CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 10226 depositata il 18 aprile 2023
Lavoro – Licenziamento – Indennità supplementare – Trattamento minimo complessivo di garanzia – Indennità di trasferta – Indennità una tantum – TFR – Differenze retributive – Ristrutturazione – Riorganizzazione – Riconversione – Crisi aziendale – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con un primo ricorso depositato il 6.3.2013, D.L.C. conveniva innanzi al Tribunale di Roma la D.M.H. s.p.a., chiedendo di: 1) in via principale, accertare e dichiarare la mancanza e/o genericità della motivazione del licenziamento intimatogli il 17-18.4.2012 ovvero l’illegittimità dello stesso per mancanza di giustificazione; 2) per l’effetto, condannare la convenuta a corrispondergli l’indennità supplementare prevista dagli artt. 19 e 22 CCNL di settore nella misura massima (di .20 mensilità), aumentata in ragione dell’età del ricorrente (di ulteriori 3 mensilità) per un totale di € 151.014,17, o nella diversa minor misura ritenuta di giustizia, tenendo sempre conto dell’incremento automatico dovuto in considerazione della sua età, oltre accessori; 3) in via subordinata, accertare e dichiarare il suo diritto alla percezione: dell’indennità supplementare ex Accordo del 27.4.1995 sottoscritto tra Confindustria, Associazione Sindacale Intersind e Federazione Nazionale Dirigenti Aziende Industriali pari al corrispettivo del preavviso maturato (12 mensilità), aumentato di 4 mensilità in ragione dell’età, per un totale di 16 mensilità; – per l’effetto condannare la convenuta a corrispondergli detta indennità supplementare pari ad € 105,053,33, o nella diversa minore o maggior somma ritenuta di giustizia, oltre accessori; il tutto con vittoria di spese.
2. Con un ulteriore ricorso depositato l’1.8.2013, il D.L. conveniva la medesima società sempre dinanzi al Tribunale di Roma, chiedendone la condanna all’erogazione di competenze retributive, non interamente corrispostegli alla cessazione del rapporto di lavoro.
3. Costituitasi la resistente contestando tali domande in entrambi due procedimenti, e riuniti questi ultimi, il Tribunale adito, con sentenza del 2.12.2015, condannava la resistente a corrispondere al ricorrente la complessiva somma di € 28.788,41, di cui € 631,91 per trattamento minimo complessivo di garanzia; € 8.320,00 per trattamento di trasferta ed € 19.836,50 per indennità una tantum; e rigettava ogni altra domanda, compensando integralmente tra le parti le spese del grado.
4. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma rigettava sia l’appello principale del D.L. che quello incidentale della D.M.H. s.p.a.; di nuovo compensando interamente le spese di secondo grado, e dando atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dell’appellante principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione totalmente respinta.
5. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, oltre a ribadire la giustificatezza del licenziamento intimato al D.L. quale dirigente, respingeva l’impugnazione di quest’ultimo anche per la parte in cui insisteva nell’accoglimento della sua domanda subordinata circa l’indennità prevista dal citato Accordo interconfederale del 27.4.1995, sul rilievo che il suo licenziamento non era stato motivato – come richiesto dal testo di detto accordo – sulla base delle specifiche fattispecie di ristrutturazione, riconversione ovvero di crisi aziendale di cui alla L. 223/91.
6. Avverso tale decisione D.L.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
7. Ha resistito l’intimata società con controricorso.
8. Solo il ricorrente ha prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c. la violazione dell’Accordo del 27.4.1995 tra Confindustria, Associazione Sindacale Intersind e Federazione Nazionale Dirigenti Aziende Industriali per aver la Corte d’appello di Roma fatto riferimento al solo contenuto della lettera di licenziamento inoltrata al ricorrente e non all’esistenza oggettiva delle situazioni di riorganizzazione e crisi aziendale ex L. 223/1991 della società convenuta, oggettivamente e documentalmente provate.
2. Con il secondo motivo, denuncia omesso esame ed omessa pronuncia sulle differenze retributive reclamate a titolo di differenza sull’indennità di mancato preavviso e di t.f.r.
3. Ritiene il Collegio che tali motivi siano meritevoli di accoglimento.
4. Circa il primo mezzo, occorre ricordare che, secondo un ormai consolidato indirizzo di questa Corte l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti di azienda dall’Accordo interconfederale del 27 aprile 1995 deve essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, al di là della motivazione formalmente adottata dal datore di lavoro. Ciò che rileva, sul piano del diritto, è l’effettiva ragione del recesso e il nesso di derivazione causale dello stesso rispetto alle fattispecie giuridiche, di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, individuate dall’Accordo interconfederale (in tal senso Cass., sez. lav., 31.7.2020, n. 16563; e in termini esatti o analoghi id., sez. lav., 30.9.2019, n. 24355; id., sez. lav., 18.9.2019, n. 23287; id., sez. lav., n. 142/2019; id., sez. lav., 4.1.2019, n. 86).
4.1. Orbene, la Corte di merito a riguardo s’è limitata a considerare “che il licenziamento dell’appellante principale non è stato motivato – come richiesto dal vigente testo del predetto Accordo – sulla base delle specifiche fattispecie di ristrutturazione: riconversione ovvero di crisi aziendale di cui alla L. 223/91”; il che appare all’evidenza difforme rispetto al principio di diritto sancito nelle plurime decisioni di legittimità testé richiamate.
