CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2018, n. 10670
Tributi – Accertamento – Mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture – Indagini bancarie
Rilevato che
1. con sentenza n. 154/34/12 del 22/05/2012 la CTR della Sicilia – Sezione staccata di Catania accoglieva parzialmente l’appello proposto dal sig. G.F. avverso la sentenza della CTP di Catania, che aveva a sua volta accolto parzialmente l’impugnazione dello stesso avverso l’avviso di accertamento per IRPEF, IRAP ed IVA relativo all’anno d’imposta 2005, con il quale l’Ufficio aveva rettificato il reddito da lavoro autonomo (amministratore di condominio) del contribuente;
1.1. la CTR premetteva che: a) l’accertamento veniva eseguito a seguito di indagine sui conti correnti bancari intestati al contribuente; b) la CTP accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente riducendo ad euro 382.094,27 gli importi derivanti da operazioni bancarie da assoggettare ad imposizione; c) il contribuente proponeva appello avverso la sentenza della CTP;
1.2. la CTR così motivava il parziale accoglimento dell’appello proposto: a) «dallo scrupoloso ed attento esame della corposa documentazione prodotta in giudizio, è emerso che le operazioni delle quali il contribuente non è stato in grado di dimostrare l’estraneità a compensi non dichiarati ammontano ad € 7.144,00; per i restanti movimenti è emersa la neutralità fiscale degli stessi ovvero la loro inclusione nei compensi dichiarati ai fini del pagamento delle relative imposte»; invero, «tutte le movimentazioni bancarie, sia in entrata che in uscita, risultano pienamente giustificate ad eccezione di quelle che ammontano all’importo suindicato»; b) sotto altro profilo, il Collegio aveva ritenuto che «se dai versamenti privi di giustificazione è ragionevole desumere il potenziale occultamento di ricavi e quindi di redditi, la stessa presunzione non possa operare per i prelevamenti effettuati da un professionista»; in altri termini, «è ragionevole ritenere che la presunzione per i prelevamenti operi solo con riferimento ai redditi d’impresa ed ai redditi di lavoro autonomo con esclusione delle professioni cosiddette liberali (…) non potendosi certamente in via generale e per qualsiasi contribuente presumere la produzione di un reddito da una spesa»;
2. avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva tempestivo ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;
3. il sig. F. resisteva con controricorso e depositava memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;
Considerato che
1. va pregiudizialmente disattesa l’eccezione di giudicato interno per non avere l’Agenzia delle entrate censurato la parte della sentenza con la quale la CTR riduce ad euro 7.144,00 gli importi delle operazioni bancarie da assoggettare ad imposizione, onerando l’Ufficio di rideterminare quanto dovuto per imposte, sanzioni ed interessi alla luce della riduzione;
1.1. è evidente, infatti, che tale parte della sentenza costituisce null’altro che la decisione finale cui è giunta la CTR sulla base di un percorso motivazionale regolarmente censurato dal ricorso dell’Agenzia delle entrate e che, pertanto, non può certo dirsi coperta da giudicato;
2. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16, commi 2 e 3, 18, comma 2, lett. e), 19, 20, commi 1 e 2, 21, 22, 23, 24, commi 2 e 4, e 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando che il contribuente, con la memoria depositata nel giudizio di primo grado in data 06/09/2010, aveva illegittimamente ampliato l’oggetto del giudizio deducendo l’ulteriore motivo aggiunto concernente la non rilevanza fiscale dei prelevamenti e dei versamenti eseguiti nei conti bancari oggetto di accertamento;
3. il motivo non è fondato.
