CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 marzo 2020, n. 6112
Tributi – ILOR – Soggetti colpiti dal sisma in Sicilia del 1990 – Art. 9, co.17 Legge n. 289 del 2002 – Rimborso del 90% dell’imposta pagata – Natura imprenditoriale dell’attività svolta – Esclusione del diritto al rimborso
Fatti e ragioni della decisione
La CTR Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza del giudice di primo grado che aveva annullato il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso del 90% dell’imposta ILOR pagata per gli anni 1990/1991 e 1992 in favore di M.P., residente in uno dei comuni della Sicilia orientale colpiti dal sisma del 13-16-dicembre 1990 ai sensi dell’art. 9, c.17 l. n. 289/2002.
Riteneva, in particolare, la CTR che l’art. 1 c. 665 l. n. 190/2014 aveva ormai riconosciuto il diritto dei contribuenti che non svolgono attività di impresa al rimborso del 90% delle somme pagate per Irpef e Ilor nel triennio, a nulla rilevando che la somma fosse stata corrisposta mediante ritenute dal sostituto d’imposta.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito la parte intimata con controricorso.
Con il primo motivo la ricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo in quanto la parte contribuente non avrebbe indicato nell’istanza di rimborso il quantum richiesto, né di avere provato il versamento di quanto chiesto in restituzione.
Orbene, la censura è inammissibile quanto alla seconda parte del motivo censorio, facendo riferimento ad un elemento che inciderebbe sulla fondatezza del diritto al rimborso che la ricorrente non ha documentato di avere prospettato tempestivamente nel corso del giudizio di merito.
La stessa censura è invece infondata con riferimento alla dedotta mancata indicazione del quantum chiesto in rimborso che, come risulta dal ricorso introduttivo, venne espresso nella istanza- v. pag. 1 ricorso introduttivo prodotto in allegato al controricorso-.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si prospetta la violazione dell’art. 9 c. 17 l. n. 289/2002, dell’art. 1 c. 665 l. n. 190/2014, in quanto la CTR non avrebbe considerato la natura imprenditoriale dell’attività svolta dalla parte contribuente e, conseguentemente, l’assenza del diritto al rimborso sulla base della giurisprudenza europea, è fondato.
Ed invero, come già chiarito da questa Corte in pronunzie relative a materia omogenea a quella qui in esame, il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento, previsto dall’art. 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, in favore dei «soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’articolo 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990», è espressamente escluso per «quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea», atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla legge n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.
Ciò posto, questa Corte ha già affermato (Cass. n. 29905 del 2017 e n. 3070 del 2018, Cass. n. 14324/2018 di questa Sottosezione) che la nozione euro-unitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia: 23/04/1991, Hofner & Elser; 16/11/1995, Federation francaise des societes d’assurances; 11/12/1997, .lob Centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, Selex Sistemi Integrati)». Si è aggiunto che ciò «si raccorda sia con la normativa fiscale europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (art. 9, 51, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE), sia con la normativa europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi” (art. 1, par. 8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE)»; che tale nozione è stata recepita dalla decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final, 5 134, della Commissione UE, là dove si afferma che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese”»; e che «ciò significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, Hoefner e 18/06/1998, Commissione vs. Italia)». Va, pertanto, considerata attività d’impresa quella svolta dal lavoratore autonomo, com’è la contribuente.
In recenti decisioni (Cass. n. 29905 del 2017 e n. 3070 del 2018, di questa Sottosezione) si è ancora aggiunto che secondo la Commissione UE che «una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea con il regolamento de minimis applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)» (p. 134 della “decisione”).
Una volta accertato lo svolgimento da parte del contribuente di un’attività economica assoggettata ad imposizione sul valore aggiunto e sulle attività produttive, il giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. Cass. n. 29905/2017). In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (5 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a nonna delle misure in esame” (5 136 dec. cit.); il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto (5 148 dec. cit.);
inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. sez. lav., 09/06/2017, n. 14465). Al riguardo si è ancora chiarito che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello) e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza della commissione regionale, consentono alle parti l’esibizione, in sede di rinvio, di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica.
Dovendo quindi dare continuità ai principi già espressi da questa Corte e sopra riportato, è evidente come la CTR non si sia ad essi allineata, avendo riconosciuto per redditi non derivanti da attività di lavoro dipendente, come nemmeno il controricorrente contesta, il rimborso senza compiere le verifiche invece dovute al fine di riconoscere o escludere il reclamato rimborso, in relazione a quanto sopra esposto.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 c. 665 l. n. 190/2014, come modificato dall’art. 16 octies del d.l. n. 91/2017, conv. nella l. n. 123/2017.
Secondo la ricorrente la disposizione appena indicata, nella parte in cui ha introdotto dei limiti al riconoscimento del diritto al rimborso, avrebbe efficacia retroattiva, applicandosi anche ai giudizi in corso.
La censura è infondata.
Ed invero, questa Corte, a partire da Cass. n. 4299/2018, puntualmente ricordata dalla CTR, ha ritenuto che, invariata la previsione del limite di spesa fissato nella misura “pari a 30 milioni di Euro per ciascuno degli anni 2015-2017”, la novella introdotta dalla L. n. 123 del 2017, art. 16-octies, comma 1, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati “nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma” (primo periodo del comma 665 modificato dall’art. 16-octies cit., comma 1, lett. a), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di Euro complessivi per il triennio 2015-2017, stabilendo che “in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute” e che “a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi” (quinto periodo del comma 665, come introdotto dall’art. 16-octies cit., comma 1), lett. b), demandando al direttore dell’Agenzia delle entrate l’emanazione di un provvedimento che stabilisca “le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”, in precedenza riservando il comma 665, al Ministero dell’Economia e delle Finanze l’emanazione di un “decreto” con cui stabilire i “criteri di assegnazione dei predetti fondi”.
Orbene, si è già ritenuto che tale ius superveniens non incide sulla questione del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, fra i quali vi è per l’appunto il contribuente qui in giudizio, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (cfr, appunto, Cass. n. 4299/2018) ed inoltre chiarendo che in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso -cfr., da ultimo, Cass. n. 12214/2919-.
La censura è dunque infondata.
Sulla base di tali considerazioni il secondo motivo di ricorso va accolto, rigettati il primo ed il terzo.
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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