CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 ottobre 2019, n. 24583
Tributi – Accertamento – Contabilizzazione di operazioni oggettivamente inesistenti – Informativa di reato tributario – Raddoppio dei termini – Esclusione ai fini IRAP
Fatti di causa
la Z.C. Srl riceveva, in data 20.9.2012, l’avviso di accertamento n. TF030402872 2012, mediante il quale veniva accertato in relazione all’anno 2004, ai fini Ires, Iva ed Irap, un maggior reddito d’impresa pari ad Euro 301.731,71, in conseguenza dell’intervenuta contabilizzazione di operazioni oggettivamente inesistenti.
La società proponeva impugnazione innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, affermando la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di esigere il credito e sostenendo, comunque, l’effettività delle operazioni contestate. La CTP rigettava il ricorso e confermava pertanto la legittimità dell’accertamento impugnato.
La società impugnava la decisione innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, rinnovando le proprie censure. In particolare sosteneva che appariva illegittimo il raddoppio dei termini di accertamento riconosciuti all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 43 del Dpr n. 600 del 1973 perché, pur avendo i verificatori proposto la informativa di reato di cui all’art. 331 cod. proc. pen., per la commissione dei crimini di cui alla legge n. 74 del 2000, il procedimento penale era stato archiviato in conseguenza della sopravvenuta prescrizione, ed il raddoppio dei termini nel procedimento civile risultava perciò illegittimo. Rinnovava quindi le proprie contestazioni circa la effettività dell’operazione finanziaria che le era stata contestata come inesistente. La CTR rigettava il ricorso.
Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania ha proposto impugnazione per cassazione la società, affidandosi a quattro motivi di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
1.1. – Con il suo primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la società ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 52 del Dpr n. 633 del 1973 [recte: 1972], perché la contestata fattura n. 305 del 19.12.2004 è stata acquisita dai verificatori il 15.2.2012, in data antecedente al conferimento dell’incarico di accertamento per l’anno 2004, intervenuto soltanto in data 30.3.2012, ed in conseguenza il documento doveva essere stimato inutilizzabile dalla CTR, perché acquisito illegalmente ed in violazione del diritto alla riservatezza della società.
1.2. – Mediante il secondo motivo di impugnazione proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 43, comma 2 bis, del Dpr n. 600 del 1973 e dell’art. 57, comma 2 bis, del Dpr n. 633 del 1972, come modd., per avere la CTR ritenuto potesse operare il raddoppio dei termini di accertamento in conseguenza della riscoperta di condotte che importino l’obbligo di informativa di reato quando il termine ordinario per procedere alla verifica era, però, già scaduto.
1.3. – Con il suo terzo motivo di ricorso, anch’esso proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la società critica nuovamente la violazione dell’art. 43, comma 2 bis, del Dpr n. 600 del 1973 e dell’art. 57, comma 2, bis del Dpr n. 633 del 1972, come modd., avendo la CTR erroneamente ritenuto legittimo il raddoppio dei termini di accertamento perché, essendo illegittima l’acquisizione del documento da cui dipendeva l’insorgenza dell’obbligo di redigere l’informativa di reato, la CTR avrebbe dovuto escludere l’operatività dell’istituto del raddoppio dei termini.
1.4. – Mediante il quarto motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la ricorrente contesta la nullità della sentenza, e comunque la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., e 2697 cod. civ., in relazione agli artt. 43, comma 2 bis, del Dpr n. 600 del 1973 e dell’art. 57, comma 2 bis, del Dpr n. 633 del 1972, come modd., per carenza del presupposto perché potesse operare il raddoppio dei termini di accertamento, non avendo l’Amministrazione finanziaria prodotto in giudizio la denuncia penale, e non avendo in tal modo consentito al giudice di valutare se sussistessero gli elementi per ritenere legittimo il raddoppio dei termini di accertamento.
2.1. – 2.3. – Il primo ed il terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta conseguenzialità. Con il suo primo motivo di ricorso la società censura la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale impugnata per non aver ritenuto illegittima l’acquisizione del documento, la fattura n. 305 del 19.12.2004, stimata idonea a dimostrare l’intervenuta annotazione contabile in relazione ad operazioni inesistenti, sebbene il documento, relativo all’anno 2004, fosse stata acquisito il 15.2.2012, quando però i verificatori non avevano ancora ricevuto l’autorizzazione a procedere per quell’anno d’imposta, sopravvenuta solo il 30.3.2012. Mediante il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta poi che, se risultava illegittima l’acquisizione della fattura, neppure il raddoppio dei termini di accertamento, dipendente dall’obbligo di denunzia in relazione ad un reato di cui la fattura avrebbe costituito una possibile prova, avrebbe dovuto essere considerato legittimo.
