CORTE COSTITUZIONALE – Ordinanza 13 luglio 2017, n. 187
Imposte e tasse – Procedimento di accertamento tributario – Diritto del contribuente di ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni – Previsione nelle sole ipotesi in cui l’Amministrazione abbia effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività.
Ritenuto che la Commissione tributaria regionale della Toscana, con ordinanza del 18 gennaio 2016, iscritta al n.122 del registro ordinanze 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 10 (recte: dell’art. 12) della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione;
che, come evidenziato dalla rimettente, il giudizio principale attiene all’appello interposto dalla Prefabbricati Pistoiese srl avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Pistoia con la quale è stato solo parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti di un accertamento, inerente redditi relativi all’anno 2008 e che, tra i motivi di impugnazione, vi è quello della asserita invalidità dell’accertamento per la mancata instaurazione del contraddittorio anticipato, in violazione del disposto di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000;
che, nella parte oggetto di censura, la disposizione in questione prevede che «[n]el rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.[…]»;
che, ad avviso della rimettente, tale disposizione – in linea con l’interpretazione offerta da ultimo dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, cui viene ascritto il portato proprio del «diritto vivente» sul tema in oggetto – garantisce il relativo modulo procedimentale, a pena di invalidità del conseguente accertamento, limitatamente, tuttavia, ai soli controlli effettuati tramite accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente, meglio descritti dal comma 1 dello stesso art. 12; per i controlli fiscali realizzati in ufficio dai verificatori, in assenza di una specifica previsione normativa in tal senso, deve invece escludersi la presenza di un principio generale, immanente nel sistema, destinato ad imporre l’obbligo del contraddittorio preventivo all’atto impositivo, salvo che per i tributi armonizzati, in relazione ai quali detto obbligo è desumibile dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 e sempre che, come più volte ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, l’interessato abbia dato prova dell’incidenza effettiva della violazione sulla formazione dell’atto che ha recato pregiudizio allo stesso;
che, secondo la Commissione rimettente – considerato il limitato perimetro dell’approfondimento probatorio proprio dei giudizi tributari, nei quali non è consentita l’assunzione di prove orali – la partecipazione del contribuente alla fase di formazione dell’atto impositivo deve ritenersi essenziale per garantire al destinatario il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., nonché piena parità nel corso della successiva fase processuale, anche in applicazione degli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata de resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, norma evocata quale parametro interposto rispetto alla censura prospettata ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost.;
che, inoltre, la limitazione del contradditorio preventivo, a pena di invalidità dell’atto, ai soli accertamenti realizzati a seguito di accesso sarebbe irragionevolmente discriminatoria per quei contribuenti che non hanno subito una verifica presso i locali di esercizio della relativa attività, con conseguente non manifesta infondatezza dei dubbi di illegittimità in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., parametro, quest’ultimo, evocato in ragione delle conseguenze che derivano dalla riscontrata diseguaglianza in ordine alla corretta individuazione dei dati fondanti la capacità contributiva;
che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo: in via pregiudiziale, l’inammissibilità della questione per la genericità della descrizione della fattispecie, tale da precludere alla Corte ogni valutazione sulla rilevanza della questione; nel merito, l’inconferenza degli artt. 24 e 111 Cost., nonché la manifesta infondatezza delle argomentazioni concernenti gli altri parametri.
Considerato che, nel dubitare della legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), la Commissione tributaria regionale della Toscana muove dal significato interpretativo attribuito a tale disposizione dalle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, assunta come espressiva del diritto vivente formatosi sul tema del contraddittorio anticipato nel procedimento tributario;
che, ponendosi lungo questa direttrice interpretativa, è di immediata evidenza che, ai fini della rilevanza delle sollevate questioni, il giudizio principale deve avere ad oggetto un accertamento tributario: inerente tributi non armonizzati (poiché, per quelli armonizzati, l’obbligo di sentire previamente il destinatario dell’atto rinviene base giuridica nel principio generale dettato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007); non preceduto da accessi, ispezioni o verifiche sui luoghi di riferimento del contribuente (giacché il modulo procedurale previsto, a pena di invalidità dell’atto, dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, appare delimitato solo alle descritte verifiche fiscali); non ricompreso tra quelli per i quali l’obbligo del contraddittorio anticipato è espressamente sancito dalla legge (perché ciò neutralizza in radice l’esigenza sottesa alla evocata verifica di costituzionalità);
che, alla luce di tali considerazioni, la sollevata questione è manifestamente inammissibile, per la inadeguata descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, in quanto effettuata con modalità tali da non consentire a questa Corte la necessaria verifica della rilevanza della questione (ex plurimis, ordinanze n. 12 del 2017 e sentenza n. 218 del 2014);
che, in particolare, dal complessivo tenore della ordinanza di rimessione emerge, esclusivamente, che il relativo giudizio attiene ad un accertamento inerente redditi del 2008, fondato, tra l’altro, sulle risultanze «di 26 contratti di compravendita stipulati» dalla società ricorrente «in cui venivano indicati valori ritenuti non congrui dall’Amministrazione»;
che, anche ritenendo che l’atto impugnato non sia stato, nella specie, preceduto da un controllo fiscale con accesso, ispezione o verifica sui luoghi di riferimento della contribuente (perché diversamente sarebbe emersa l’immediata applicabilità della norma censurata, senza metterne in discussione la legittimità costituzionale), la lacunosa descrizione della fattispecie non consente di identificare le caratteristiche del procedimento che ha portato all’accertamento contestato e neppure l’effettiva natura di quest’ultimo;
che siffatta carenza descrittiva preclude a questa Corte – cui non è consentita la lettura degli atti di causa in ragione del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (tra le ultime, ordinanza n. 237 del 2016) – la possibilità di verificare se si verta o meno in una delle ipotesi per le quali il contraddittorio è comunque imposto ex lege (non potendosi eventualmente escludere, ad esempio, che l’accertamento risulti fondato anche su parametri standardizzati, quali gli studi di settore, per i quali, come è noto, l’obbligo di contraddittorio preventivo è imposto dal relativo dato normativo di riferimento);
che la questione deve essere dunque dichiarata manifestamente inammissibile.
PQM
Dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117, primo comma, della Costituzione.
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