CORTE di CASSAZIONE, sez. penale, sentenza n. 31253 depositata il 22 giugno 2016
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Udine in data 3/12/2014, M. Z. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di otto mesi di reclusione in quanto riconosciuto colpevole dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000 (capo a), per avere nella sua qualità di presidente della A.S.D. Donatello Calcio, emesso, per creare costi inesistenti ed abbattere la base imponibile della propria società S. an. di Z. M. & C. S.n.c., tre fatture per operazioni inesistenti per un totale di 60.000 euro; nonché di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per avere, nella medesima qualità, presentato le dichiarazioni annuali relative ai periodi di imposta 2008 e 2009, avvalendosi delle predette fatture e, dunque, di elementi passivi fittizi; fatti accertati in Udine, rispettivamente, entro il settembre 2010 e in data 3/11/2009 e 24/09/2010. Con lo stesso provvedimento egli era stato, altresì, condannato alla pena accessoria di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000 per la durata di un anno.
2. Con sentenza emessa in data 3/05/2016 la Corte d’appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ridotto a otto mesi la durata della predetta pena accessoria, confermando, nel resto, le statuizioni del primo provvedimento.
3. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso lo stesso Z. a mezzo del difensore fiduciario, deducendo due distinti motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per travisamento delle prove raccolte. Ciò in quanto, in primo luogo, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che i testi Bric e Prostran, allenatori della società sportiva, avrebbero smentito l’affermazione di Z. secondo cui nel gennaio 2009 egli aveva eseguito un prelevamento di 30.000 euro per pagare i due allenatori in relazione alle loro spettanze del 2008 e in acconto per il 2009; pagamenti che sarebbero stati realmente effettuati, anche se non in un’unica soluzione e nel corso del tempo, secondo quanto risultante anche dal brogliaccio della prima nota di cassa della A.S.D. Donatello. Sotto altro profilo la dichiarazione rilasciata dalla BCC banca di Udine, relativa alla estinzione di una fideiussione costituita a garanzia di un debito contratto dalla società sportiva, dimostrerebbe la regolarità della gestione della società stessa da parte di Z., ivi compresa la regolare tenuta delle scritture contabili, atteso che, in caso contrario, Tonizzo avrebbe evidenziato questa circostanza nell’occasione in cui era stato sentito il 19/07/2010. Infine, il ricorso lamenta che la sentenza non avrebbe considerato che dalle dichiarazioni di Tonizzo e dalla documentazione prodotta dalla difesa in relazione all’utilizzo del marchio della società S. an. di Z. Marco & C. S.n.c. sul sito web della A.S.D. Donatello sarebbe stata provata la veridicità dei contratti di sponsorizzazione. Con il secondo motivo, Z. lamenta, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., la violazione degli artt. 8 e 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione alla carenza dell’elemento psicologico; ciò in quanto non sarebbe stato dimostrato il fine di consentire, a sé o a terzi, l’evasione fiscale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Quanto al primo motivo, le deduzioni difensive si concentrano su una serie di profili sostanzialmente periferici rispetto alla complessiva ricostruzione degli addebiti, che i giudici di merito hanno articolato, in maniera logicamente congrua, attraverso il puntuale riferimento alle acquisizioni istruttorie, costituite dagli accertamenti documentali della Guardia di finanza di Udine e dalle dichiarazioni dei testi N., T., B. e P.. Dal complesso di tali emergenze probatorie, infatti, è emerso nitidamente che la società sportiva dilettantistica A.S.D. Donatello Calcio, oltre a non avere mai istituito le scritture contabili obbligatorie, non aveva adempiuto agli obblighi dichiarativi e al versamento delle imposte dirette per gli anni 2009-2010 e 2010- 2011, oltre che dell’Iva e dell’Irap per gli anni 2008-2009, 2009-2010 e 2010- 2011. Inoltre, per quanto qui di interesse, la società aveva emesso, tra il 31/12/2008 e il 30/09/2009, tre fatture, per complessivi 60.000 euro, a favore della S. a.di Z. Marco & C. S.n.c., di cui lo stesso Z. era legale rappresentante, in relazione a dei contratti di sponsorizzazione e ad alcune prestazioni promo-pubblicitarie; fatture che erano state regolarmente annotate nella contabilità della predetta società ed esposte nei relativi bilanci. Tuttavia, della effettiva esistenza di queste prestazioni – consistenti nella pubblicità a favore della Sapori sul sito intemet della società sportiva, nonché nella apposizione