CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 giugno 2020, n. 10786

Esposizione all’amianto per un periodo ultradecennale – Uso continuativo di guanti protettivi ed altri strumenti di protezione individuale contenenti amianto – Coefficienti di esposizione all’amianto riferibili a mansioni che il ricorrente non aveva concretamente svolto

Rilevato che

1. A.A. agiva nei confronti dell’INPS per il riconoscimento della maggiorazione contributiva di cui all’art. 13, comma 8, legge n. 257 del 1992, assumendo di essere stato esposto all’amianto in misura non inferiore ai limiti di legge per un periodo ultradecennale successivo al 31 dicembre 1992, nello svolgimento della sua attività lavorativa presso lo stabilimento della T. Alluminium s.p.a. di Torino. Deduceva che, quanto al periodo lavorativo dal 10 ottobre 1986 al 31 dicembre 1992, l’INPS aveva già riconosciuto la sua esposizione qualificata all’amianto.

2. Il Giudice adito, sulla base della c.t.u. disposta, escludeva che il ricorrente avesse subito, nel periodo successivo al 1992, un’esposizione significativa, non inferiore al limite di legge per otto ore giornaliere. In particolare, osservava che il ricorrente non aveva svolto funzioni di manutentore bensì quelle di caposquadra, per cui i calcoli di esposizione riferiti ad una serie di mansioni non afferenti alla qualifica e ai compiti da lui effettivamente svolti non potevano essere presi in considerazione. Il Giudice adito aggiungeva che il C.t.u. aveva risposto in modo preciso e puntuale alle critiche formulate dal Consulente tecnico di parte ricorrente.

3. La Corte di appello di Torino, con sentenza n. 81/2014, rigettava l’appello di A.A., confermando la sentenza del Tribunale di Alba.

Ribadiva che nel periodo dedotto in giudizio le mansioni svolte dall’appellante non erano quelle di manutentore, ma quelle di capo squadra e poi capo U.T.E. e che pertanto non erano applicabili i coefficienti di esposizione all’amianto riferibili a mansioni che il ricorrente non aveva concretamente svolto.

In merito all’uso di guanti e di grembiuli in amianto che, secondo l’appellante, sarebbero stati costantemente indossati, rilevava la Corte non era stato provato che tale utilizzo fosse stato necessitato e continuativo e neppure che detti mezzi di protezione fossero in amianto.

Quanto al mancato utilizzo del c.d. algoritmo Amyant, lamentato all’appellante, osservava che il C.t.u. aveva esaurientemente spiegato che tale algoritmo non è altro che uno strumento di calcolo, per cui il risultato non dipende dall’utilizzo di esso, bensì dai dati che vengono elaborati, e che non era stato spiegato per quali ragioni mediante tale strumento si sarebbe pervenuti a risultati sostanzialmente diversi da quelli elaborati dal C.t.u..

4. Per la cassazione di tale sentenza A.A. ha proposto ricorso affidato ad otto motivi, seguiti da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

5. L’INPS ha resistito con controricorso.

Considerato che

1. Il primo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 5 cod. proc. civ. e dell’art. 119 disp. att. cod. proc. civ., in quanto la copia autentica rilasciata a parte ricorrente non risulta sottoscritta dal Presidente estensore.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché dell’art. 13 legge n. 257 del 1992, degli artt. 24 e 111 Cost., dell’art. 6 CEDU e dell’art. 47 Carta di Nizza (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.), censurando la sentenza per: a) omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello in cui si era sostenuto che la manipolazione diretta di materiali in amianto e l’utilizzo di guanti e grembiuli in amianto erano circostanze non specificamente contestate da parte dell’INPS in primo grado e che le medesime circostanze avevano trovato conferma nell’escussione dei testimoni, le cui dichiarazioni non erano state contestate; tali fatti dovevano considerarsi pacifici e non poteva essere assunto a fondamento della decisione il contrario avviso espresso dal C.t.u.; b) omessa pronuncia sulle richieste istruttorie contenute nell’atto di appello.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU, e art. 47 Carta di Nizza, in combinato disposto con l’art. 13 comma 8, legge 257/92 e degli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91 (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) per avere la Corte d’appello fondato la decisione su valutazioni del tutto personali del C.t.u., il quale aveva sostenuto che nell’area siderurgica a caldo dello stabilimento in questione le mansioni svolte dal ricorrente non richiedevano l’uso di guanti in amianto e che comunque non vi era prova della presenza di tale materiale nei guanti protettivi, mentre i testimoni avevano sostenuto il contrario.

