Corte di Cassazione, ordinanza n. 21517 depositata il 20 luglio 2023
avviso di accertamento – emissione prime del termine dei 60 dal termine delle verifiche – nullità – escluso che esista un principio generale secondo cui deve trovare applicazione il contraddittorio endoprocedimentale nel corso dell’accertamento tributario come avviene relativamente ai tributi armonizzati
Fatti di causa
1. La Guardia di Finanza esperiva un’ispezione fiscale nei confronti della M.S. Srl, ed analizzava le movimentazioni bancarie della società. Emergevano operazioni non adeguatamente giustificate, sia in entrata sia in uscita, in relazione ad una pluralità di anni d’imposta. La verifica si concludeva con la consegna alla contribuente di Processo Verbale di Costatazione (PVC).
Sul fondamento del PVC, quindi, l’Agenzia delle Entrate notificava alla M.S. l’avviso di accertamento n. T8F030201012/2010, avente ad oggetto Ires, Iva ed Irap, in relazione all’anno 2005 (R.G.N. 19413/2017); notificava, inoltre, l’avviso di accertamento n. T8F030201031/2010, avente ad oggetto Ires, Iva ed Irap, in relazione all’anno 2007 (R.G.N. 19414/2017); notificava, ancora, l’avviso di accertamento n. T8F030201028/2010, avente ad oggetto Ires, Iva ed Irap, in relazione all’anno 2006 (R.G.N. 19417/2017); notificava, infine, l’avviso di accertamento n. T8F030201045/2010, avente ad oggetto Ires, Iva ed Irap, in relazione all’anno 2008 (R.G.N. 19421/2017).
2. La società proponeva impugnazione avverso gli atti impositivi, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto, proponendo plurime censure, tra cui l’illegittimità dell’avviso di accertamento perché notificato meno di sessanta giorni dopo la consegna del PVC. La CTP accoglieva i ricorsi introdotti dalla contribuente ed annullava gli atti impositivi.
3. L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso le decisioni sfavorevoli conseguite nel primo grado del giudizio, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana, e riproponeva le proprie tesi, sostenendo pure la sussistenza di ragioni di urgenza che avrebbero giustificato il mancato riconoscimento alla contribuente del termine di sessanta giorni tra la notificazione del PVC e quella dell’atto impositivo, di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 (c.d. Statuto del contribuente). La CTR rigettava le impugnazioni introdotte dall’Amministrazione finanziaria.
4. Ha proposto ricorso per cassazione, avverso le decisioni pronunciate dalla CTR, l’Agenzia delle Entrate, affidandosi a quattro motivi di impugnazione. Resiste mediante controricorsi la contribuente.
Ragioni della decisione
1. Occorre anticipare che i diversi processi conseguiti alla verifica espletata dalla Guardia di Finanza di cui innanzi, non sono stati riuniti dai giudici dei gradi di merito, che hanno ritenuto di deciderli separatamente, e tutti e quattro pendono ora innanzi a questa Corte di legittimità e sono stati chiamati per la trattazione nella stessa udienza.
Osservato che non solo le decisioni dei giudici di merito appaiono conformi in relazione ai diversi fascicoli, relativi a diversi anni d’imposta, ma pure le contestazioni proposte dall’Agenzia delle Entrate alle decisioni risultano comuni nelle diverse cause, e pertanto ricorrono le condizioni per cui deve ritenersi opportuno che al fascicolo più antico, in quanto recante il numero di registro generale più basso, cioè quello avente R.G.N. 19413/2017, siano riuniti i fascicoli recanti R.G.N. 19414/2017, R.G.N. 19417/2017, R.G.N. 19421/2017, per ragioni di chiarezza e sintesi espositiva della decisione, e per finalità di risparmio delle attività processuali.
Nel prosieguo della trattazione si indicherà quale esempio il fascicolo R.G.N. 19413/2017, ma le valutazioni espresse devono intendersi estese anche in relazione agli ulteriori fascicoli.
