistenza delle condizioni sostanziali di deducibilità dei costi da black list, non si fa luogo alla applicazione di alcuna delle sanzioni previste dall’art. 8, comma 1 ovvero 3 bis D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ma si determina una rettifica in aumento del reddito imponibile in misura corrispondente al recupero dei costi ritenuti indeducibili, con conseguente applicazione del diverso sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 1, comma 2 (dal cento al duecento per cento della maggiore imposta) con riguardo alla violazione sostanziale relativa alla indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato.

Poichè la ricorrente Agenzia delle Entrate ha chiesto l’applicazione della sola sanzione prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3 bis, la domanda deve essere accolta entro tali limiti in ottemperanza al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c..

L’accoglimento solo parziale del ricorso giustifica la compensazione delle spese per l’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo; rigetta il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta inapplicabilità delle sanzioni, e decidendo nel merito ridetermina la sanzione in quella prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 8, comma 3 bis. Compensa le spese per l’intero giudizio.