CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 aprile 2022, n. 10753
Rapporto di lavoro – Permessi 104 – Accertamento tecnico preventivo – Status di handicap “grave” ex art. 3, co. 1 e 3, L. n. 104/1992 – Difetto di interesse ad agire – Carattere non decisorio del provvedimento di diniego
Rilevato che
D.E. ha adito il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con istanza di accertamento tecnico preventivo, per ottenere declaratoria dello status di handicap “grave” di cui all’art. 3, commi 1 e 3, della legge n. 104 del 1992, deducendo che il riconoscimento di tale status le era stato negato in sede amministrativa, in quanto la competente commissione medica le aveva riconosciuto solo la condizione di soggetto portatore di handicap, senza attribuirle la connotazione di “gravità” necessaria per il godimento delle agevolazioni previste dalla legge citata, quali i permessi lavorativi di cui all’art. 33, comma 6, della stessa legge n. 104 del 1992.
Il tribunale ha rigettato l’istanza, ritenendo inammissibile il richiesto accertamento tecnico sul rilievo che esso, in quanto preordinato all’instaurazione del giudizio ordinario, dovesse essere richiesto in vista ed in funzione dell’ottenimento di una specifica prestazione previdenziale o assistenziale, la pretesa relativa alla quale avrebbe dovuto essere enunciata già nell’istanza di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, unitamente alla sussistenza delle condizioni sostanziali e dei presupposti processuali per la proposizione del giudizio ordinario (avvenuta presentazione di domanda amministrativa respinta o non delibata nel termine di legge; mancato verificarsi della decadenza ex art. 42, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003, ecc.).
Nel caso di specie, invece, la ricorrente aveva proposto domanda di accertamento mero della condizione di handicap con connotazione di “gravità”, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992 (condizione generica, costituente presupposto di una serie indeterminata di benefici a carico di diversi istituti ed enti), senza indicare la pretesa che avrebbe inteso far valere in conseguenza dell’accertamento sanitario richiesto né la sussistenza delle condizioni sostanziali e dei presupposti processuali di essa.
Doveva, quindi, ritenersi mancante l’interesse ad agire, in quanto il richiesto accertamento medico-legale non rispondeva ad alcuna concreta e specifica utilità.
Avverso il decreto di rigetto del tribunale partenopeo, D.E. propone ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma settimo, della Costituzione, sulla base di un unico, articolato motivo, illustrato da memoria. Risponde con controricorso l’INPS.
Considerato che
1. L’unico motivo di ricorso per cassazione deduce “violazione o falsa applicazione di norme di diritto – artt. 100 e 445 bis c.p.c., art. 3, comma 1, 3 I. 104/92, art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.”.
Sostiene la ricorrente che la condizione di soggetto portatore di handicap integra di per sé uno “status”, in quanto costituisce presupposto di una serie di vantaggi, benefici economici, prestazioni sanitarie, agevolazioni fiscali, sicché deve ritenersi sussistente l’interesse ad agire in funzione del suo riconoscimento in giudizio.
A tale deduzione l’INPS oppone il rilievo che alla condizione di handicap “grave” di cui all’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, sono collegati dalla legge plurimi ed eterogenei benefici (dall’iscrizione nelle liste speciali del collocamento obbligatorio, all’esenzione dal ticket sulla spesa sanitaria, all’esenzione dalle tasse scolastiche, al congedo straordinario per cure, ecc.) il cui riconoscimento non è solo di competenza dell’Istituto chiamato in giudizio ma anche di soggetti diversi (di volta in volta, la Asl, il Comune, l’Agenzia delle Entrate). Dunque, il richiesto accertamento tecnico preventivo obbligatorio correttamente sarebbe stato ritenuto inammissibile dal giudice del merito, in quanto non era stato domandato l’accertamento del requisito sanitario necessario per l’attribuzione di una o più specifiche provvidenze tra quelle previste dall’art. 445 bis c.p.c. (prestazioni di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, pensione di inabilità o assegno di invalidità ex legge n. 222 del 1984), né era stata evidenziata la sussistenza delle condizioni sostanziali e dei presupposti processuali per far valere giudizialmente la pretesa ad una di tali prestazioni.
2. La questione giuridica posta con il ricorso è, dunque, se, in tema di accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c., il riconoscimento dell’interesse ad agire del ricorrente – da cui dipende il giudizio di ammissibilità dell’accertamento – presupponga sempre necessariamente che esso sia richiesto in vista di una specifica prestazione previdenziale o assistenziale (con conseguente necessità di enunciare già in sede di istanza di accertamento tecnico preventivo la pretesa che si intende far valere in conseguenza dell’accertamento medesimo, nonché di evidenziare, già in tale istanza, la sussistenza delle condizioni per azionare la predetta pretesa nel giudizio ordinario) oppure se la necessità della preventiva specificazione di un determinato beneficio venga meno in talune peculiari ipotesi e, segnatamente, nell’ipotesi in cui si invochi il riconoscimento della condizione di portatore di handicap “grave”, di cui all’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, sul rilievo che essa condizione assume di per sé pieno rilievo giuridico, quale specifico “status” (e quindi autonoma situazione giuridica soggettiva), costituente presupposto del successivo riconoscimento di molteplici misure finalizzate a rimuovere le singole situazioni di discriminazione dalla stessa generate.