4.2. Non ha pregio a riguardo l’obiezione della controricorrente, secondo la quale in sintesi, stante il difetto d’impugnazione del ricorrente circa il capo di sentenza con il quale era stato respinto il motivo d’appello del D.L. relativo al suo licenziamento, si sarebbe formato il giudicato (interno) sul punto che <la motivazione del recesso non fosse imputabile ad una generale situazione di “crisi, ristrutturazione o riconversione aziendale asseverata con d.m.”, bensì ad un scelta organizzativa direttamente tarata sulla disfunzionalità ed antieconomicità del Centro Studi cui era adibito il sig. D.L.”.
4.3. E tanto per molteplici ragioni. In primo luogo, infatti, l’impugnata sentenza – che, peraltro, esibisce vistosi difetti motivazionali – non considera che la previsione collettiva in questione, che il ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ha richiamato integralmente nel corpo dell’atto (depositandone il testo sub doc. 4) della sua produzione in questa sede), e che peraltro è stata più volte direttamente considerata da questa Corte nelle decisioni su richiamate (e in altre), fa riferimento, non solo alle ipotesi citate dai giudici d’appello, ma anche a quella della “riorganizzazione”. Ebbene, nella sua decisione, in cui non si dà conto in dettaglio del completo motivo posto a base del licenziamento intimato al dirigente la stessa Corte territoriale comunque parla in narrativa di un licenziamento senza preavviso per “riorganizzazione della società”; vale a dire, di una causale del recesso che potrebbe risultare prima facie corrispondente per l’appunto a quella pure indicata nella fonte collettiva, ed invece trascurata dalla stessa Corte.
4.4. Inoltre, quello che sempre la Corte distrettuale ha pur sinteticamente accertato in fatto per ritenere giustificato il licenziamento (cfr. in extenso pag. 6 della sua sentenza) potrebbe corrispondere alla fattispecie della “riorganizzazione”, come già evidenziato, pure prevista dall’Accordo interconfederale del 27 aprile 1995, non senza rilevare che nella stessa parte di motivazione sono pure considerati taluni profili che potrebbero essere espressivi di un situazione di “crisi aziendale”, parimenti contemplata dallo stesso Accordo.
4.5. Certamente, dunque, e a maggior ragione alla luce dei precedenti rilievi, la Corte di merito non poteva sottrarsi al compito di accertare l’effettiva ragione del recesso datoriale al di là della sua motivazione formale per, quindi, controllare la sua derivazione causale rispetto a tutte le fattispecie individuate dall’Accordo interconfederale. A riguardo, peraltro, il ricorrente assume di aver introdotto sin dal primo grado significativi elementi di prova documentale, che dimostrerebbero in particolare lo stato di crisi aziendale in cui versava all’epoca la società datrice di lavoro (cfr. pagg. 15-16 del ricorso). Competerà, però, al giudice del rinvio appurare questi aspetti di fatto.
5. Parimenti fondato è il secondo motivo di ricorso.
5.1. A riguardo giova ricordare che anche di recente è stato riaffermato da questa Corte che l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con mod., dalla L. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile (così Cass. civ., sez. II, 24.5.2021, n. 14140), avendo la Corte più volte sancito che l’omessa pronuncia su un motivo di appello può costituire motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma primo, n. 4) c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr., ad es., Cass. civ., sez. I, 9.12.2019, n. 32023).
5.2. Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente correttamente ha inquadrato la propria seconda censura in chiave (anche) di omessa pronuncia, agevolmente riconducibile alla violazione dell’art. 112 c.p.c. e deducibile in questa sede ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.
5.3. A riguardo, del resto, la controricorrente, con apprezzabili correttezza processuale ed onestà intellettuale, ha dichiarato di non avere “nessuna difficoltà ad evidenziare come il Giudice di appello abbia effettivamente omesso ogni pronuncia sulla domanda di differenze retributive così come ricostruita alle pagg. n. 18-22 del ricorso” (così a pag. 10 del controricorso).
5.4. Nondimeno, questa Corte osserva brevemente che anche il motivo in esame risponde ai requisiti di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto l’impugnante ha riportato integralmente (alle pagg. 18-21 del ricorso) il contenuto dell’apposito motivo d’appello a mezzo del quale aveva insistito per l’accoglimento delle sue pretese circa ulteriori differenze retributive, così devolvendo alla Corte d’appello la relativa cognizione. D’altronde, la stessa Corte territoriale, nella parte narrativa della sua decisione (cfr. pag. 3 della stessa), aveva dato conto, da una parte, del fatto che l’appellante principale all’epoca chiedeva la riforma della decisione di primo grado “mediante l’integrale accoglimento di tutte le proprie originarie domande” e, dall’altra, che lo stesso aveva censurato la stessa decisione anche in relazione “alle ulteriori differenze retributive non riconosciute dal Tribunale fatta eccezione per il rigetto della domanda relativa al rimborso delle schede carburante in relazione alla quale l’appellante prestava acquiescenza”.
5.5. Tuttavia, la Corte di merito non si è, poi, in alcun modo espressa su questa parte dell’appellatum, incorrendo nel vizio di omessa pronuncia, fatto valere dal ricorrente.
6. Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla Corte territoriale, la quale, in diversa composizione, provvederà anche a regolare le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.