CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 agosto 2021, n. 22119
Tributi – Contenzioso tributario – Ricorso in Cassazione – Richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie – Inammissibilità
Rilevato che
– la società E.C. Srl, con socio unico in liquidazione, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale in epigrafe indicata che, in riforma della sentenza della CTP di Pavia, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate e confermato l’avviso di accertamento per Ires e Irap relativo all’anno di imposta 2007, con cui erano stati ripresi a tassazione i costi relativi ad acquisti di rottami ferrosi da soggetti privati, in particolare extracomunitari;
– la CTR ha ritenuto legittimo il disconoscimento dei costi perché “gli ingenti pagamenti effettuati dalla società contribuente non erano supportati da alcun documento contabile/fiscale e soprattutto erano stati eseguiti in contanti, senza alcuna giustificazione/giustificativo”) si chiedeva, inoltre, come fosse possibile che la società, con un reddito di euro 48.411 potesse movimentare 15,5 milioni di euro; concludeva che, in assenza dei requisiti della certezza e della determinabilità, i detti costi non potevano essere detratti, e censurava che la società non avesse regolarizzato gli acquisti mediante il meccanismo dell’inversione contabile;
– il ricorso è affidato a tre motivi; l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso; la Procura Generale della Corte ha depositato osservazioni scritte.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso, la società contribuente eccepisce la “Errata motivazione della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 109 Tuir in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.”, per aver la CTR, ai fini della affermata legittimità dell’accertamento, valorizzato i criteri della certezza e della determinabilità, anziché quello normativo della mancanza di inerenza dei costi, come sostenuto dall’agenzia nell’avviso impugnato; sotto questo aspetto, si rileva che nel verbale la Guardia di Finanza aveva riconosciuto che i costi erano stati sostenuti per acquistare beni effettivamente destinati alla produzione dei ricavi; si afferma che i detti costi erano stati iscritti nella contabilità;
– con il secondo motivo, si eccepisce la “Errata motivazione della sentenza impugnata per omesso esame su un elemento di fatto decisivo ai fini della decisione della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5) c.p.c.”, per non aver la CTR considerato che i costi erano presenti nelle scritture contabili tenute dalla società, come accertato nel verbale della Guardia di Finanza che aveva quantificato con precisione i detti costi e riscontrato la corrispondenza con le quantità vendute;
– le censure che, investendo gli stessi elementi di fatto possono essere esaminate congiuntamente, sono inammissibili;
– si osserva in primo luogo che il vizio di violazione di legge, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., può concernere esclusivamente l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacché – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata. La doglianza, come espressa, è palesemente inammissibile, essendo rapportata a una questione giuridica soggetta al principio iura novit curia, diretta espressione del canone costituzionale di soggezione del giudice alla legge. Sulla quale questione giuridica l’eventualità di una errata motivazione (o di una motivazione carente) dell’impugnata sentenza non rileva;
– quanto all’aspetto motivazionale, la sentenza impugnata, comunque, diversamente da quanto si opina in ricorso, esprimendo dubbi sulla esistenza delle operazioni, in linea con quanto riportato nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza (come si legge nelle controdeduzioni dell’agenzia alle pagine 5-6), ha esaminato i fatti e ha ritenuto decisiva la mancanza di certezza e di determinabilità dei costi, in assenza di una documentazione che fornisse prova. In tal senso, la CTR, escludendo in sostanza l’inerenza dei costi, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui “In tema di imposte sui redditi e con riguardo al reddito di impresa, la semplice produzione di documenti di spesa (nella specie, “note spese” liquidate da una società ai propri dipendenti) non prova, di per sé, la sussistenza del requisito della inerenza all’attività di impresa. A tal riguardo, infatti, perché un costo possa essere incluso tra le componenti negative del reddito, non solo è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa. Per provare tale ultimo requisito, non è sufficiente, poi, che la spesa sia stata dall’imprenditore riconosciuta e contabilizzata, atteso che una spesa può essere correttamente inserita nella contabilità aziendale solo se esiste una documentazione di supporto, dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione della stessa“. (Sez. 6-5, Ordinanza n. 11241 del 09/05/2017, Rv. 644257 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 6650 del 24/03/2006, Rv. 588419 – 01);
– la tesi della ricorrente, come esattamente osserva la Procura generale, si risolve in definitiva nella richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in sede di legittimità;
– con il terzo motivo, si eccepisce la “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 42 D.P.R. 600/73 in materia di imposte dirette e art. 12 legge 202/2000 Statuto dei diritti del Contribuente, in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3) c.p.c.”, per aver l’agenzia integrato nel corso del giudizio la motivazione dell’avviso di accertamento, nel quale i costi erano stati disconosciuti “perché non inerenti (in quanto non documentati) e non perché privi del requisito della effettività della competenza come, invece, ha poi indicato a pagina 2 dell’atto di appello”; illegittimamente la CTR aveva modificato la motivazione degli avvisi di accertamento adducendo argomentazioni mai sviluppate dall’agenzia delle entrate; si contestano infine la fondatezza dei presupposti di fatto sviluppati in sentenza;
– la censura è inammissibile: invero, la ricorrente, nel dolersi della integrazione della motivazione dell’avviso di accertamento da parte dell’agenzia e dell’analogo illegittimo “comportamento del Giudice Tributario”, avrebbe dovuto, per il rispetto della autosufficienza dei motivo, riportare il contenuto dell’avviso di accertamento. Infatti, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione in relazione alla motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., 28 giugno 2017, n. 16147);
– in relazione poi alla valutazione dei presupposti di fatto da parte della CTR, la ricorrente trascura che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla “lettura” della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348);
– conclusivamente, il ricorso va respinto;
– le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 15.000, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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