CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2019, n. 31588
Tributi – Cessione di terreno edificabile – Plusvalenza tassabile
Esposizione dei fatti di causa
1. A.T. impugnava l’avviso di accertamento con cui era stata accertata per l’anno 2001 una plusvalenza tassabile da assoggettare a tassazione separata di euro 735.125,00 derivante dalla cessione a titolo oneroso di un terreno edificabile effettuata in data 5 settembre 2000. La commissione tributaria provinciale di Verona accoglieva il ricorso. Proposto appello da parte dell’agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale del Veneto, sezione staccata di Verona, lo accoglieva rideterminando la plusvalenza tassabile in lire 1.381.926.786. Osservava la CTR che dalla consulenza tecnica disposta nel corso del giudizio d’appello emergeva condivisibilmente che i terreni erano edificabili mentre i fabbricati non avevano generato plusvalenza. Rilevava, altresì, che su tali conclusioni le parti non avevano mosso rilievi nel merito. Conseguentemente demandava all’ufficio di rideterminare le sanzioni sulla base della plusvalenza accertata. Infine rigettava l’appello incidentale della contribuente sul rilievo che era risultata pacifica l’edificabilità dei terreni.
2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione la contribuente affidato a tre motivi. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.
Esposizione delle ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi all’articolo 360, comma 1, numero 4, cod. proc. civ., per non aver la CTR pronunciato in ordine al dedotto motivo di nullità dell’atto impositivo per erronea determinazione della plusvalenza imponibile tempestivamente dedotta quale censura sia in primo grado che in grado d’appello.
2. Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi all’articolo 360, comma 1, numero 4, cod. proc. civ., per non aver la CTR pronunciato in ordine alla dedotta non debenza delle sanzioni data l’insussistenza dell’elemento del dolo o della colpa.
3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi all’articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ., per non aver la CTR verificato se sussistessero i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni.
4. Osserva la Corte che il primo motivo di ricorso è infondato. Invero la CTR, con la sentenza fatta oggetto di gravame, ha accertato la sussistenza dei presupposti generatori della plusvalenza avendo affermato, da un lato, che era pacifica in causa la natura edificabile del terreno, dall’altro che la determinazione del plusvalenza tassabile determinata dal C.T.U. era condivisibile e non fatta oggetto di contestazioni nel merito dalle parti. La ricorrente, nell’affermare che la CTR non avrebbe tenuto conto del fatto che il terreno era stato dalla stessa acquistato nel 1963 e non già pervenuto in successione nel 1988, non ha dedotto il fatto che detta circostanza non era stata esaminata dal consulente nella determinazione del valore della plusvalenza, per il che il motivo si appalesa anche privo di specificità, a tacer del fatto che il motivo sottende anche una rivalutazione del merito della causa che non è consentita nel giudizio di legittimità.
5. Il secondo ed il terzo motivo debbono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi. Mette conto considerare che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. n. 2731 del 8/11/2016 dep. Il 2/2/2017 Cass. n. 2313 del 01/02/2010). Ciò posto, esaminando la questione oggetto della pronuncia, i rilievi sono infondati.
La Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 4394 del 24/2/2014; Cass. n. 3113 del 12/2/2014; Cass. n. 24670 del 28/11/2007) è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di non debenza delle sanzioni enunciando i seguenti principi di diritto: per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6 che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla amministrazione; l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione“.
6. Nella fattispecie la normativa applicabile fornisce elementi adeguati e sufficientemente chiari per la determinazione dei casi di spettanza dell’agevolazione, per il che appare sussistente la sola incertezza derivata da condizioni soggettive del contribuente (che non ha indicato nella dichiarazione la plusvalenza tassabile in relazione alla cessione di terreno edificabile), mentre è da escludere l’errore dovuto ad interpretazione errata della normativa o la diversa interpretazione dei fatti di causa, sola condizione che legittimerebbe lo sgravio delle sanzioni.
7. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che liquida in euro 5.000,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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