L’Ente impositore, nel suo controricorso, ha replicato che le censure risultano inammissibili perché tardive, non avendo la società proposto la questione dell’illegittima acquisizione della fattura nel suo ricorso introduttivo che, a tal fine, ha provveduto a riprodurre. La replica appare fondata. La questione, del resto, non risulta affrontata nella impugnata decisione adottata dalla CTR di Napoli, e sarebbe stato pertanto onere della ricorrente, in un giudizio di natura impugnatoria, quale è per eccellenza quello di cassazione, indicare specificamente la questione della illegittima acquisizione della fattura da parte dell’Amministrazione finanziaria in quali atti processuali fosse stata proposta e come fosse stata diligentemente coltivata, indicando pure le formule utilizzate e dove si rinvengano nel fascicolo dibattimentale le relative prove documentali, al fine di consentire a questa Corte il controllo che le compete circa la tempestività e congruità delle censure proposte, prima ancora di provvedere a stimare la decisività degli argomenti addotti.
Il motivo d’impugnazione è, pertanto, inammissibile.
2.2. – Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente contesta la decisione adottata dalla CTR di Napoli per aver ritenuto che il raddoppio dei termini di accertamento, in conseguenza della riscoperta di condotte che importano l’obbligo di redazione della informativa di reato, potesse operare anche nell’ipotesi che il termine ordinario di accertamento fosse già scaduto all’epoca in cui le condotte in questione sono risultate acclarate. Anche in questo caso, la questione non risulta affrontata nella impugnata decisione adottata dalla CTR di Napoli, e sarebbe stato pertanto onere della ricorrente proporre la propria contestazione, come innanzi indicato, esaminando congiuntamente i motivi primo e terzo.
Il motivo di ricorso risulta comunque infondato, e deve pure ricordarsi che, nel corpo dell’esposizione dello stesso, la società ripropone le proprie censure in materia di ricorrenza delle condizioni per il raddoppio dei termini di accertamento, in presenza della emersione dell’obbligo di denunciare un verosimile reato, rivolgendo in realtà la propria critica, a quanto è dato comprendere, alle affermazioni proposte dalla stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 247 del 2011. Tentando una trattazione ordinata può quindi osservarsi, innanzitutto, che questa Corte, ha già espresso un orientamento (cfr. Cass. sez. V, 26.4.2017, n. 10345) condivisibile ed al quale si intende pertanto dare continuità ed assicurare specificazione, chiarendo che il c.d. raddoppio dei termini di accertamento ai fini Irpef, come disposto dall’art. 43 del Dpr. n. 600 del 1973, ed ai fini Iva dall’art. 57 del Dpr. n. 633 del 1972, non integra un caso di proroga degli ordinari termini di verifica, bensì un’ipotesi in cui i termini di accertamento sono raddoppiati per volontà di legge, rimanendo pertanto ininfluente che, alla data di riscoperta dell’evento che origina l’obbligo di redazione dell’informativa di reato da parte dei verificatori, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., risultino scaduti gli ordinari termini di accertamento, perché gli stessi, nel caso concreto, non operano affatto.
In relazione all’ulteriore profilo segnalato deve poi ricordarsi come questa Corte, assicurando seguito alle valutazioni espresse dalla stessa Corte costituzionale, abbia recentemente confermato, proponendo anche in questo caso un orientamento condivisibile e perciò meritevole di continuità, che “in tema di accertamento tributario, ai fini del raddoppio dei termini previsti dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poiché ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato”, Cass. sez. V, 11.4.2017, n. 9322.
Il motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve essere respinto.
2.4. – Mediante il quarto motivo di impugnazione la società ricorrente torna a contestare l’illegittimità del raddoppio dei termini di accertamento, questa volta lamentando il difetto del presupposto perché, non avendo l’Amministrazione finanziaria prodotto la denunzia presentata all’Autorità giudiziaria, non sarebbe stato possibile al giudice tributario esprimere alcun giudizio sulla fondatezza dei rilievi operati.