del logo sulla carta intestata di quest’ultima e sulla carrozzeria dei pulmini della stessa Donatello – non è mai stato offerto alcun adeguato riscontro. Secondo quanto posto in luce dalle due sentenze, il teste N., già segretario amministrativo della A.S.D. Donatello Calcio, ha, infatti, negato che tali prestazioni fossero mai state erogate. Z., dal canto suo, ha per un verso prodotto delle fotocopie attestanti l’utilizzo del marchio della società S. an. nel sito web della società sportiva; e, peraltro verso, ha esibito la fotocopia di quattro assegni tratti, tra gennaio e marzo 2009, sul conto corrente della S. an. di Z. Marco & C. S.n.c. ed emessi a favore della A.S.D. Donatello Calcio per complessivi 43.500 euro, nonché un “mastrino” della stessa S. an. attestante ulteriori pagamenti a favore della società sportiva, peraltro privi di qualunque causale, attraverso cui il totale delle rimesse a favore della società è stato determinato in 51.900 euro. Nondimeno, i giudici di merito hanno ritenuto, in maniera del tutto logica, che il suddetto compendio probatorio fosse insufficiente a dimostrare l’effettiva esistenza dei menzionati contratti di sponsorizzazione, dando compiutamente conto degli elementi di fatto sulla base dei quali è stato ritenuto il carattere fittizio delle relative prestazioni: indeterminatezza delle relative clausole contrattuali a fronte di un ingente importo della sponsorizzazione, assenza del logo sulla carta intestata della società sportiva e sui pulmini, identità soggettiva tra sponsorizzante e sponsorizzato; sicché la sentenza impugnata si sottrae, sotto tale profilo, a qualunque censura da parte dell’odierno ricorrente, essendo stata motivatamente svalutata la circostanza, di cui le sentenze hanno dato comunque atto, dell’utilizzo del marchio della società nel sito web, ritenuta non idonea a inficiare gli elementi probatori di segno opposto e, dunque, a dimostrare la veridicità dei contratti di sponsorizzazione. Le sentenze, del resto, hanno anche chiarito come dall’analisi dei conti correnti della società sportiva sia, altresì, emerso che una somma corrispondente all’ammontare dei quattro assegni sopra citati era stata prelevata dallo stesso Z. successivamente al versamento, con il prelievo dapprima di 30.000 euro e, quindi, della restante somma, senza che l’interessato sia stato in grado di dimostrarne la causale; ciò a dimostrazione del fatto che, in realtà, lo stesso versamento di denaro a favore della società sportiva era stato chiaramente fittizio. In buona sostanza, secondo quanto posto in luce dalle sentenze di merito, le somme versate in esecuzione di un contratto di cui non è stata dimostrata l’effettività delle prestazioni erano successivamente rientrate nella disponibilità della stessa persona fisica che le aveva erogate. Su questo profilo di fatto si appuntano alcune delle censure svolte nel primo motivo di ricorso dall’odierno imputato, secondo il quale sarebbe stato, in realtà, dimostrato che il prelievo dei 30.000 euro sarebbe avvenuto per pagare i due allenatori B. e P.. Sul punto, deve premettersi che la questione è scarsamente rilevante per quanto qui di interesse, ovvero ai fini della dimostrazione dell’esistenza delle operazioni di sponsorizzazione, del tutto sganciate dalle retribuzioni dei due allenatori; i quali, in ogni caso, hanno affermato come ad essi venisse periodicamente corrisposto un rimborso mensile, e non, dunque, in un’unica soluzione, secondo l’originaria prospettazione difensiva. Sotto altro aspetto, anche l’ulteriore doglianza articolata nel ricorso non è affatto pertinente rispetto alla contestazione, non assumendo alcun rilievo, ai fini della confutazione circa l’emissione e la successiva utilizzazione delle fatture false, l’asserita “regolarità” nella gestione della società sportiva da parte di Z..
3. Venendo, infine, al secondo motivo di doglianza, deve sottolinearsi come i giudici di merito, una volta dimostrata la falsità delle fatture inserite nelle dichiarazioni fiscali della S. an. di Z. Marco & C. S.n.c., abbiano messo in evidenza l’assenza di spiegazioni, logicamente plausibili, alternative all’evasione fiscale; alternative prospettate dall’imputato in termini del tutto generici e ipotetici, ma in nessun modo dimostrate, sicché gli ampi riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte in materia di elemento soggettivo sono del tutto ultronei e aspecifici, come del resto posto in luce dalla stessa Corte triestina, che aveva già rilevato la sostanziale inconferenza delle relative doglianze sul punto.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della torte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000 (duemila) in favore della Cassa delle Ammende.
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