CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 febbraio 2021, n. 2894
Tributi – IRPEF – Soggetti passivi – Contribuente residente in Svizzera – Presunzione di residenza in Italia – Esclusione – Concessione cittadinanza elvetica
Rilevato
che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso una sentenza della CTR della Liguria di rigetto dell’appello da essa proposto avverso una decisione della CTP di Genova, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente R.G.P. avverso un avviso di accertamento IRPEF 2008, emesso sul presupposto che egli, pur residente in Svizzera, paese incluso nella c.d. “black list” di cui al D.M. 4 maggio 1999, dovesse considerarsi come residente di fatto in Italia;
Considerato
che il ricorso è affidato a due motivi:
che, con il primo motivo. l’Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione artt. 2 comma 2 bis TUIR e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto, da numerosi fatti obiettivi, il contribuente doveva ritenersi come residente in Italia, precisamente in Genova, dove risiedevano la moglie non separata ed il figlio; dove era proprietario di diversi immobili ed era intestatario di utenze elettriche e telefoniche; ed il contribuente non aveva fornito alcuna valida prova di un suo reale e duraturo rapporto con lo Stato d’immigrazione (Svizzera) e dell’interruzione di significativi rapporti con l’Italia; in particolare, la documentazione versata dal contribuente in atti risaliva al 2009/2010 ed era quindi successiva all’anno d’imposta oggetto dell’accertamento (2008);
che, con il secondo motivo. l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione art. 116 cod. proc. civ. in tema di valutazione delle prove, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., in quanto non erano stati adeguatamente valutati i documenti prodotti dal contribuente in primo grado, non essendo stati rinvenuti negli allegati prodotti in primo grado né il libretto di lavoro, né la carta sanitaria svizzera, né l’abilitazione alla guida; l’unico documento prodotto era stato un’attestazione di adempimento di contratto di collaborazione artistica, inammissibile ex art. 7 del d.lgs n. 546 del 1992, siccome dichiarazione di terzi, che non poteva assurgere ad elemento di prova;
che il contribuente si è costituito con controricorso, contenente altresì un motivo di ricorso incidentale condizionato, con il quale ha dedotto violazione o falsa applicazione artt. 36 comma 2 n. 4, richiamato dall’art. 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 n. 4 e 156 comma 2 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ, anche con riferimento all’art. 111 della Costituzione, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., con riferimento all’eccezione di decadenza, in cui era incorso l’ufficio nel suo potere rettificativo, da lui formulata fin dal giudizio di primo grado; che il contribuente ha altresì presentato memoria illustrativa; che il ricorso è stato una prima volta discusso innanzi al questa Corte all’udienza camerale del 16 aprile 2019, in esito alla quale è stato disposto il rinvio del ricorso a nuovo ruolo al fine di acquisire il fascicolo di merito, onde visionare la documentazione ivi allegata dalle parti ed accertare se la stessa fosse stata adeguatamente valutata nei due giudizi di merito; che, acquisiti i fascicoli di merito, il ricorso è stato nuovamente esaminato all’odierna udienza camerale;
che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato al limite dell’inammissibilità;
che erroneamente detto motivo è stato qualificato come violazione dell’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ. e cioè come violazione di legge, mentre invece, dallo svolgimento delle ragioni della censura, è evidente che il motivo in esame è riferibile all’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., avendo l’Agenzia delle entrate inteso censurare la sentenza della CTR, per non avere essa preso in considerazione alcuni elementi di fatto, dai quali avrebbe potuto desumersi che il contribuente R.G.P., pur formalmente residente in Svizzera, fosse in realtà residente in Italia;
che secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 26310 del 2017; Cass. n. 4036 del 2014) l’erronea intitolazione di un motivo di ricorso per cassazione non impedisce il suo inquadramento in una delle altre ipotesi contemplate dall’art. 360 comma 1 cod. proc. civ., né determina l’inammissibilità del ricorso, qualora, come nel caso in esame, dall’esplicazione del motivo sia chiaramente evincibile il tipo di vizio denunciato; che la riformulazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito nella legge n. 134 del 2012, applicabile al caso di specie ratione temporis, deve interpretarsi, alla luce dei canoni ermeneutici fissati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, si che attualmente sono denunciabili in cassazione solo le anomalie di così grave entità da tramutarsi in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto riferibili alla mancanza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e dette anomalie devono consistere in un’assoluta insufficienza della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico; ovvero in una motivazione apparente;
ovvero in una motivazione in cui sia ravvisabile un contrasto irriducibile fra affermazioni fra di loro inconciliabili; ovvero in una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi pertanto escludere la rilevabilità del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr., in termini, Cass. n. 1364 del 2018);
che, nella specie, la sentenza impugnata non è censurabile sotto l’aspetto anzidetto, in quanto in essa è ravvisabile la valutazione di una serie di elementi, dai quali la CTR ha tratto la convinzione che il contribuente, per l’anno d’imposta oggetto dell’accertamento (2008) risiedesse effettivamente in Svizzera, si che le argomentazioni contrarie addotte dall’Agenzia delle entrate costituiscono in realtà vere e proprie valutazioni di merito alternative, come tali inibite nella presente sede di legittimità;
che anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, al limite dell’inammissibilità; che anche detto motivo è stato erroneamente qualificato come violazione dell’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ. (nullità della sentenza o del procedimento), mentre invece, dallo svolgimento delle ragioni della censura, emerge che anch’essa è riconducibile all’art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., avendo l’Agenzia delle entrate inteso censurare la sentenza della CTR, per avere essa valorizzato elementi di fatto, i quali non erano di tale evidenza da consentire l’accoglimento del ricorso del contribuente; che, in particolare, secondo l’Agenzia delle entrate, la CTR aveva ritenuto che il contribuente avesse la residenza effettiva in Svizzera e non in Italia, affidandosi ad elementi di fatto inconsistenti e non risolutivi; tuttavia, dall’esame dei fascicoli di merito, acquisiti al presente giudizio, emerge che sono stati correttamente valorizzati dai giudici di merito elementi, quali la concessione al contribuente della cittadinanza elvetica, la quale, seppur avvenuta nel 2009 e quindi nell’anno successivo a quello cui si riferiva l’accertamento impugnato (2008), presupponeva tuttavia la dimostrazione di una residenza continuativa del contribuente in Svizzera per un periodo di anni 12; che è pertanto da ritenere che l’Agenzia ricorrente abbia in realtà sollecitato a questa Corte valutazioni alternative di merito inibite nella presente sede di legittimità; che pertanto il ricorso in esame va rigettato, con condanna dell’Agenzia delle entrate ricorrente al pagamento delle spese processuali, quantificate come in dispositivo; che, risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, trattandosi di amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115;
che, stante l’esito del presente giudizio, è da ritenere assorbito l’appello incidentale condizionato proposto dal contribuente;
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, quantificate in € 12.000,00, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dal contribuente.
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