2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, in cui è incorsa la CTR erroneamente annullando l’avviso di accertamento notificato alla contribuente, sebbene la Guardia di Finanza avesse concesso alla società ampio termine per dedurre, ed avesse redatto il PVC “al solo scopo di esporre le risultanze delle indagini finanziarie” (ric., p. 1).
3. Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Ente impositore censura ancora la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, perché il giudice dell’appello ha annullato l’atto impositivo fondando su una pretesa violazione formale della disciplina del contraddittorio preventivo, ma in un’ipotesi in cui la finalità tutelata dalla norma era stata già ampiamente soddisfatta nel corso della previa verifica fiscale.
4. Con il terzo motivo di ricorso, sempre proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate critica nuovamente la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, in cui è incorso il giudice dell’appello perché “anche per i tributi non armonizzati l’inosservanza del termine dilatorio … può comportare la sanzione demolitoria della nullità solo se, sulla base delle allegazioni del contribuente, laddove il contraddittorio fosse stato rispettato, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso” (ric., p. 2).
5. Mediante il quarto mezzo di impugnazione, ancora introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate critica sempre la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, in cui è incorsa l’impugnata CTR, perché comunque sussistevano plurime ragioni di urgenza che giustificavano l’accelerazione della “procedura di riscossone”, e poteva quindi prescindersi dal rispetto del termine di sessanta giorni tra la notificazione del PVC e quella dell’avviso di accertamento.
6. Con tutti e quattro i suoi motivi di ricorso l’Amministrazione finanziaria critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR per aver ritenuto che, nel caso di specie, dovesse essere riconosciuto alla contribuente, a pena di nullità dell’atto impositivo, il termine dilatorio di sessanta giorni tra la consegna del PVC redatto dalla Guardia di Finanza, e la notificazione dell’avviso di accertamento cui ha provveduto l’Agenzia delle Entrate. Gli strumenti di impugnazione presentano elementi di connessione, e possono essere esaminati congiuntamente, per ragioni di chiarezza e sintesi espositiva.
6.1 Appare opportuno premettere che la norma in questione, il comma sette dell’art. 12 della legge n. 212, dispone: “7. Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
7. Deve quindi essere ricordato che, a sostegno della propria tesi, la ricorrente propone plurimi argomenti.
Osserva l’Amministrazione finanziaria che, in prosieguo di una prima verifica terminata il 2.4.2009, in data 1°.3.2010 la Guardia di Finanza ha ripreso le operazioni di accertamento, notificando ai soggetti interessati “i prospetti contenenti le movimentazioni bancarie (versamenti e prelevamenti) … sono stati concessi alla parte oltre 15 (QUINDICI) giorni per fornire le proprie giustificazioni” (ric., p. 3). Rileva inoltre l’Agenzia delle Entrate che, sebbene la GdF abbia qualificato le attività di controllo a carico della società come “verifica”, “l’accesso nei locali della società è avvenuto unicamente al fine di notificare gli esiti delle indagini finanziarie” (ric., p. 10).
In ogni caso, nella prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, “ancorché il termine di 60 giorni non sia stato rispettato, si osserva che il principio del contraddittorio non è stato nella specie violato” (ric. p. 13), perché la contribuente è stata posta in condizione di presentare proprie osservazioni, le ha proposte, e sono anche state prese in considerazione, come emerge dallo stesso PVC.
7.1 Con il terzo strumento di impugnazione, poi, l’Ente impositore censura la impugnata decisione della CTR per non aver tenuto conto che la Suprema Corte ha escluso che esista un principio generale secondo cui deve trovare applicazione il contraddittorio endoprocedimentale nel corso dell’accertamento tributario, e quand’anche questo obbligo esiste, come avviene relativamente ai tributi armonizzati, rimane comunque onere del contribuente dimostrare che l’avvenuta violazione del diritto al contraddittorio abbia arrecato danno al suo diritto di difesa.
