CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2021, n. 38294
Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Inefficacia del licenziamento orale – Risarcimento del danno – Indennità reintegratoria
Svolgimento del processo
A.P., con ricorso depositato il 3.9.15 presso il Tribunale di Pescara ex art. 1, c.47 e ss., legge n.92/12, conveniva in giudizio D.B.A. chiedendo: l’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro svoltosi inter partes dal 28.02.13 al 30.03.13; l’inefficacia del licenziamento orale intimatogli dal D.B. nell’aprile 2013; la condanna di quest’ultimo a pagargli l’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità dall’ultima retribuzione ed il risarcimento del danno parametrato alla mensilità di retribuzione globale di fatto dalla costituzione in mora (18 dicembre 2013) fino all’introduzione del giudizio.
Si costituiva D.B. chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Tribunale di Pescara, con ordinanza del 17 luglio 2017, accoglieva parzialmente il ricorso, accertando che il rapporto era a tempo indeterminato; l’inefficacia del licenziamento orale; condannando il D.B. a pagare al P. l’indennità sostitutiva di reintegra pari a 15 mensilità di retribuzione (mensilità quantificata in Euro 2,694,33), oltre al risarcimento del danno quantificato in sei mensilità della retribuzione globale di fatto.
Avverso questa ordinanza proponevano opposizione entrambe le parti; i procedimenti venivano riuniti, e il Tribunale di Pescara, con sentenza del 1°marzo 2018, respingeva entrambe le opposizioni confermando l’ordinanza opposta.
Avverso questa sentenza proponevano reclamo alla Corte di appello di L’Aquila sia il D.B., sia il P.. I due reclami venivano riuniti.
La Corte territoriale, con sentenza depositata il 14.6.18, accoglieva in parte il reclamo di D.B. e in parziale riforma della sentenza impugnata, previo accertamento della esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine (id est dal 28 febbraio 2013), condannava D. B. alla riammissione in servizio del P. ed al risarcimento del danno nella misura di 2,5 mensilità dall’ultima retribuzione determinata in Euro 1,935,94 mensili (ex art.32, co.5 L n.183/10); dichiarava assorbito il reclamo di P., compensando integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P., affidato a quattro motivi; resiste il D.B. con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato ad unico motivo, cui resiste il P. con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
La Procura Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte, con cui chiede l’accoglimento del ricorso incidentale con assorbimento del ricorso principale, conclusioni poi ribadite alla presente udienza pubblica.
Motivi della decisione
1.-Con il primo motivo il P. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, co.2, del d.lgs n.368/01 e dell’art. 32, co.5, della L. n. 183/10 per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il contratto a termine privo di forma scritta sia sanzionato (semplicemente) dall’indennità di cui al detto art. 32 co.5, ed aver comunque affermato che il credito retributivo decorreva dalla data della sentenza.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Ed invero non può ritenersi esistente (prima ancora che valido) un contratto a termine stipulato non in forma scritta, ex art. 1,co.2, d.lgs n. 368/01 (nella specie il dedotto contratto di assunzione non venne sottoscritto da alcuna delle parti).
Di ciò si avvede anche la sentenza impugnata che in effetti accerta che nella specie sussisteva ab origine un contratto di lavoro a tempo indeterminato (pag.8 sentenza), la cui cessazione non è sanzionata semplicemente ed affatto dall’art. 32, co.5 L.n.183/10 (che presuppone la conversione di un rapporto di lavoro a temine, pur illegittimo).
Peraltro la relativa indennità, da annoverarsi tra i “crediti di lavoro” ex art. 429, comma 3, c.p.c. (Cass. ord. n. 27279/14, Cass. n. 7458/14), è soggetta ad interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza di conversione del rapporto (cfr., ex multis, Cass. ord. n. 27279/14).
2.- Con il secondo motivo il P. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essere stata mai richiesta da alcuno l’applicazione dell’art. 32 L. n. 183/10.
Il motivo è fondato posto che, sebbene la sanzione economica di cui all’art. 32, co.5, possa applicarsi anche d’ufficio ai contratti a termine invalidi, nella specie, come detto, non si è in presenza di alcun contratto a termine.
3.- Con terzo motivo il P. denuncia l’insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata per avere per un verso ritenuto l’assenza di forma scritta per la clausola introduttiva del termine, d’altro canto per aver deciso nel senso sopra esposto.
Il motivo è fondato.
Ed invero la sentenza impugnata è affetta da un insanabile vizio di motivazione (per assoluta contraddittorietà) laddove afferma per un verso che il rapporto di lavoro inter partes doveva considerarsi ab origine (dal 28.2.13) come contratto di lavoro a tempo indeterminato (pagg. 5,8 e 9 sentenza), mentre per altro verso sanziona il recesso del datore di lavoro col regime indennitario di cui all’art.32, co.5 L. n. 183/10, previsto per il caso di conversione (a tempo indeterminato) di un contratto di lavoro geneticamente a termine ed illegittimo.
Tale dispositivo risulta anche in contrasto con la motivazione della sentenza impugnata laddove afferma (pag. 9) che il D.B. era tenuto a corrispondere al dipendente P. tutte la retribuzioni dalla sentenza in esame sino all’effettivo ripristino del rapporto.
4.- Col ricorso incidentale il D.B. denuncia la violazione dell’art. 32, commi 3 e 4, della L. n. 183/10, laddove la sentenza impugnata, (che pure aveva qualificato il contratto di lavoro tra le parti a tempo indeterminato ab origine) aveva omesso di applicare all’impugnazione del “contratto a termine” (pag.24 controricorso) il regime decadenziale previsto dall’art. 6 L.n.604/66 pur novellato dal medesimo art. 32 citato.
Il motivo presenta profili di inammissibilità non risultando dalla sentenza impugnata che l’eccezione sia stata ritualmente sollevata in sede di merito, né il D.B. precisa quando ed in quali termini la questione sarebbe stata sollecitata alla Corte territoriale (cfr., ex aliis, Cass.n. 8206/16, Cass. n.4672/19). In ogni caso è all’evidenza infondato: la Corte di merito, come rammenta lo stesso D.B., ha ritenuto il contratto a tempo indeterminato ab origine; la risoluzione del rapporto non può dunque inquadrarsi, come sembrerebbe ritenere la sentenza impugnata, come semplice comunicazione del datore di lavoro di non voler prorogare un (inesistente) contratto a termine (pag. 7 sentenza) bensì un licenziamento orale per cui non vi sono termini di decadenza (ex aliis: Cass. n.25561/18).
5.- La sentenza impugnata va dunque cassata, sussistendo ab origine un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per valutare le conseguenze economiche della cessazione del rapporto lavorativo in esame.
P.Q.M.
rigetta il ricorso incidentale ed accoglie quello principale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, ove dovuto.
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