CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 giugno 2021, n. 16777
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Sentenza dichiarativa di fallimento – Società con soci illimitatamente responsabili – Notifica – Alla società e ai soli soci dichiarati falliti – Esclusione degli altri soci illimitatamente responsabili che non siano stati dichiarati falliti – Impugnazione della sentenza – Decorrenza del termine
Fatti di causa
1. V.L. impugna la sentenza App. Firenze 16.2.2018, n. 393/2018, in R.G. 1580/2017 che ha rigettato il suo reclamo interposto, quale socio illimitatamente responsabile, avverso la sentenza dichiarativa di fallimento di R.V.S. S.A.S. di V.L. E S.A., emessa da Trib. Pisa 22.2.2017;
2. la Corte ha premesso che: a) I.B. aveva proposto domanda di fallimento di R.V.S. S.A.S. di V.L. E S.A., prospettando un credito di lavoro di circa 31 mila euro, conseguendone la notifica del ricorso anche alla socia illimitatamente responsabile V. in data 31.1.2017 per il tramite del Consolato italiano a Mauritius, successivamente alla data fissata al 25.1.2017 per l’audizione; b) il tribunale, così, dichiarava il fallimento della s.a.s. e dell’altro socio illimitatamente responsabile, fissando altra udienza successiva (cioè per il 14.6.2017) per la riconvocazione della V., cui veniva notificata l’istanza, ancora alle Mauritius e a cura dell’istante, il 12.5.2017; c) V., sul presupposto di non avere prima di detta data ricevuto copia integrale della sentenza di fallimento della società, proponeva reclamo ex art. 18 l.f. avverso il fallimento della s.a.s., contestandone i presupposti soggettivi, il decorso dell’anno ex art. 10 l.f., l’insolvenza, il rispetto del contraddittorio;
3. la sentenza ha così ritenuto che: a) non era fondato il motivo di reclamo vertente, pregiudizialmente, sulla carenza di contraddittorio, poiché il primo giudice, preso atto che V. non era stata messa in condizione di partecipare all’udienza prefallimentare convocata per il fallimento della società e dei soci, si era limitato a dichiarare il fallimento della società ma non quello della socia illimitatamente responsabile V.; b) non era di ostacolo allo “stralcio” della posizione individuale rispetto a quello della società la norma dell’art.147 l.f., la cui interpretazione corrente esclude il litisconsorzio in senso stretto fra società e socio, ben potendo il secondo avversare, quale interessato, il fallimento della prima e poi difendersi nell’autonomo procedimento per il fallimento a suo carico, anche svolgendo difese di merito sui presupposti del fallimento sociale; c) il reclamo era comunque inammissibile, per tardività, essendo stato proposto dal socio in proprio e non quale legale rappresentante della società, dunque da V. non ancora fallita, dovendo il relativo termine decorrere dal l’iscrizione nel registro delle imprese del fallimento della s.a.s., reso con sentenza che non le doveva essere notificata ai sensi dell’art.17 l.f. (come invece avvenuto per s.a.s. e altro socio, che non l’avevano impugnata) ed essendo comunque non computabili i 30 giorni dalla notifica dell’estratto, bensì dal citato anteriore adempimento pubblicitario (del 23.2.2017); d) V., come socio accomandatario e legale rappresentante, ben avrebbe potuto impugnare prima la sentenza di fallimento anche per conto della società, conoscendo la pendenza del procedimento, essendo pertanto tardiva l’impugnazione, proposta solo come socio, ma il 12.6.2017;
4. il ricorso è su quattro motivi, cui resiste la creditrice già istante per il fallimento con controricorso; la ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo è sollevata la violazione degli art. 147 e 15 l.f., in relazione all’24 Cost., avendo erroneamente la corte trascurato che, nel procedimento per la dichiarazione di fallimento della società con soci illimitatamente responsabili, ciascuno di questi ha diritto di essere convocato, quale litisconsorte necessario, per via delle conseguenze di fallimento in estensione che si determinano, derivandone l’impossibilità di instaurazione di due procedimenti distinti, uno per il fallimento sociale, l’altro per i predetti soci;
2. il secondo motivo invoca la violazione degli artt. 147 l.f., 24 Cost.e 102 c.p.c. dove la sentenza ha affermato la possibile coesistenza di due cause separate, consentendo che il socio illimitatamente responsabile si difenda, anche sui presupposti del fallimento sociale, ma quando questo sia stato nel frattempo pronunciato, tanto più che la ricorrente in fatto non è stata messa in condizione di dimostrare l’assenza dei requisiti di fallibilità, avendo perduto il controllo della contabilità, passata al curatore;
