CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 luglio 2022, n. 23550

Tributi – IRPEF – Lavoro dipendente – Stock option – Rivalutazione delle azioni con versamento dell’imposta sostitutiva – Cessione – Plusvalenza – Calcolo in base al valore rivalutato – Legittimità. – Contenzioso tributario – Appello presentato oltre il termine – Passaggio in giudicato della sentenza di primo grado

Fatti di causa

1. Il 29 gennaio 2010 E.F. chiese all’amministrazione finanziaria il rimborso della somma di € 127.915,11, trattenuta dal suo datore di lavoro sul reddito di sua spettanza per l’anno 2006.

All’origine della vicenda vi era l’attribuzione al F., da parte del datore di lavoro A. s.p.a. nell’anno 2004, di diritti di opzione (stock options) per l’acquisto di azioni della controllante lussemburghese A.I. al prezzo corrispondente di € 74.375,00; nel corso del 2005 il contribuente aveva provveduto alla rivalutazione di tali azioni, il cui valore ai fini fiscali era stato riconosciuto in € 101.346,00, versando l’imposta sostitutiva; il 15 dicembre 2006, infine, il F. aveva esercitato l’opzione sulle azioni, vendendole contestualmente al prezzo di € 432.284,39, importo pari al loro valore al momento di esercizio del diritto di opzione, e il datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, aveva assoggettato a ritenuta la differenza fra tale corrispettivo e il valore iniziale.

La somma chiesta a rimborso dal contribuente corrispondeva alla differenza fra l’Irpef versata e l’imposta sostitutiva del 12,50% sulla plusvalenza, sul presupposto dell’applicabilità del regime agevolato previsto dall’art. 51, comma 2, lett. g-bis) del t.u.i.r. nel testo vigente al momento dell’attribuzione dei diritti di opzione, anziché nel testo successivamente modificato dal d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni nella l. n. 286 del 2006, applicato nella specie dal sostituto d’imposta.

2. Il silenzio-rifiuto dell’amministrazione venne impugnato dal F. innanzi alla C.T.P. di Torino, con domanda subordinata di rimborso del minor importo di € 45.302,03, pari alla differenza fra Irpef versata e valore dei diritti rivalutato, da conteggiarsi in aumento sul prezzo di acquisizione.

La C.T.P. accolse quest’ultima domanda, ritenendo che la plusvalenza andasse tassata come reddito da lavoro dipendente e che la rivalutazione operata nel 2005 andasse riconosciuta nella base imponibile.

3. Detta sentenza fu oggetto di appello principale dell’Agenzia delle entrate e di successivo appello incidentale del F.

La C.T.R. del Piemonte respinse entrambi i gravami, confermando la sentenza appellata.

In via preliminare, i giudici d’appello respinsero l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione principale, sollevata dal F. perché l’Agenzia delle entrate si era costituita omettendo di depositare copia della ricevuta di spedizione del ricorso in appello.

Ritennero, in proposito, che potesse attribuirsi valore equipollente all’avviso di ricevimento che l’amministrazione aveva comunque prodotto, in quanto idoneo ad attestare la tempestività della costituzione dell’appellante.

Nel merito, osservarono che la plusvalenza sulle azioni – rispetto al valore acquisito nel 2004 e rivalutato nel 2005 – si era realizzata al momento della cessione delle stesse, il 15 dicembre 2006, e quindi nella vigenza del d.l. n. 262/2006. L’assunto del contribuente – volto ad affermare la prevalenza dell’art. 3, comma 1, della l. 27 luglio 2000, n. 212, a mente del quale la decorrenza dei tributi periodici ha luogo a partire dal primo periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore della normativa impositiva – non era meritevole di àdito, non sussistendo alcun rapporto di specialità fra le due fonti normative, pari ordinate.

Quanto, poi, all’appello principale, volto ad evidenziare la contraddittorietà fra la ritenuta applicazione del d.l. n. 262/2006 ed il computo nella base imponibile della rivalutazione operata nel 2005, la C.T.R. osservò che una contraria interpretazione della disciplina successivamente intervenuta, comportando la retroattività della nuova aliquota al momento dell’acquisizione della stock option, avrebbe realizzato una doppia e illegittima imposizione.

4. L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. Il contribuente ha depositato controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.

La causa giunge alla discussione dopo un rinvio interlocutorio, finalizzato all’acquisizione del fascicolo d’ufficio relativo al giudizio d’appello.

Ragioni della decisione

1. Con l’unico motivo del ricorso principale, l’Agenzia ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 51 e 68 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (t.u.i.r.) e dell’art. 5 della l. 28 dicembre 2001, n. 448, dolendosi del fatto che i giudici d’appello, pur avendo riconosciuto la legittimità del criterio sulla base del quale il sostituto d’imposta ha operato la trattenuta, applicando la tassazione sui redditi da lavoro dipendente di cui all’art. 51 t.u.i.r., hanno ritenuto di dover limitare detta tassazione alla plusvalenza realizzata fra la rivalutazione operata nel 2005 e la vendita del 2006, escludendo la rivalutazione prodottasi nell’anno precedente, onde evitare una doppia imposizione sulla stessa, già oggetto di ritenuta con aliquota fissa.