3. Il merito di tale questione, sulla quale questa Corte ha recentemente statuito (cfr. Cass. 15 settembre 2021, n. 24953), non può, peraltro, essere delibato in questa sede, dovendosi dichiarare l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto.
Secondo il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte, perché un provvedimento costituente esercizio della giurisdizione civile possa essere impugnato con ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, della Costituzione, deve presentare due caratteristiche: anzitutto, deve avere carattere decisorio, cioè essere idoneo ad incidere su situazioni giuridiche soggettive sostanziali con efficacia di giudicato; in secondo luogo, deve avere carattere definitivo, cioè non deve essere altrimenti impugnabile (cfr., ex muitis, Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2004, n. 1245; Cass. 20 gennaio 2015, n. 896; Cass. 8 settembre 2017, n. 20954).
Con specifico riguardo al provvedimento di diniego (rigetto o inammissibilità) del ricorso per accertamento tecnico preventivo obbligatorio di cui all’art.445 bis c.p.c., questa Corte ha già enunciato il principio (cui deve darsi continuità), secondo il quale esso non incide con effetto di giudicato sulla situazione soggettiva sostanziale, stante la possibilità per l’interessato di promuovere il ricorso sul merito (Cass. 5 maggio 2015, n. 8932; Cass. 26 giugno 2018, n. 16685; Cass. 19 agosto 2020, n. 17272).
Nelle richiamate pronunce è stato anche precisato che il predetto provvedimento, benché negativo, è comunque idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità di cui all’art. 445 bis c.p.c., essendo il procedimento sommario già giunto a conclusione, sicché il ricorrente è legittimato a procedere secondo le forme ordinarie anche all’accertamento delle condizioni sanitarie, senza alcun rilievo di improcedibilità.
La soluzione, apparentemente ostacolata dal tenore letterale delle disposizioni contenute nell’art. 445 bis, commi 2 e 3, c.p.c. (le quali sembrerebbero richiedere l’effettivo espletamento dell’accertamento tecnico ai fini dell’integrazione della condizione di procedibilità) si impone, sul piano dogmatico, in ragione del rilievo che tale condizione, essendo collegata ad un onere della parte istante, non può che essere di natura potestativa.
Il carattere non decisorio del provvedimento, inoltre, deve essere affermato in simmetria con quanto pacificamente si ritiene per il provvedimento positivo, impugnabile ex art. 111 Cost. solo in riferimento alla statuizione sulle spese. Come il decreto di omologa dell’accertamento del requisito sanitario espletato, emesso ai sensi dell’art. 445 bis, comma 5, c.p.c., anche il provvedimento negativo (di rigetto o di inammissibilità dell’istanza) non incide con efficacia di giudicato sulla posizione soggettiva sostanziale del ricorrente, il quale può sempre riproporre una nuova istanza, al sopravvenire di nuovi elementi, di fatto o di diritto.
In tal senso, del resto, espressamente disponeva il decreto impugnato.
Vanno, dunque, enunciati i seguenti principi: il provvedimento di diniego (di rigetto o di inammissibilità) dell’istanza di accertamento tecnico preventivo obbligatorio di cui all’art.445 bis c.p.c., emesso senza espletare la consulenza tecnica, non è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma settimo, della Costituzione, dal momento che esso non incide con effetto di giudicato sulla situazione giuridica soggettiva sostanziale, sicché il ricorrente è legittimato a proporre una nuova istanza, al sopravvenire di nuovi elementi di fatto o di diritto;
nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità di cui alla legge n. 222 del 1984, la domanda è procedibile, ai sensi dell’art. 445 bis, secondo comma, c.p.c., se sia stata presentata istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere, sicché il ricorrente è legittimato a procedere secondo le forme ordinarie, per l’accertamento del diritto, anche se l’istanza sia stata rigettata o dichiarata inammissibile senza procedere all’espletamento del richiesto accertamento tecnico.
4. Alla luce di quanto precede, il ricorso proposto da D.E. va dichiarato inammissibile.
Tale decisione non incide sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di cui la ricorrente beneficia in base alla delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli del 13 settembre 2016, debitamente versata in atti, e la cui revoca – che presupporrebbe l’accertamento dei presupposti di cui all’art. 136 d.P.R. n. 115 del 2002 – non competerebbe comunque a questa Corte, ma al giudice del merito che ha pronunciato il provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020 n. 4315).
5. La relativa novità della questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
6. La circostanza che la ricorrente risulti ammessa al patrocinio a spese dello Stato non esclude l’obbligo del giudice dell’impugnazione, quando adotti una decisione di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità della stessa, di attestare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo di contributo unificato (c.d. “raddoppio del contributo”); ciò perché l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è suscettibile di essere revocata, anche dopo la pronuncia della sentenza che ha definito il giudizio di impugnazione, allorquando sopravvengano i presupposti di cui all’art. 136 del sopra citato Testo Unico sulle Spese di Giustizia (Cass, Sez. Un., 20 febbraio 2020. n. 4315; Cass., Sez. 3, 10 giugno 2020, Sentenza n. 11116 del Rv. 658146-01).
Pertanto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di D.E., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, ove dovuto.
Tale statuizione lascia impregiudicata la questione della debenza originaria del contributo in esame, con la conseguenza che il suo raddoppio non sarà consentito qualora venga accertato, nelle sedi competenti, che fin dall’inizio ne era escluso anche il pagamento.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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