3. il terzo motivo contesta la violazione degli artt. 17-18 l.f., ove la corte ha ritenuto che la socia V. agisse in proprio e non quale rappresentante della s.a.s., così qualificando tardivo il reclamo, mentre essa aveva diritto a ricevere la notifica integrale della sentenza del fallimento sociale quale debitore, benché non ancora fallita all’epoca, visto che le erano stati rifiutati gli atti del procedimento;
4. il quarto motivo avversa la sentenza in punto di condanna alle spese e al contributo unificato, quale conseguenza dell’ammissibilità del reclamo;
5. i primi due motivi, da trattare congiuntamente perché connessi, sono inammissibili, per taluni profili ed infondati, per altri;
osserva in primo luogo il Collegio che le doglianze non inquadrano in modo puntuale la ratio decidendi con cui la corte fiorentina ha con chiarezza, nella sostanza, rigettato il reclamo ricostruendo il procedimento prefallimentare a carico della R.V.S. S.A.S. di V.L. E S.A. quale validamente instaurato sia quanto alla società, sia quanto all’altro socio illimitatamente responsabile, entrambi dichiarati falliti dal tribunale, ed è proprio perché è stato riconosciuto il pieno diritto dell’altro socio, l’attuale ricorrente V., all’audizione giudiziale che il differimento di quest’ultima incombenza è stato ritenuto coerente con il principio del contraddittorio di cui agli artt. 147 e 15 l.f.;
6. la dichiarazione di fallimento nel frattempo emessa, afferendo solo alla società e all’altro socio, non ha conseguentemente avuto conseguenze dirette per il socio V., non potendosi invocare il principio, affermato da Cass. 7181/2013 (e poi ripreso da Cass. 1105/2016 e 25140/2018), per cui l’obbligo di convocazione dei soci illimitatamente responsabili trova giustificazione non in un generico interesse riferito alla dichiarazione di fallimento della società, «ma nel fatto che detta dichiarazione produce anche il loro fallimento»; la circostanza presupposta nelle vicende trattate nei citati precedenti è infatti ben diversa dalla fattispecie di causa, nella quale nessun fallimento del socio, quale conseguenza di quello sociale, è stato dichiarato (non almeno nella sentenza impugnata ed oggetto del presente procedimento); né la norma dettata dalla legge fallimentare per il fallimento in ripercussione obbliga il tribunale ad un unitario procedimento dichiarativo e ciò non solo stante l’espressa ‘risultanza’ successiva cui ha riguardo il comma 4 dell’art. 147 l.f., che opera tanto per i casi di nuovi soci illimitatamente responsabili, quanto per l’accertamento di una società in luogo di un’impresa individuale, ai sensi del comma 5 art. cit.; va infatti considerato che la ratio del fallimento sociale ne impone la più pronta emersione giudiziale, trattandosi della corretta imputazione dell’attività economica al soggetto-imprenditore realmente insolvente, sia esso iscritto al registro delle imprese ovvero esercente di fatto, ma il procedimento dichiarativo non patisce alcun arresto ove non sia possibile immediatamente procedere verso uno o più dei suoi eventuali soci illimitatamente responsabili, purché la ‘società’ sia idoneamente – e cioè legalmente – rappresentata e dunque nel frattempo ben potrà il tribunale emettere la corrispondente dichiarazione di fallimento sociale e dei soci per i quali sia stato rispettato il contraddittorio, è quanto avvenuto in causa, circostanza sulla quale non risultano allegati impedimenti rappresentativi incidenti sul diritto di difesa della società e correlati inscindibilmente alla posizione fatta valere nella presente sede dalla socia V.;
7. osserva il Collegio che a tale soluzione deve pervenirsi anche considerando, quale circostanza pacifica, che la stessa V. aveva ricevuto dal Consolato italiano a Mauritius la notifica dell’atto di convocazione (il 31.1.2017, cioè) in data posteriore a quella (25.1.2017) fissata dal Tribunale di Pisa per l’audizione delle parti, ma ancora nella piena condizione di esprimere una completa difesa avverso la domanda di fallimento, posto che lo stesso primo giudice ebbe ad emettere la sentenza di fallimento pubblicata solo il 22 febbraio successivo, dopo aver deliberato sulla causa assunta in decisione nella camera di consiglio del 15 febbraio 2017; si tratta di un’omessa attività contestativa che rileva come fatto idoneo, dunque, già di per sé a degradare progressivamente l’interesse all’impugnazione avanzata dalla V. la quale, pur potendo partecipare ed almeno al procedimento per la dichiarazione di fallimento della società (ad esempio con memorie scritte), anche per ipotizzarne astratti limiti di tutela dell’interesse societario, ha scelto di non assumervi alcuna posizione processuale; nel frattempo, infatti, la società risultava pienamente rappresentata dall’altro socio accomandatario, cui la convocazione era regolarmente giunta come da decreto del tribunale;