3.1. in primo luogo, con la memoria depositata tempestivamente in data 06/09/2010 il contribuente ha assolto unicamente all’onere probatorio su di lui incombente per legge, che è quello di giustificare le movimentazioni bancarie poste dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento nei suoi confronti, senza con ciò proporre un nuovo motivo di ricorso;
invero, l’assolvimento a detto onere probatorio rientra pienamente nell’ambito della seconda censura posta dal ricorrente, con la quale si è contestata l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato per violazione dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in quanto gli elementi posti a base dell’avviso medesimo, costituiti dalle movimentazioni bancarie riferibili al sig. F., non erano sufficienti a provare la sussistenza di un maggior reddito in capo a quest’ultimo e, in ogni caso, gli stessi erano stati ampiamente giustificati dal contribuente;
3.2. secondariamente, anche a volere diversamente qualificare la domanda come motivo aggiunto, della stessa la CTP ha conosciuto allorquando ha ridotto parzialmente la pretesa dell’Ufficio e nessuna impugnazione specifica ha proposto sul punto l’Agenzia delle entrate nel giudizio di secondo grado, laddove si è tardivamente costituita;
4. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 193 e dell’art. 52, comma 5, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR non avrebbe potuto fondare la propria decisione su atti e documenti allegati alla perizia contabile depositata nel giudizio di appello e oggetto di un precedente invito al contraddittorio al quale il contribuente non ha ottemperato;
5. il motivo è infondato;
5.1. secondo un orientamento ormai consolidato della S.C. «in tema di accertamento fiscale, la mancata esibizione, in sede amministrativa, dei libri, della documentazione e delle scritture all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate giustifica l’esercizio dei poteri di indagine ed accertamento bancario propri dell’Amministrazione finanziaria, mentre la sanzione dell’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, opera solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte dell’Amministrazione purché accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e 53 Cost. – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco» (così Cass. n. 11765 del 26/05/2014; si vedano, altresì, Cass. n. 453 del 10/01/2013; Cass. n. 27069 del 27/12/2016);
5.2. nel caso di specie, come si evince dal contesto stesso del ricorso, l’Ufficio ha invitato, con lettera raccomandata, il contribuente a presentarsi «per giustificare e/o documentare tutti gli addebitamenti e accreditamenti effettuati sui conti intrattenuti» ed ha, altresì, richiesto l’esibizione dei «registri previsti dall’art. 19 del DPR 600/1973 e le fatture emesse e ricevute», ma non risulta che abbia avvertito il contribuente circa le conseguenze della mancata ottemperanza all’invito;
5.3. ne consegue che dalla mancata ottemperanza non possono derivare le conseguenze preclusive ritenute dalla difesa erariale;
6. con il terzo Motivo di ricorso si contesta l’insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR si sarebbe limitata ad operare un mero ed indistinto rinvio alla documentazione allegata dal contribuente alla perizia di parte, senza specificare le ragioni di non imponibilità delle singole operazioni effettuate;
7. il motivo è inammissibile in quanto del tutto generico;
7.1. la CTR ha fatto legittimamente riferimento per relationem alle difese del contribuente dalle quali, tenuto conto della perizia di parte e della documentazione allegata, emerge l’impossibilità di documentare compensi per la complessiva somma di euro 7.144,00; era onere della parte ricorrente specificare le ragioni per le quali la documentazione prodotta dal ricorrente, con riferimento alle singole operazioni effettuate, non era idonea a darne una ragionevole giustificazione, così da rendere la motivazione della sentenza insufficiente;
8. con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando la extrapetizione in cui sarebbe incorsa la CTR, non avendo il contribuente mai dedotto la non applicabilità della presunzione di imponibilità ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 nei confronti degli esercenti arti e professioni, la cui attività produce compensi e non ricavi;
9. con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, nn. 2 e 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che la menzionata presunzione si pone comunque in contrasto con l’orientamento consolidato della giurisprudenza, che non distingue tra reddito di impresa e reddito da lavoro autonomo e professionale;
10. i due motivi possono essere unitariamente esaminati, avendo ad oggetto la medesima presunzione nei confronti degli esercenti le professioni, e sono infondati;
10.1. secondo un recente, ma ormai consolidato orientamento della S.C., «in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti» (così Cass. n. 16697 del 09/08/2016; conf. Cass. n. 1519 del 20/01/2017; Cass. n. 3628 del 10/02/2017; Cass. n. 947 del 17/01/2018);
10.2. è corretto, pertanto, il principio affermato dalla CTR, la quale non è certo incorsa nel denunciato vizio di extrapetizione essendosi limitata ad applicare una regola di giudizio derivante direttamente dalla norma su cui si fonda l’accertamento impugnato e che concerne, in ultima analisi, la ripartizione dell’onere della prova tra le parti;
11. in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore della lite dichiarato di euro 685.433,50.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 8.000,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% e agli accessori.
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