7.2 Infine, con il quarto strumento di impugnazione, la ricorrente critica che, come specificato anche nell’atto di appello a n. 6, ricorrevano specifiche “ragioni d’urgenza, ovvero l’esigenza di quantificare l’ammontare dei recuperi ed accelerare la procedura di riscossione; il fumus d’evasione sotteso alle indagini bancarie, unitamente all’ammontare elevato dei recuperi stessi; la circostanza in base alla quale la società era già stata destinataria di due avvisi di accertamento per le annualità 2005 e 2006; il fatto che il soggetto era in liquidazione dal 2009 ed aveva trasferito la propria residenza a Bologna, senza alcuna giustificazione economica” (ric., p. 24).
8. Sulle riassunte contestazioni, riproposte in sede di giudizio di legittimità, hanno già pronunciato i giudici del merito. La stessa Commissione Tributaria Regionale della Toscana, impugnata in questa sede, ha riportato stralci della pronuncia con la quale la CTP di Grosseto ha osservato che “nel caso in discussione, l’atto impugnato è nullo in quanto emesso prima della scadenza dei 60 giorni dalla notifica del p.v.c.” (sent. CTR, p. VI), e non ha mancato, il giudice di primo grado, di sottolineare che questi rilievi trovavano conforto nell’orientamento interpretativo seguito dalla giurisprudenza di legittimità in materia. La CTR ha dichiarato di condividere le osservazioni proposte dalla Commissione Tributaria Provinciale, del resto conformi anche rispetto a quanto osservato dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. 18184/2013).
8.1 Questa Corte regolatrice, invero, ha avuto ripetutamente occasione di pronunciarsi in materia di omesso rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge 212 del 2000, ed ha raggiunto un orientamento ormai consolidato che le argomentazioni proposte in questo giudizio dalla ricorrente non inducono a modificare.
Si è infatti chiarito, proprio nella pronuncia a Sezioni Unite richiamata anche dai giudici del merito, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio”, Cass. SU, 29.7.2013, n. 18184 (conf., tra le molte, Cass. sez. V, 30.10.2018, n. 27623; più di recente, Cass. sez. V, 25.7.2022, n. 23223).
8.2 Successivamente alla ricordata pronuncia delle Sezioni Unite non si è mancato di ribadire il concetto osservando, tra l’altro, che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, st. contr. deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito”, Cass. sez. VI-V, 23.7.2020, n. 15843.
8.3 Dovendo assicurarsi piena tutela ai valori costituzionali ricordati, occorre allora ribadire che il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, qualora l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, importa la nullità dell’atto impositivo notificato prima della decorrenza del termine. Tanto deve affermarsi, pertanto, rispondendo alle osservazioni proposte dall’Amministrazione finanziaria con il terzo motivo di ricorso, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato. Nel caso di specie, si osservi, non si verte in una questione interpretativa circa la generale previsione di un obbligo di contraddittorio preventivo. La fattispecie in esame riguarda un’ipotesi in cui l’obbligo del rispetto del termine dilatorio è previsto testualmente dalla legge.
8.4 Occorre quindi aggiungere, in considerazione delle censure proposte dall’Amministrazione finanziaria con il suo primo e secondo strumento d’impugnazione, che la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti. Il termine è stato ritenuto necessario dal legislatore per garantire alla parte, alla conclusione delle indagini svolte presso di lui, un periodo di tempo utile per riesaminare i dati raccolti dai verificatori e determinarsi sulla sua successiva condotta, e rimane pertanto indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari.
Nel caso di specie, poi, l’Amministrazione finanziaria ha consegnato i dati estratti dalle movimentazioni bancarie, che certo il contribuente avrebbe dovuto esaminare con cura, e poi, non rispettando il termine di cui all’art. 12, comma 7, l. 212/2000, ha notificato l’avviso di accertamento, evidentemente violando la norma indicata.