8. d’altronde, già questa Corte ha precisato che «nel procedimento prefallimentare non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci illimitatamente responsabili, non potendo questi ultimi contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente opporsi alla estensione del fallimento nei loro confronti, facendo valere l’eventuale estraneità alla compagine sociale» (Cass. 17765/2016); si tratta di principio che invero, come detto, da un canto non sottrae al socio la legittimazione ad impugnare il fallimento della società in sé inteso, circoscrivendo e qualificando tuttavia il suo interesse, pur legittimante il reclamo ex art. 18 l.f., in modo diverso rispetto quello sotteso alla qualità di fallito in senso stretto, ove la contestazione sia condotta avendo riguardo alla posizione della società e non anche o solo quanto al socio; d’altro canto, lo stesso art. 147 co. 3 l.f. testualmente impone solo che il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, ne disponga la convocazione a norma dell’art. 15 l.f., così fissando l’unica condizione di garanzia processuale per la sentenza che dia attuazione al principio dell’art.147 co. 1 l.f. (Cass. 1105/2016); quest’ultimo, a sua volta, in tanto può dirsi tuttora “automatico”, per consuetudine lessicale, in quanto applicativo di una regola di statuto per le società con soci illimitatamente responsabili, ma con l’avvertenza che la citata ordinaria produzione di effetti è intermediata processualmente dal menzionato contraddittorio e, sul piano sostanziale, dal duplice criterio del non decorso dell’anno (da scioglimento del rapporto sociale o cessazione della responsabilità immediata) e della insolvenza qualificata (per l’esistenza di debiti sociali all’epoca della cessazione predetta); al contempo, la formula organizzativa societaria, per come si estrinseca verso l’esterno con il conferimento della rappresentanza legale, esige che anche la società con soci illimitatamente responsabili, se insolvente e chiamata a difendersi nel procedimento di cui all’art. 147 l.f., possa contrastare l’iniziativa a mezzo di una difesa che proverrà legittimamente – e cioè con imputazione ad essa dei suoi effetti – se svolta da chi la rappresenti; così come, ove volesse accedere ad una procedura concorsuale, quanto al concordato preventivo, per le società di persone soccorre una regola di maggioranza (di capitale) ai sensi dell’art. 152 co.2 lett. a), richiamato dall’art. 161 co.4 l.f. che riguarda la deliberazione, ferma la sottoscrizione della domanda da parte del socio che abbia la rappresentanza sociale; mentre per il fallimento questa Corte ha statuito che il relativo ricorso, nel caso in cui si tratti di una società, deve essere presentato dall’amministratore, dotato del potere di rappresentanza legale, «senza necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci non trattandosi di un atto negoziale ne di un atto di straordinaria amministrazione, ma di una dichiarazione di scienza, peraltro doverosa, in quanto l’omissione risulta penalmente sanzionata» (Cass. 19983/2009) ovvero dal liquidatore (Cass. 10523/2019); che l’organo sociale vi sia tenuto, lo ha confermato altresì Cass. 2957/2017 «al fine di evitare di rispondere dell’eventuale aggravamento del passivo cagionato dal ritardo nella menzionata dichiarazione»;
9. posto che allora la sentenza che ha dichiarato il fallimento della società e dell’altro socio illimitatamente responsabile non si è estesa anche al fallimento di V., i vizi della pronuncia vanno scrutinati in relazione alla posizione soggettiva dalla socia assunta nel presente giudizio, promosso, a contestazione del fallimento sociale, non per reclamare il proprio bensì per impugnare quello della società; osserva peraltro il Collegio che su talune circostanze le censure appaiono difettare di autosufficienza, come per il riferimento ad un dedotto diniego di accesso agli atti o alla contabilità, inammissibilmente circostanziato solo nella memoria ex art. 380 bis. 1. c.p.c., a prescindere dalla sua decisività; invero, come ricordato da Cass. 10126/2021, il numero 6 dell’articolo 366 c.p.c. esige la specifica indicazione nel ricorso degli atti e dei documenti, oltre che dei contratti e accordi collettivi, sui quali l’atto d’impugnazione si fonda, così che la disposizione impone altresì che sia specificato in quale sede processuale tali atti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata al l’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’articolo 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.; si tratta di onere non assolto dal ricorrente nelle condizioni di ammissibilità citate;
