CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2018, n. 14398
Licenziamento – Difetto di forma scritta – Dirigente – Modifiche organizzative aziendali – Accertamento
Rilevato
che con sentenza in data 6 giugno 2016, la Corte d’appello di Roma dichiarava ingiustificato il licenziamento intimato il 5 (verbalmente) e il 6 marzo 2007 (con telegramma) da A. Aeronautica s.p.a. (ora A. Aermacchi s.p.a. per incorporazione in essa della predetta) al proprio dirigente P. R. e la condannava al pagamento, in suo favore a titolo di indennità supplementare, della somma di € 311.535,00, oltre accessori dal licenziamento: così parzialmente riformando (in accoglimento parziale dell’appello del lavoratore, nel resto rigettato) la sentenza di primo grado, che ne aveva invece respinto integralmente le domande di: a) accertamento di ingiustificatezza del licenziamento e condanna della datrice al pagamento della somma di € 777.865,25, a titolo di relativa indennità nella misura massima prevista dal CCNL ovvero b) qualora dovuto a riorganizzazione, di € 424.290,12, per indennità prevista dall’accordo sindacale del 27 aprile 1995; ovvero c) delle somme indicate in ricorso, qualora il licenziamento ritenuto efficace ma sospeso dalla malattia (per frattura del trochite omerale associata a grave lesione della cuffia dei rotatori della spalla sinistra, a seguito di infortunio occorsogli il 2 marzo 2007, comunicato con certificati medici del 5 e 6 marzo 2007 inviati il 6 marzo 2007) o d) delle diverse somme, sempre indicate in ricorso (anche a titolo di stock options, auto ad uso promiscuo, spese di trasloco, polizza infortuni individuale sottoscritta, indennità di trasferta), qualora non sospeso dalla malattia; ovvero e) di accertamento di inefficacia, in difetto di forma scritta e di conseguente sussistenza attuale del rapporto, nonché di condanna della società datrice alle somme indicate in ricorso, calcolate fino al 31 dicembre 2010;
che avverso la sentenza Leonardo s.p.a. (nuova denominazione di Finmeccanica s.p.a. incorporante A. Aermacchi s.p.a., a seguito di sua scissione parziale) ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso, contenente ricorso incidentale con quattro motivi, ci cui uno condizionato, cui la società replicava con controricorso;
che entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
Considerato
che la ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di ultrapetizione della sentenza per avere pronunciato, in assenza di domanda del dirigente ricorrente, limitata all’insussistenza delle modifiche organizzative aziendali, anche sulla violazione degli obblighi assunti dalla datrice con le lettere del 28 maggio 2004 (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 c.c., per erronea interpretazione dell’accordo del 28 maggio 2004 tra le parti, senza rispetto del tenore letterale e della comune intenzione delle parti, nel senso di un impegno datoriale assoluto, di assicurazione al proprio dirigente rientrato dall’aspettativa di una posizione equiparata alla precedente, anche qualora inesistente addirittura creandola: così travalicando ogni ragionevole tutela ottenibile dal predetto, superiore ad un obbligo di repechage neppure previsto per i dirigenti (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 c.c., per erronea interpretazione del principio di correttezza e buona fede, dilatato ben oltre l’esclusione di pretestuosità della riorganizzazione aziendale e di assenza di posizioni vacanti (verificate anche dalla Corte territoriale) fino ad un obbligo datoriale di modificazione della propria organizzazione aziendale per la ricollocazione del proprio dirigente, con interferenza inammissibile con l’insindacabilità delle scelte imprenditoriali, garantita dal rispetto dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.) (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 19, quindicesimo comma CCNL di categoria, per la non spettanza dell’indennità supplementare attribuita in base all’art. 22 (richiamato erroneamente in luogo di quello correttamente denunciato) del CCNL di categoria sul presupposto della giustificatezza del motivo (quarto motivo);
che a propria volta il lavoratore controricorrente, in via di ricorso incidentale, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2110 c.c., 11 CCNL Dirigenti Industria del 24 novembre 2004, per erronea esclusione della sospensione del licenziamento per malattia, pur sulla base di un’asserita incertezza della sua effettività e della data di sua insorgenza, sulle essenziali ragioni di omissione di presentazione dal dirigente del certificato medico del 2 marzo 2004 e di richiesta dal medesimo di un periodo di malattia, in difetto di una valutazione della documentazione medica (primo motivo);
nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo, per omessa pronuncia sulle domande (di rideterminazione dell’indennità sostitutiva del preavviso del ricalcolo delle ferie, del T.f.r. e delle altre competenze di fine rapporto, di ulteriori conseguenze contributive e previdenziali) economiche consequenziali alla determinazione della RAL nella retribuzione mensile di € 20.769,00 dovuta al dirigente (secondo motivo); nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo, per omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento dell’importo di € 124.070,00 a titolo di MBO per l’anno 2007, nonostante la specifica formulazione di un motivo di appello avverso l’erroneo rigetto della domanda dal Tribunale (terzo motivo); omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e controverso tra le parti in riferimento ai fatti storici, relativi alla ravvisata indisponibilità delle posizioni rivestite da Romagnoli al momento del suo rientro in azienda e al comportamento tenuto dalla società datrice, dalla trattativa volta a indurre il dirigente a recarsi a lavorare in Germania fino alla sua prima richiesta di rientro in Italia, in quanto non correttamente valutati, neppure nella loro concatenazione temporale, a fini di accertamento di ingiustificatezza del licenziamento (quarto motivo condizionato);
che il collegio ritiene che il primo motivo principale sia infondato;
che non sussiste un vizio di ultrapetizione (neppure correttamente denunciato alla stregua di error in procedendo: Cass. 18 maggio 2012, n. 87871; Cass. 12 gennaio 2016, n. 329), ricorrente solo allorquando il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto o comunque emetta una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda; non ostando invece a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa, alla stregua delle risultanze istruttorie, autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass. 20 giugno 2008, n. 16809; Cass. 4 febbraio 2016, n. 2209);
che nel caso di specie, la Corte capitolina ha reso una pronuncia pienamente corrispondente alla domanda di ingiustificatezza proposta dal dirigente, posto che nella sua causa petendi essa includeva, oltre all’allegazione di esistenza della posizione dal medesimo già a suo tempo rivestita o comunque di altre equivalenti al momento del suo rientro in Italia al fine della sua ricollocazione in azienda, anche la deduzione “dell’impegno assunto dalla società nella lettera di distaccocome risulta dall’esposizione delle ragioni del ricorso introduttivo del lavoratore illustrata dalla società (al secondo capoverso di pg. 3 del suo ricorso), pure oggetto di motivo di gravame (come esposto dalla Corte capitolina al quarto capoverso di pg. 3 della sentenza);
che il secondo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono pure infondati;
che giova premettere come l’accordo tra le parti, la cui interpretazione è riservata al giudice di merito, sia tuttavia sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo di controllo della violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale ovvero dell’esistenza di vizio di motivazione (Cass. 2 marzo 2004, n. 4261; Cass. 7 settembre 2005, n. 17817; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22889; Cass. 18 aprile 2008, n. 10218; Cass. 4 maggio 2009, n. 10232), sia pure nei più rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis;
che pertanto il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito: afferendo invece il controllo di legittimità alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta; non investendo una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice di merito, con la conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale da questo operata, che in essa si traduca (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 18 novembre 2005, n. 24461);
che la parte ricorrente ha correttamente denunciato la violazione dei criteri interpretativi secondo l’intenzione delle parti (art. 1362 c.c.) e secondo il canone di buona fede (art. 1366 c.c.), anche in riferimento ai più generali obblighi di correttezza e buona fede, non per richiamo generico, ma specificandoli in concreto in una con il modo con cui il giudice del merito se ne sia discostato, pure assolvendo all’onere di specificità, sotto il profilo di rispetto del principio di autosufficienza, con la trascrizione degli specifici obblighi, individuativi dell’effettiva volontà della società datrice, contenuti nelle lettere di impegni del 28 maggio 2004 (sub note 1 e 2 di pg. 5 del ricorso), pure indicate nella sede di produzione in giudizio, così da consentire a questa Corte di verificarne l’applicazione (Cass. 28 luglio 2005, n. 15798; Cass. 15 novembre 2013, n. 25728);
che deve essere rispettata la prevalenza, nella gerarchia dei criteri interpretativi, del canone ermeneutico dell’art. 1362, primo e secondo comma c.c., rivelando nel caso di specie con chiarezza ed univocità la volontà comune delle parti, così da non residuare ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei Q contraenti (Cass. 15 luglio 2016, n. 14432; Cass. 21 agosto 2013, n. 19357; Cass. 28 agosto 2007, n. 18180);