8.5 Può allora sintetizzarsi il principio di diritto secondo cui: “L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, di cui all’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 – decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo, perché il termine è stato ritenuto necessario dal legislatore per garantire alla parte, alla conclusione delle indagini svolte presso di lui, un periodo di tempo utile per riesaminare i dati raccolti dai verificatori e determinarsi sulla sua successiva condotta, e rimane pertanto indifferente alle vicende che si sono compiute nelle fasi preliminari; pertanto la garanzia di tutela del contribuente assicurata mediante il termine dilatorio in questione non ammette equipollenti, non potendo essere sostituita da un contraddittorio più o meno lungo ed intenso svoltosi tra le parti; in conseguenza, qualora il termine sia stato violato, e l’Amministrazione finanziaria non provi la ricorrenza di ragioni d’urgenza, ciò comporta la nullità insanabile dell’atto impositivo notificato prima della decorrenza del termine, indipendentemente dalla natura del tributo accertato, sia esso armonizzato o non armonizzato”.
9. L’Agenzia delle Entrate sostiene ancora due argomenti, per affermare la legittimità del suo operato e l’erroneità della pronuncia adottata dai giudici del merito. Afferma che nel caso di specie il termine non dovesse essere rispettato perché non operante, in quanto non si era verificato un vero accesso, e sostiene ancora che nel caso di specie ricorressero ragioni di urgenza che giustificavano il mancato rispetto del termine.
9.1 In ordine al primo argomento, sostenuto in particolare mediante il primo strumento di impugnazione, questa Corte ha assunto un orientamento ormai consolidato, circa l’interpretazione di che cosa debba intendersi per “accessi, ispezioni e verifiche”, di cui alla norma in esame, ed afferma che “il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo”, Cass. sez. V, 23.1.2020, n. 1497 (conf. Cass. sez. VI-V, 2.7.2014, n. 15010).
La tesi affermata dalla ricorrente risulta pertanto infondata e deve essere respinta.
9.2 Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso, poi, il ricorrente Ente impositore afferma che ricorressero specifiche ragioni d’urgenza, che avrebbero giustificato il mancato rispetto del termine dilatorio previsto dalla legge.
In proposito la CTR osserva, condivisibilmente, che soltanto particolari ragioni d’urgenza avrebbero potuto escludere l’illegittimità dell’emissione di un avviso di accertamento notificato senza il rispetto del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000. Tali ragioni d’urgenza non ricorrevano, e comunque non sono state provate dall’Amministrazione finanziaria. Infatti, come già rilevato dai giudici di primo grado, “l’affermazione dell’Ufficio secondo cui le ragioni d’urgenza sarebbero da ricercarsi nel fatto che l’Ufficio doveva presentare la richiesta di misure cautelari ai sensi dell’art. 22 D.L.vo n. 47/’77 … deve ritenersi del tutto infondata posto che le misure cautelari possono essere richieste sulla base dell’atto di contestazione, di irrogazione delle sanzioni ovvero al processo verbale di costatazione, e non in base all’avviso di accertamento … e sul punto in esame la specificazione-contestazione portata dai motivi d’appello risulta a prima vista per un verso una mera petizione di principio sulla ritualità e legittimità del proprio operato senza però tener conto della stringente valutazione offerta dal primo giudice, argomentazione in verità sostanzialmente ignorata nel suo interno sviluppo logico ricostruttivo” (sent. CTR, p. VII s.).
