CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2018, n. 14279
Tributi – Rateazione – Lieve inadempimento ex art. 15-ter del DPR n. 602 del 1973 – Ambito applicativo
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, contro La Eredi G.V. s.a.s. D.P.R. & C., impugnando la sentenza della CTR Veneto indicata in epigrafe che aveva confermato la decisione di primo grado con la quale era stata annullata la cartella emessa per il pagamento di IVA e altri tributi relativi all’anno 2009, tenuto conto che la contribuente aveva sanato il mancato integrale versamento della prima rata di pagamento mediante ravvedimento operoso oltre il termine di legge, posto che il lieve ritardo non poteva causare il disconoscimento della dilazione, risultando altresì provata la buona fede della contribuente dai versamenti effettuati per sanzioni e interessi, in assenza, peraltro di danno all’erario, essendo già stata concessa la rateazione.
La parte intimata non si è costituita in giudizio.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
Il motivo, con il quale si prospetta la violazione degli artt. 2 e 3 bis d.lgs.n. 462/1997, è fondato.
Ed invero, come puntualmente rilevato dall’Agenzia ricorrente, il mancato pagamento della prima rata del piano di rateazione disciplinato dall’art. 3 bis d.lgs.n. 462/1997 comporta la decadenza dalla stessa, con conseguente obbligo di versamento delle imposte, interessi e sanzioni in misura piena e la possibilità di iscrizione a ruolo dei relativi importi. Ciò alla stregua di quanto previsto dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 462 del 1997 e artt. 14 e 15-ter, comma 1, del d.P.R. n. 602 del 1973.
Orbene, nel caso di specie risulta dalla sentenza impugnata che il ritardato pagamento dell’intero dovuto riguardava la prima rata della rateazione. Ha quindi errato il giudice di appello nel ritenere giustificabile il ritardo ed illegittima la conseguente cartella di pagamento emessa a carico della parte contribuente per somme ancora dovute e sanzioni come già calcolate sulla base di titolo non impugnato dalla parte contribuente.
Peraltro, questa Corte ha chiarito che il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15 ter, introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, art. 3, in vigore dal 22 ottobre 2015- a cui tenore “In caso di rateazione ai sensi dell’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, il mancato pagamento della prima rata entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni in misura piena”-, non è applicabile retroattivamente ad anni di imposta pregressi -cfr. D.Lgs. n. 159 del 2015, art. 15, comma 4- aggiungendo che “la fattispecie di “lieve inadempimento” introdotta dal citato art. 15 ter comma 3 esclude la decadenza dalla rateazione ricorrendo le condizioni ivi previste (beneficio esteso anche ai casi di versamento in unico soluzione delle somme dovute a seguito di accertamento con adesione ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 8, ovvero a seguito della ricezione degli avvisi bonari ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, artt. 2 e 3). La previsione del “lieve inadempimento” non riguarda invece la diversa fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 15, il quale stabilisce la perdita del beneficio della riduzione delle sanzioni qualora il contribuente destinatario dell’avviso di accertamento non abbia provveduto al pagamento delle imposte e delle sanzioni ridotte entro il termine perentorio previsto per l’impugnazione dell’atto impositivo”-cfr. Cass. n. 9176/2016-.
A tali principi non si è attenuto il giudice di appello che ha, per converso, annullato la cartella relativa gli importi ancora dovuti a titolo di imposta e le relative sanzioni già irrogate dall’ufficio.
Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e non ricorrendo ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio può essere definito con il rigetto del ricorso introduttivo.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di merito, mentre le spese di quello di legittimità vanno poste a carico della parte intimata.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo.
Compensa le spese del giudizio di merito.
Condanna la parte intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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