Occorre allora ancora ribadire, in proposito, che ai fini del raddoppio dei termini di accertamento, ciò che rileva è la verifica, da parte degli operatori, della ricorrenza di fatti che comportino l’insorgenza dell’obbligo di redigere l’informativa di reato di cui all’art. 331 cod. proc. civ., in presenza di condotte che possano integrare i reati di cui alla legge n. 74 del 2000. E’ in ordine alla ricorrenza di tale presupposto, cui rimane del tutto estraneo il contenuto della informativa di reato redatta dagli operatori, che il giudice tributario deve delibare i fatti di causa, al sol fine di verificare che l’obbligo di denuncia effettivamente risultasse integrato.
La CTR ha accuratamente esaminato la questione relativa alla sussistenza dei presupposti per la presentazione della denuncia penale da parte degli operatori, in relazione all’emissione da parte della società Z. della fattura n. 305 del 19.12.2004, che gli operatori hanno ritenuto essere stata formata in relazione ad un’operazione inesistente. Ha infatti rilevato la CTR che sia la fattura n. 305 del 19.12.2003, sia la fattura n. 305 del 19.12.2004 sono state ricondotte dalla società ad un acquisto immobiliare per atto del notaio Salsi di Parma, rep. n. 28.132, racc. n. 5.989. Il costo dell’acquisto risultante dall’atto, € 573.000,00, però, corrispondeva in realtà all’importo di tre fatture emesse dalla società, la n. 305 del 19.12.2003 (€ 165.000,00), la n. 11 del 23.1.2004 (€ 312.500,00), e la n. 86 del 16.4.2004 (€ 95.000,00). La fattura n. 305 del 19.12.2004, emessa per l’importo di Euro 300,000,00, pertanto, non poteva ricondursi a questa operazione commerciale, e non trovando una diversa e dimostrata causa, la fattura doveva ritenersi emessa in relazione ad un’operazione oggettivamente inesistente. Ricorrevano pertanto gli estremi per provvedere alla redazione dell’informativa di reato.
La ricorrente, del resto, non propone argomenti specifici per affermare la riconducibilità della fattura contestata ad un’operazione effettivamente esistente, ed in tal modo opporre che i presupposti per l’inoltro dell’informativa di reato non risultassero integrati nel caso di specie, pur essendo questo l’unico oggetto di verifica da parte del giudice tributario, ma afferma che alla denuncia non potesse attribuirsi alcun valore perché presentata tardivamente, ed in tal modo domanda al giudice tributario di esprimere una valutazione che non gli compete, essendo riservata al giudice penale. Questa Corte ha del resto già chiarito che “in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’IVA consegue, nell’assetto anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 128 del 2015, alla ricorrenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo”, Cass. sez. V, 13.9.2018, n. 22337. L’allegazione della denuncia penale sporta dall’Amministrazione finanziaria, pertanto, non è un presupposto necessario ai fini del raddoppio dei termini di accertamento.
Occorre però ancora rilevare che il nucleo fondante della contestazione operata dalla ricorrente consiste nella negazione del presupposto perché potesse operare il raddoppio dei termini dell’accertamento tributario svolto nei suoi confronti. Tutto quanto osservato, allora, deve sottolinearsi che trova applicazione in ordine al tributo dell’Irpef mentre, come ripetutamente chiarito da questa Corte mentre, non essendo l’Irap un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, in relazione alla stessa “non può operare la disciplina del c.d. ‘raddoppio dei termini di accertamento … (cfr. Cass. n. 29435 del 2017, n. 4775/2016, n. 26311 del 2017, n. 23629 del 2017)”, Cass. sez. VI-V, 3.5.2018, n. 10483″.
Ne consegue che il quarto motivo di ricorso deve essere parzialmente accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, letto l’art. 384, comma II, cod. proc. civ., può procedersi a decidere il giudizio nel merito, e, in relazione alla sola imposta dell’Irap, l’avviso di accertamento impugnato deve essere annullato.
Tenuto conto della limitata vittoria riportata dalla impugnante all’esito del giudizio, le spese di lite possono essere dichiarate compensate tra le parti nella misura di un terzo, mentre nella parte residua, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della ricorrente in ragione della sua prevalente soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie parzialmente il ricorso proposto dalla Z.C. Srl, e decidendo nel merito dispone l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, limitatamente all’imposta Irap.
Dichiara compensate tra le parti le spese di lite del presente giudizio di legittimità nella misura di un terzo, e condanna la ricorrente al pagamento del residuo, che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito, in favore dell’Agenzia delle Entrate.
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