9.2.1 Premesso che, come si è del resto già anticipato, non è precluso all’Amministrazione finanziaria dimostrare le ragioni d’urgenza in questione, anche quando le stesse non siano state esaurientemente illustrate nell’atto impositivo notificato ante tempus, si è avuto occasione di segnalare che l’Amministrazione finanziaria ripropone in questa sede, quali ragioni d’urgenza, quelle indicate in grado di appello, pertanto l’esigenza di quantificare l’ammontare dei recuperi ed accelerare la procedura di riscossione; il fumus d’evasione sotteso alle indagini bancarie, unitamente all’ammontare elevato dei recuperi stessi; la circostanza in base alla quale la società era già stata destinataria di due avvisi di accertamento per le annualità 2005 e 2006; il fatto che il soggetto era in liquidazione dal 2009 ed aveva trasferito la propria residenza a Bologna, senza alcuna giustificazione economica.
9.2.2 La descrizione dei motivi d’urgenza proposti dall’Ente impositore rivela in verità evidenti difetti di specificità, in relazione a diversi profili. Sostiene l’Agenzia delle Entrate che ricorreva l’esigenza “di quantificare l’ammontare dei recuperi”, ma questo vale in relazione a qualsiasi accertamento tributario, che presenti elementi di particolare urgenza o meno; nonché di “accelerare la procedura di riscossione”, ma non chiarisce, l’Ente impositore, quali fossero le ragioni di tanta urgenza, tali da giustificare la compressione dei diritti del contribuente, e si tratta pertanto, effettivamente, di un’affermazione che contiene una petizione di principio. Ancora genericamente, l’Amministrazione finanziaria opera riferimento al “fumus di evasione sotteso alle indagini bancarie”, ma anche in questo caso si tratta di una considerazione molto generica, risultando necessario che ogni accertamento tributario, urgente o no, sia caratterizzato dalla ricorrenza del fumus di buon fondamento dei rilievi in esso contenuti. Neppure si comprende per quale ragione dovrebbero integrare gli elementi d’urgenza idonei a comprimere i diritti del contribuente il fatto che fossero stati emessi a suo carico ulteriori avvisi di accertamento per anni diversi e che avesse trasferito la propria sede. Si tratta di argomenti che l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto esporre con maggiore ampiezza, specificità e chiarezza, ed eventualmente anche documentare, perché potessero essere presi in considerazione. Corretta è pure, sul punto, l’osservazione della CTR secondo cui la odierna ricorrente si è limitata, in sede di appello, a riproporre le proprie tesi sul punto, ma senza provvedere a contrastare le affermazioni del giudice di primo grado in materia, che si sono innanzi riassunte.
9.3 In definitiva, il ricorso introdotto dall’Amministrazione finanziaria risulta infondato e deve essere respinto.
10. Le spese processuali seguono l’ordinario criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore delle controversie relative a ciascun anno d’imposta. Dette spese di lite devono essere liquidate separatamente in relazione ai diversi fascicoli, essendo la riunione delle cause intervenuta soltanto in sede di decisione nel corso del giudizio di legittimità. Non può però trascurarsi che i diversi giudizi presentano questioni assolutamente sovrapponibili, ed hanno perciò richiesto la mera ripetizione delle medesime attività difensive. Occorre anche osservare che alla liquidazione in parola risultano applicabili le nuove regole previste con Dm n. 55 del 2014, il quale ha espressamente escluso la vincolatività dei minimi tariffari.
10.1 Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in materia di c.d. “doppio contributo”.
La Corte,
P.Q.M.
riuniti al processo R.G.N. 19413/2017, i fascicoli recanti R.G.N. 19414/2017, R.G.N. 19417/2017 e R.G.N. 19421/2017; rigetta i ricorsi proposti dall’Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore del costituito controricorrente, e le liquida rispettivamente in:
Euro 9.000,00 per compensi, oltre 15% per le spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori come per legge (R.G.N. 19413/2017);
Euro 15.000,00 per compensi, oltre 15% per le spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori come per legge (R.G.N. 19414/2017);
Euro 12.000,00 per compensi, oltre 15% per le spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori come per legge (R.G.N. 19417/2017);
Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% per le spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori come per legge (R.G.N. 19421/2017).