CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2021, n. 5624
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Sentenza – Difetto di motivazione – Omessa indicazione degli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento – Nullità
Rilevato che
1. La società ricorrente opera nel settore dell’edilizia, detiene il 50% del capitale sociale della soc. Immobiliare P. s.r.l. ed era oggetto di verifica da parte della G.d.F., sfociata in pvc del 20/06/2011 ove i militari contestavano alcune annotazioni chirografe riportanti delle cifre e la dicitura “P.”, desumendo trattarsi di lavori non contabilizzati svolti a favore della soc. P. s.r.I.; che in relazione a tre compravendite immobiliari la S. s.r.l. avesse sottratto al fisco parte del corrispettivo; veniva contestato omesso versamento di ritenute sui redditi da lavoro dipendente. Donde il recupero a tassazione a fini IRES, IRAP, IVA e ritenute IRPEF per l’anno d’imposta 2010, con avviso di accertamento opposto dalla contribuente, affermando trattarsi di annotazioni riferite all’andamento della soc. P. s.r.l. di cui la parte ricorrente deteneva metà del capitale sociale, precisando che appaltatrice dei lavori per la soc. P. s.r.l. fosse altro operatore edile, tale C. s.r.I., mentre essa ricorrente mai aveva avuto un cantiere in Piazza P. a Tirano, presso la, o nell’interesse della, soc. P. s.r.l. ovvero per suo conto od interesse. Altresì, le annotazioni circa le tre compravendite dovevano ritenersi appunti interni, riferibili allo sconto prestato e, comunque, i prezzi delle tre unità non erano dissimili da quelli praticati per altre unità nello stesso edificio. Peraltro, i rilevi Iva sarebbero frutto di conteggi errati ed il recupero delle ritenute Irpef costituirebbero duplicazione di imposta. Il giudice di prossimità rigettava integralmente il ricorso e le doglianze venivano riproposte in appello, ove il collegio del gravame riteneva condivisibile la sentenza di primo grado, confermandola.
Insorge la contribuente affidandosi a cinque motivi di ricorso, sul rito del giudizio e sul merito della pretesa erariale, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato.
In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato memoria.
Considerato
Vengono proposti cinque motivi di ricorso.
1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. n.600/1973 per aver la CTR ritenuta valida la delega di firma del dirigente decaduto ad altro funzionario di area, in assenza di specificità di delega, anche nella durata. Sul punto, questa Corte è intervenuta più volte, anche di recente, confermando che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cfr. Cass. V, n. 11013/2019; VI -5, n. 28850/2019).
Il motivo è pertanto infondato e va disatteso.
2. Con il secondo motivo si profila censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 112 stesso codice di rito, in violazione del principio tra chiesto e pronunciato, per non aver statuito la gravata sentenza sulla dedotta e riproposta violazione degli articoli 42 d.P.R. n. 600/1973 e 56 d.P.R. n. 633/1972, non avendo l’Ufficio indicato in base a quale norma avesse giustificato l’accertamento induttivo in luogo di quello analitico. In buona sostanza, viene proposto un vizio di omessa pronuncia su vizio dell’atto, per non aver indicato la norma che giustifica l’accertamento induttivo in luogo di quello analitico.
Il tema è stato ampiamente trattato da questa Corte, ove ha affermato che Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella Costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).
3. Con il terzo motivo si profila eguale doglianza sull’errata applicazione dell’aliquota IVA sulle vendite immobiliari riprese a tassazione (se 4%, 10% o 20%).
Il motivo assolve all’onere della completezza ed esaustività, indicando i luoghi dell’atto di appello ove tali censure sono state sollevate e di cui non vi è traccia nella parte della motivazione (pag. 2, capoversi da IV in fine) che dovrebbe contenere la relativa statuizione. Anche su questo punto è più volte intervenuta questa Corte. Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018).
Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento.
4. Con il quarto motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 36 lett. d) d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 116 c.p.c., unitamente alla censura di cui all’art. 360 n. 4 c.p.c. per falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in violazione del principio fra chiesto e pronunciato, nella sostanza lamentandosi che la motivazione della gravata sentenza in punto di sotto fatturazione degli appartamenti venduti e della mancata fatturazione delle prestazioni di manodopera rese alla soc. Immobiliare P. s.r.l. non tengano conto della documentazione probatoria offerta dalla parte contribuente.
Il motivo è inammissibile ove richiede a questa Corte di legittimità una rivalutazione dell’apprezzamento di merito che le è inibita.
5. Con il quinto ed ultimo motivo si profila violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, con tale riproponendosi la circostanza predetta al motivo n. 4, ovvero non sarebbero stati esaminati i motivi di appello relativi alla sotto fatturazione nella vendita dei tre appartamenti ed alla omessa fatturazione di manodopera per la soc. Immobiliare P. s.r.l. Il fatto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve concretarsi in un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso. E di tale fatto deve essere indicata anche la natura “decisiva” ai fini del giudizio (Cass., Sez. V, n. 16655/2011).
Il motivo è quindi inammissibile.
In definitiva, il ricorso è fondato per le ragioni attinte dal terzo motivo.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia – Milano, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.
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