che appare infatti chiara la volontà della società datrice, al termine del periodo di distacco in Germania per l’incarico propostogli e già concordando un tempo di rientro (“A. Aeronautica S.p.a. Le consentirà, trascorsi 24 mesi dall’inizio del periodo di aspettativa, di rientrare in servizio e di riprendere il rapporto di lavoro con la stessa, laddove Ella lo richieda”), di ricollocare il proprio dirigente nella stessa posizione in precedenza ricoperta (“Al suo rientro verrà reinserito presso la sede di Roma per ricoprire un incarico equivalente a quello espletato fino a che non è stato posto in regime di aspettativa”);
che bene la Corte territoriale ha interpretato il suindicato impegno della società datrice, in esatta applicazione del canone ermeneutico infondatamente denunciato, nel senso, nonostante la verificata indisponibilità delle posizioni occupate prima dell’aspettativa (per soppressione della figura di Advisor e attribuzione ad altro dirigente di quella di Direttore delle Vendite Internazionali: al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), di un obbligo incondizionato di attivazione nella collocazione del dirigente in posizione equivalente a quella ricoperta in passato, “eventualmente anche adottando le necessarie modifiche organizzative” (così ai due ultimi capoversi di pg. 7 della sentenza);
che una tale interpretazione è pure coerente con il canone ermeneutico sussidiario di buona fede (art. 1366 c.c.), che va evidentemente riferito all’affidamento suscitato dalla società, con l’impegno contratto nei suoi confronti, presso il dirigente, al momento dell’accettazione del temporaneo incarico all’estero, di una sicura ricollocazione in una posizione professionale equivalente al rientro in Italia e poi tradito con il licenziamento per l’indisponibilità, a tale momento, di posizioni equivalenti; che né l’interpretazione secondo il detto canone, né il più generale richiamo ai principi di correttezza e buona fede, possono essere riferiti, come invece secondo la ricorrente, ai principi regolanti la giustificatezza del licenziamento del dirigente, di rilevanza di qualsiasi motivo che lo sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, nella sufficienza di una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (Cass. 17 marzo 2014, n. 6110): non necessariamente coincidenti con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, per il coordinamento del principio di correttezza e buona fede, parametro di commisurazione della legittimità del licenziamento, con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. 8 marzo 2012, n. 3628; Cass. 20 giugno 2016, n. 12668);
che una tale interpretazione non tiene affatto conto degli obblighi datoriali, assunti con lettera 28 maggio 2004, i quali costituiscono elemento di integrazione della stessa causa del contratto, con l’inserzione di un obbligo di facere quale quello sopra illustrato, comportante un’evidente limitazione in via convenzionale del potere di recesso datoriale;
che il quarto motivo è assorbito dal rigetto dei due precedenti, essendo formulato sul presupposto della giustificatezza del licenziamento;
che il primo motivo incidentale è inammissibile, per difetto di interesse a seguito del rigetto dei superiori motivi del ricorso principale;
che il secondo motivo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione, sono infondati;
che non sussiste, infatti, l’omessa pronuncia denunciata, avendo la Corte territoriale pronunciato su tutte le voci retributive richieste dal lavoratore, rigettando “gli ulteriori motivi di censura relativi alle voci retributive richieste in primo grado e non accolte dal Tribunale” (così al secondo capoverso di pg. 8 della sentenza) che il quarto motivo incidentale condizionato è infine assorbito dal rigetto del ricorso principale;
che pertanto il ricorso principale deve essere rigettato e così pure i primi tre motivi del ricorso incidentale, con assorbimento del quarto condizionato, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti, in misura della metà e la regolazione della metà residua, secondo il criterio di soccombenza prevalente;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e i primi tre motivi del ricorso incidentale, assorbito il quarto condizionato; compensa tra le parti le spese del giudizio in misura della metà e condanna la ricorrente principale alla rifusione, in favore del lavoratore, della metà residua, che liquida in € 100,00 per esborsi e € 5.000,00 (liquidato l’intero in € 10.000,00) per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale , a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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