CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 16586 depositata il 12 giugno 2023

Lavoro – Pensione degli avvocati – Sistema previdenziale forense – Anzianità contributiva – Computo – Versamenti contributivi parziali – Costituzione della rendita vitalizia reversibile in caso di parziale omissione di contributi – Gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva – Pensione del professionista commisurata alla contribuzione “effettiva”  e non integrale – Accoglimento – nel sistema previdenziale forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo tanto della pensione di vecchiaia quanto nella pensione di anzianità, in quanto nessuna norma prevede che venga “annullata” l’annualità in cui il versamento sia stato inferiore al dovuto

Rilevato che

la Corte d’appello di Brescia, a conferma della pronuncia del Tribunale di Bergamo, ha rigettato il gravame di A.R., avvocato, diretto a sentir accertare il diritto al computo, ai fini dell’anzianità contributiva, degli anni 1982 e 1983, per i quali vi erano stati solo versamenti parziali e per i quali era già decorso il termine di prescrizione;

la Corte territoriale ha affermato che, alla stregua dell’art. 2 della l. n. 576 del 1980, e successive modifiche ed integrazioni normative e regolamentari, per ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione, l’avvocato deve aver conseguito l’anzianità derivante da iscrizione e contribuzione effettive alla Cassa Forense e deve, quindi, aver concretamente adempiuto agli obblighi contributivi gravanti sul singolo iscritto;

nel caso in esame la Corte d’appello ha valorizzato altresì il dato fattuale secondo cui il professionista si era rifiutato di costituire, tramite il pagamento del dovuto, la rendita vitalizia mediante la quale soltanto avrebbe potuto recuperare gli anni interessati dai versamenti parziali;

la cassazione della sentenza è domandata da A.R. sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria;

la Cassa Nazionale di Previdenza e assistenza forense ha depositato controricorso;

all’Adunanza il Collegio si è riservato il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza (art. 380 bis 1, secondo comma cod.proc.civ.).

Considerato che

col primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 8 della l. n. 533 del 1973, per avere, erroneamente, la Corte d’appello affermato che la mancata tempestiva impugnazione in sede amministrativa del provvedimento di diniego dell’istanza di ammissione alla pensione di anzianità impedisce l’accoglimento della domanda di condanna della cassa di previdenza all’erogazione della pensione;

col secondo motivo imputa alla Corte d’appello di aver violato l’art. 5 l. n. 2248 del 1865 (all-E) per non aver disapplicato – per contrasto con l’art. 20 della l. n. 576 del 1980 – il Regolamento per la costituzione della rendita vitalizia reversibile, in caso di parziale omissione di contributi per i quali sia intervenuta la prescrizione, ponendo lo stesso a fondamento dell’assunto per cui la parziale omissione di contributi determina la perdita delle relative annualità ai fini dell’anzianità contributiva;

col terzo motivo deduce che, quale conseguenza delle precedenti errate conclusioni, la Corte d’appello abbia sostanzialmente ritenuto irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2 della l. n. 576 del 1980 per violazione degli artt. 38, 4, 35 Cost. avendo, i giudici del merito, erroneamente omesso di considerare, per la formazione dell’anzianità contributiva, gli anni 1982 e 1983, creando una discriminazione fra titolari di pensione di anzianità e di vecchiaia, avendo ritenuto che, ai fini di fruire della prima, l’avvocato sarebbe obbligato a cancellarsi dall’albo professionale;

il primo motivo è inammissibile, poiché non rende intelligibile la violazione di legge cui la censura è diretta;

in base a quanto ribadito dalle Sezioni Unite nella recente sentenza n. 23745 del 2020, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa;

se pure parte ricorrente intenda riferire la critica al passo della decisione in cui (p.3, secondo capoverso) la Corte d’appello ha affermato che, in assenza di tempestiva impugnazione del provvedimento di diniego della Cassa, erano nel frattempo mutati i requisiti anagrafici e contributivi e, quindi, la domanda attorea non avrebbe potuto, comunque, essere accolta, è di palese evidenza che, nel contesto dell’iter argomentativo, l’affermazione costituisce un obiter dictum che, in quanto tale, non si rivela efficace ai fini del positivo apprezzamento della doglianza mossa dalla parte ricorrente;

il secondo motivo è inammissibile, atteso che la questione di diritto in esso prospettata non risulta essere stata oggetto della sentenza impugnata; come questa Corte ha pacificamente affermato, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, la parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice del merito, ma altresì – in ossequio al principio di specificità del ricorso – di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente la questione oggetto della doglianza sia stata posta, in modo da consentire a questa Corte di valutare ex actis la veridicità di quanto sostenuto (cfr., ex multis, Cass. n. 6945 del 2018);

il terzo motivo merita, invece, accoglimento;

l’orientamento di questa Corte è saldamente attestato nel ritenere che nel sistema previdenziale forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo tanto della pensione di vecchiaia quanto nella pensione di anzianità, in quanto nessuna norma prevede che venga “annullata” l’annualità in cui il versamento sia stato inferiore al dovuto; da ciò consegue che la pensione del professionista debba essere commisurata alla contribuzione “effettiva”, non rilevando il principio di automatismo delle prestazioni valido nel lavoro dipendente, tant’è che il termine “effettivo” è estraneo al concetto di “misura” e, conseguentemente, esso non deve essere inteso quale sinonimo di “integrale” (Così, Cass. n. 30421 del 2019);

la Corte territoriale, nel caso in esame, ha inteso consapevolmente discostarsi dall’orientamento di legittimità appena richiamato, al quale, va, invece, senz’altro data continuità, considerato, altresì, che lo stesso ha ricevuto ulteriore conferma anche in epoca recente (in proposito, cfr. Cass. n. 694 del 2021);

in definitiva, la sentenza impugnata va cassata in relazione all’accoglimento del terzo motivo e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, la quale statuirà anche in merito alle spese del presente giudizio;

in considerazione dell’esito del giudizio, dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo, dichiara inammissibili i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, la quale deciderà anche in merito alle spese del presente giudizio.