10. il terzo motivo è infondato; il regime impugnatorio della sentenza dichiarativa di fallimento, senza equivoci, prescrive l’accelerazione delle sue fasi facendo assumere direttamente all’ufficio, con la iscrizione della sentenza al registro delle imprese (art. 17 commi 3 e 2 l.f.) e la sua notificazione al debitore (art. 17 co. 1 l.f.), l’onere di far iniziare i termini perentori per il possibile reclamo nei 30 giorni; essi decorrono diversamente per il “debitore”, come chiaramente prescritto dall’art. 18 co. 3 l.f., dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’art. 17“, lasciando così intendere che si tratti dello stesso soggetto cui ha riguardo, appunto, l’attività di notificazione del cancelliere e cioè il fallito; non può infatti accedersi ad una diversa tesi, quale reclamata dalla ricorrente, volta ad individuare l’avente diritto alla notificazione in una più lata (e indistinta) nozione di soggetto debitore, così da comprendervi chi, per regole civilistiche, risponda o possa essere chiamato a rispondere dei debiti della società, in tal caso la V., socia illimitatamente responsabile;
11. al di là della incertezza propria di un censimento rimesso al cancelliere e comunque dotato di discrezionalità contrastante con la lettera della norma, osta già alla sola esplorazione della tesi prospettata il principio per cui «l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa» (Cass. s.u. 23745/2020); l’apoditticità della parte argomentativa del motivo di per sé si risolve nel cennato limite; in ogni caso, la parte non ha offerto alcuno spunto per scollegare il costante richiamo, operato nella legge fallimentare fin dagli artt. 5 co.2, 6 co. 1 e 15 co. 2, 3 e poi proseguito ad esempio negli artt. 161 co. 1, 2 e 162, con cui la locuzione ‘debitore’ identifica esattamente il soggetto contro il quale o dal quale è promossa un’iniziativa per l’apertura di una procedura concorsuale ovvero gli si riferisce allorché essa sia stata aperta; in questo significato strettamente concorsuale, non trova alcuno spazio una prospettiva ermeneutica tanto ampia quanto eccentrica rispetto al preciso contesto lessicale (oltre che ordinamentale) interno al r.d. n. 267 del 1942 per il quale il debitore è solo il fallendo o il fallito o il soggetto coinvolto in altra procedura ivi regolata;
12. tale premessa conduce a ritenere corretta la sentenza laddove ha assimilato la posizione sostanziale di V. quale socio illimitatamente responsabile, alla stregua di ‘interessato’ che, ai sensi dell’art. 18 co.3 l.f., ben può impugnare la sentenza di fallimento sociale purché proponga il reclamo nei citati 30 giorni, ma decorrenti dalla formalità pubblicitaria dell’iscrizione della sentenza di fallimento al registro delle imprese, termine nel caso pacificamente decorso; né appare intraducibile in questa sede la questione, che appare nuova (e come tale inammissibile), di una diversa veste rappresentativa che V. avrebbe assunto rispetto alla società, professandosene legale rappresentante, posto che ciò che rileva è se abbia agito come ‘fallito’ (come appena escluso, anche in base al tenore d’esordio, dunque di spendita della qualità, dell’atto di reclamo) ovvero come soggetto interessato a dolersene (ma diverso dal fallito);
13. ne consegue che, così come non sussisteva alcun onere della cancelleria di notificare l’integrale sentenza di fallimento alla V., in quanto non fallita e al di là della valenza cognitiva nel frattempo in realtà assunta quanto al procedimento prefallimentare della società sin da prima del fallimento della s.a.s., il reclamo è stato effettivamente inoltrato oltre il termine dei 30 giorni e dunque correttamente inteso quale tardivo; va dunque espresso il seguente principio di diritto: «la sentenza dichiarativa di fallimento della società con soci illimitatamente responsabili va notificata dal cancelliere alla società e ai soli soci dichiarati falliti secondo la decisione assunta nella pronuncia stessa, non potendo la nozione di debitore, nella lettura corrente degli artt. 17 e 18 l.f., includere altri soci illimitatamente responsabili i quali, sebbene destinatari delle istanze di fallimento nel corso dello stesso procedimento, non siano stati dichiarati falliti all’esito, per essi pertanto decorrendo il termine d’impugnazione della sentenza, quali interessati dalla iscrizione della stessa nel registro delle imprese»
14. il quarto motivo risulta così assorbito;
il ricorso va dunque rigettato, con condanna alle spese secondo la regola della soccombenza e specifica liquidazione come meglio in dispositivo, riconosciuta la sussistenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in euro 10.000, oltre a 200 euro per esborsi, nonché al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modificato dalla I. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.