CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2022, n. 13930
Contratto di agenzia – Inadempimento della preponente – Violazione obbligo di correttezza e buona fede ex art. 1749 c.c. – Esclusione
Rilevato che
1. con sentenza n. 93 /2018 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda con la quale l’agente A.T. aveva chiesto la condanna della preponente H.I. s.r.l. al risarcimento del danno per inadempimento degli obblighi assunti con il contratto di agenzia e per violazione del più generale obbligo di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 1749 cod. civ.;
2. La Corte di appello, esclusa la omessa pronunzia da parte del giudice di primo grado in relazione alle singole domande articolate, ha ritenuto che: a) la adozione da parte di H.I. s.r.l., subentrata ad altra preponente, di una politica più restrittiva nel sistema di pagamento e di concessione delle relative dilazioni costituiva scelta imprenditoriale giustificata dalla criticità della situazione ereditata dalla precedente società; tale politica non aveva determinato in relazione ai connessi adempimenti richiesti all’agente ad alcun ” eccesso di direttiva” o snaturamento del contratti di agenzia, come denunziato dall’agente, avuto altresì riguardo alla intrinseca connessione nell’attività dell’agente fra il fatturato formale costituito dagli ordini ricevuti dai clienti e la solvibilità degli stessi in relazione al medesimo fatturato; b) era rimasta senza riscontro probatorio l’accusa rivolta alla preponente di non avere fornito adeguati supporti alla vendita; c) parimenti priva di riscontro era l’accusa che imputava a H.I. s.r.l., la creazione di una situazione tale per cui era lo stesso agente T. a essere indotto a pagare in proprio i debiti insoluti de clienti; la condotta dell’agente era stata infatti sporadica e comunque riconducibile alla iniziativa dell’agente; d) l’attività di riscossione dei crediti era già remunerata in contratto con la previsione di specifica maggiorazione percentuale sulle provvigioni e rientrava comunque nei compiti dell’agente per cui nulla era dovuto a tale titolo; e) infondata, alla luce della espletata prova orale, era inoltre la domanda, collegata alla violazione dell’obbligo convenzionale di predeterminazione del target ( obiettivo di vendita) in relazione alla quale l’appellante non aveva specificamente contrastato l’affermazione di prime cure di genericità di allegazioni; f) infine, non era ravvisabile violazione del diritto di esclusiva in quanto le pattuizioni contrattuali consentivano a H. di vendere nella stessa zona prodotti concorrenti rivolgendosi ad una tipologia di clientela diversa da quella assegnata al T.; dalla prova orale era emerso che solo in un’occasione si era verificata violazione di tale previsione, per cui era da escludere in relazione alla stessa la lesione lamentata dall’agente; g) infine, non aveva trovato riscontro probatorio la lesione all’immagine professionale denunziata dall’agente con riferimento alle informazioni richieste ai clienti insolventi;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.T. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
4. entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis -.1. cod. proc. civ.;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1749, 1375, 1175 cod. civ. in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ., censurando, in sintesi, la valutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte di appello e sostenendo di avere offerto adeguata prova in ordine al fatto che la “gestione organizzativa” adottata dalla H. aveva determinato una forte riduzione del fatturato degli agenti e che le condotte della preponente erano atte a disincentivare la clientela dall’acquisto dei prodotti I. commercializzati dagli agenti. Deduce che la mancanza di buona fede era evincibile dal fatto che le politiche adottate tradivano l’intento di voler sostituire i prodotti commercializzati dagli agenti con quelli di un marchio concorrente:
2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1749 cod. civ. in combinato disposto dell’art. 41 Cost.; censura in sintesi la decisione per avere ritenuto espressione del legittimo esercizio della iniziativa economica ai sensi dell’art. 41 Cost. le scelte di politica aziendale adottate dalla società preponente e per avere ritenuto che il fatto che tali scelte non avessero ottenuto i risultati prefigurati in quanto la rete di venditori dei prodotti originariamente commercializzati era stata soppressa non rivelasse la violazione del criterio di correttezza e buona fede;
3. i motivi sono entrambi inammissibili; la denunzia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è infatti conforme all’insegnamento di questa Corte che impone, a pena di inammissibilità, al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. Un. n. 23745 del 2020, Cass. n. 17570 del 2020, Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006) ;
3.1. in particolare, risulta inappropriato il richiamo alla violazione dell’art. 2697 cod. civ. che è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/ 2013, Cass. n. 13395/ 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sull’agente T.;
3.2. neppure è dato individuare dalle doglianze svolte, per come concretamente articolate, il vizio di sussunzione in tesi ascritto alla Corte di merito nel ricondurre l’accertamento di fatto operato all’ambito regolato da una determinata norma in quanto parte ricorrente invoca piuttosto una diversa ricostruzione fattuale e valutativa del materiale probatorio e rispetto ad essa ne afferma la riconducibilità alle norme asseritamente violate;
3.3. in definitiva parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, mostra in concreto di investire con le proprie doglianze direttamente l’accertamento di fatto e le relative connotazioni valutative, che attengono al giudizio riservato al giudice di merito (Cass. n. 24679/2013, Cass. n. 2197/2011, Cass. n. 20455/2006, Cass. n. 7846/2006, Cass. n. 2357/2004), astrattamente incrinabile solo dalla deduzione di vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. , neppure formalmente prospettato e comunque in concreto precluso ai sensi dell’art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., dall’esistenza di <<doppia conforme>>;
4. alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite;
5. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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