2. Il primo motivo di ricorso incidentale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, siccome richiamato dall’art. 53, comma 2, dello stesso decreto.

Il contribuente osserva che la norma evocata richiede, a pena di inammissibilità, che l’appellante depositi copia della ricevuta di spedizione del ricorso mediante raccomandata con avviso di ricevimento, non consentendo che la relativa omissione possa essere sanata dall’esistenza, in atti, di documentazione cui attribuire valore equipollente.

3. Con il secondo mezzo di ricorso incidentale si denunzia violazione degli artt. 1, comma 1, e 3, comma 1, della l. n. 212/2000.

Il contribuente, ricostruita l’evoluzione normativa in materia di tassazione delle stock options, assume che alla fattispecie dedotta in giudizio sarebbe applicabile l’art. 3, comma 1, secondo periodo, della l. n. 212/2000.

Detta norma, infatti, è finalizzata a soddisfare l’esigenza del contribuente di operare le proprie scelte dispositive nella garanzia della stabilità giuridica del quadro normativo di riferimento, e perciò costituisce una sorta di «regime transitorio automatico per l’acquisto dell’efficacia di modificazione emanata in corso di periodo», rappresentando una clausola generale che, in mancanza di deroga espressa all’interno della normativa fiscale (qui non sussistente), distingue l’entrata in vigore di una particolare previsione dalla sua efficacia.

In conseguenza di ciò, assume il contribuente, nell’applicare l’art. 51, comma 2, lett. g-bis) del t.u.i.r. onde determinare la misura della ritenuta sul differenziale di valore delle azioni, occorrerebbe tener conto non già del testo in vigore alla data del 15 dicembre 2006 (momento di esercizio dell’opzione e susseguente assegnazione delle azioni), con le modifiche apportate dal d.l. 262 del 2006, così come ritenuto dalla C.T.R., bensì della versione precedente alle dette modificazioni; il nuovo testo, infatti, sarebbe destinato a trovare applicazione soltanto «a partire dal primo periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di “entrata in vigore” […] ossia il periodo d’imposta 2007».

4. Il primo motivo di ricorso incidentale, da scrutinare prioritariamente in quanto avente carattere preliminare di rito, è fondato.

4.1. L’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 prescrive che l’atto di appello sia «depositato a norma dell’art. 22, commi 1, 2 e 3»; ciò significa, ai fini che qui rilevano, che al momento della costituzione l’appellante deve depositare o trasmettere, a pena d’inammissibilità del gravame, copia del ricorso spedito per posta «con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale» munito di attestazione di conformità all’originale (art. 22, commi 1 e 3, d.lgs. n. 546/1992).

4.2. A tale specifico riguardo, questa Corte, a Sezioni Unite, ha affermato che non costituisce motivo d’inammissibilità dell’appello il fatto che l’appellante, al momento della costituzione (che deve avvenire entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario), depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione; ciò, tuttavia, a condizione che, nell’avviso di ricevimento medesimo, la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario, poiché solo in tal caso l’avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione (v. Cass. Sez. U, n. 13452/2017).

La stessa giurisprudenza ha precisato che, in mancanza di tale condizione, la mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso di ricevimento, in sé non idonea a dimostrare la tempestività della notifica, può essere tenuta in considerazione unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione della sentenza.

4.3. Nel caso di specie, l’avviso di ricevimento ─ riprodotto dal ricorrente incidentale nel corpo della propria memoria illustrativa ─ non reca alcuna asseverazione da parte dell’Ufficio, ma unicamente l’apposizione manuale della data di ricezione, che è quella del 28 settembre 2011.

Tale data è successiva alla scadenza del termine “lungo” stabilito per l’impugnazione della sentenza di primo grado; la stessa, infatti, fu depositata il 10 febbraio 2011, sicché l’appello doveva essere proposto, a pena di decadenza, entro il 26 settembre 2011 (termine non prorogabile in quanto cadente di lunedì).

4.4. In applicazione del disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 334 cod. proc. civ., l’inammissibilità dell’appello principale proposto dall’Agenzia determina la perdita di efficacia anche dell’appello incidentale, esso pure proposto dal contribuente dopo la scadenza del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., e perciò tardivo.

Le considerazioni che precedono comportano il rilievo d’ufficio del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, così risultando precluso, in questa sede, l’esame del primo motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale.

La sentenza impugnata va dunque cassata con assorbimento di ogni altra censura.

5. Non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va dunque decisa nel merito con la declaratoria del passaggio in giudicato della sentenza della C.T.P. di Torino del 10 febbraio 2011.

La peculiarità della vicenda e il rilievo d’ufficio del giudicato interno costituiscono valide ragioni di compensazione delle spese relative al grado di appello e al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

In accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale, assorbite tutte le restanti censure, decidendo sui ricorsi, cassa la sentenza impugnata, e dichiara il passaggio in giudicato della sentenza della CTP di Torino del 10 febbraio 2011.

Compensa integralmente fra le parti le spese del grado di appello e del giudizio di legittimità.