CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 novembre 2020, n. 24388
Cartelle esattoriali – Natura subordinata dei rapporti di lavoro – Mansioni elementari e ripetitive – Interpretazione del contratto – Sindacato di legittimità afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta
Rilevato che
L’INPS proponeva appello avverso la sentenza n.634/10 del Tribunale di Verona con cui venne accolta l’opposizione a due cartelle esattoriali inerenti contributi non versati dalla s.r.l. E. nel periodo 1996- 2000, per un totale di oltre €.960.000, ritenendo che l’Istituto non avesse provato la natura subordinata dei rapporti di lavoro tra la detta società e 37 lavoratori addetti, presso la filiale di Pegognaca, alla vendita a domicilio dei prodotti alimentari surgelati commercializzati dalla società.
Con sentenza depositata il 25.3.15, la Corte d’appello di Venezia accoglieva solo parzialmente il gravame, giudicando fondata l’eccezione proposta in subordine dalla società E. circa la debenza delle sanzioni ai sensi dell’art.116, co.8 lett.a) della L. n. 388/2000, e rigettando per il resto l’appello, ritenendo sussistente la prova della subordinazione.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.
Considerato che
1- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 1321 e 1362 c.c. Lamenta l’erronea qualificazione giuridica operata dalla Corte veneta circa i 37 rapporti di lavoro de quibus; basandosi essenzialmente sull’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nello svolgimento di mansioni elementari e ripetitive, non è necessario l’accertamento della soggezione del lavoratore ad un penetrante potere direttivo, essendo sufficiente la sussistenza degli indici cd. rivelatori della subordinazione, evidenziando che nella specie le mansioni non erano affatto elementari e che anche gli indici rivelatori (orario di lavoro, fissità del compenso, etc.) non erano emersi. Lamenta inoltre che la sentenza impugnata non aveva attribuito il giusto valore alla chiara volontà delle parti, al momento della stipulazione dei contratti, nel senso dell’autonomia dei rapporti.
Il motivo è inammissibile in base al novellato n. 5 dell’art. 360, co. 1, c.p.c.
La censura, infatti, si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione che, giusta la norma processuale citata, non può riguardare un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie ovvero il travisamento di fatti comunque esaminati nella decisione impugnata (ex aliis, Cass.S.U. n. 22398/16).
Occorre poi osservare che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativa in sé, che appartiene all’ambito del giudizio di fatto riservato al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati, Cass.n.2465/15, non essendo necessario che l’interpretazione della corte di merito sia l’unica possibile o la migliore, essendo sufficiente che sia una di quelle possibili, Cass. n. 5670/19.
Deve infatti considerarsi (cfr. di recente Cass.n.13798/17, Cass. n. 21455/17) che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06, Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.
Quanto al valore della volontà delle parti nella sede genetica della stipula dei contratti di lavoro, deve ribadirsi, in base al principio di effettività che regola il diritto del lavoro, che tale iniziale volontà è irrilevante laddove l’effettivo svolgimento del rapporto si sia poi discostato dalla prima (cfr., anche per i contratti cd. certificati, l’art. 80 d.lgs n. 276/03; in giurisprudenza cfr. Cass. n. 22289/14, Cass. n.19199/13, etc., mentre la sentenza n.7675/14, citata dalla ricorrente, non afferma un principio diverso).
2- Con secondo motivo la società ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n.5 c.p.c.), lamentando che la sentenza impugnata non tenne in alcun conto le sentenze, passate in giudicato, con cui il Tribunale di Mantova escluse la subordinazione in casi analoghi al presente. Il motivo è infondato ove si consideri che del passaggio in giudicato delle dette sentenze (peraltro rese tra parti diverse) la ricorrente non offre alcuna prova. In ogni caso le dette sentenza del Tribunale di Mantova (in tesi passate in giudicato), non sono state prodotte ex art. 369, co.2 n. 4 c.p.c.
Quanto all’efficacia riflessa del giudicato, invocata dalla società ricorrente, deve osservarsi ché essa non può ricorrere laddove si tratti di distinti (ancorché analoghi) rapporti giuridici che ben possono essere oggetto di diversi accertamenti (cfr. da ultimo Cass. n.8101/20).
3- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.10.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
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