4. Il quarto motivo denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti e difetto di motivazione ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ. (ad .360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.), violazione e falsa applicazione degli artt. 132 n. 4 cod. proc. civ. e 111 Cost. (art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.). Si percorrono le risultanze della prova testimoniale per assumere che era stato dedotto e dimostrato l’utilizzo di guanti e di dispositivi di protezione individuale in amianto e altresì per dedurre che l’esposizione qualificata ritenuta sussistente fino al dicembre 1992 doveva ritenersi comprovata anche per il periodo successivo.

5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., dell’art. 13 comma 8 legge n. 257 del 1992 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) in relazione al principio di non contestazione. Si ribadisce che l’INPS, nel costituirsi in giudizio in primo grado, non aveva contestato specificamente che il ricorrente, nello svolgimento delle sue mansioni, avesse utilizzato guanti e altri dispositivi di protezione individuali in amianto, che si rendevano necessari per l’alta temperatura nel reparto a caldo dello stabilimento siderurgico T., dove veniva realizzata la componentistica metallica per il gruppo F..

6. Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ. dell’art. 257 cod. proc. civ. in combinato disposto con gli artt. 13, comma 8, legge n. 257 del 1992, degli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91 (art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ.). Si deduce che il C.t.u. aveva affermato che l’amianto non sarebbe riconoscibile a vista, svalutando la portata probatoria delle dichiarazioni rese dai testi. La Corte territoriale aveva così fondato le sue conclusioni sulla base di un giudizio che il C.t.u. non poteva esprimere. Ove poi vi fosse stata incertezza probatoria, sarebbe stato necessario ammettere un supplemento istruttorio.

7. Il settimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., dell’art. 191 e ss. cod. proc. civ. in combinato disposto con gli artt. 13, comma 8, legge n. 257 del 1992, degli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per non avere la Corte di appello chiarito i motivi per i quali aveva disatteso le richieste istruttorie formulate dal ricorrente in primo grado e reiterate in appello, tendenti a dimostrare l’effettività e la continuità dell’uso di guanti di amianto.

8. L’ottavo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., dell’art. 191 e ss. cod. proc. civ. in combinato disposto con gli artt. 13, comma 8, legge n. 257 del 1992, degli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.). Si assume che la c.t.u. può costituire oggetto di valutazione da parte del giudice di legittimità in caso di devianza dai canoni della letteratura scientifica e nel caso in esame il C.t.u. si era dissociato dal Database Amyant/Inail e dall’algoritmo di calcolo dell’ente tedesco Berufgenossenchaften.

9. Le censure mosse alla sentenza impugnata non possono trovare accoglimento.

10. Quanto al primo motivo, l’eccezione di nullità della sentenza per omessa sottoscrizione da parte del giudice che l’ha redatta è palesemente destituita di fondamento, in quanto a margine di tutte le pagine della copia telematica della sentenza impugnata si rileva la stampigliatura da cui risulta il nominativo del magistrato estensore che ha apposto la firma in modalità telematica.

10.1. La sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e recante firma digitale dello stesso, a norma dell’art. 15 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, non è nulla per mancanza di sottoscrizione poiché è garantita l’identificabilità dell’autore, l’integrità del documento e l’immodificabilità del provvedimento, se non dal suo autore. La firma digitale è equiparata alla sottoscrizione autografa in base ai principi del d.lgs. n. 82 del 2005, resi applicabili al processo civile dall’art. 4 del d.l. n. 193 del 2009, convertito dalla I. n. 24 del 2010, “ratione temporis” applicabile (Cass. 22871 del 2015; v. pure Cass. n. 21285 del 2015).

10.2. Si è osservato che “la firma digitale è definita dall’art. 1 lett. s) C.A.D. come «un particolare tipo di firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici».

Per tali sue caratteristiche, la firma digitale, per un verso, manca di autografia, per altro verso, non è nemmeno riproducibile su un supporto analogico. Essa non è costituita, a differenza della firma convenzionale, da un segno grafico vergato sul documento di pugno dell’autore, ma da una serie di informazioni digitali unite al documento, ed è apposta dal giudice mediante l’inserimento della sua personale “smart-card” e digitazione del ‘in” (codice alfanumerico personale). L’apposizione della firma digitale ad opera del giudice è desumibile grazie alla coccarda ed alla stringa grafica che compaiono su ciascuna delle pagine del file di copia della sentenza (il cui originale è archiviato all’interno del sistema). La coccarda e la stringa sono automaticamente inserite nella copia del documento informatico dal software in dotazione all’ufficio giudiziario al fine di dare la rappresentazione dell’apposizione della firma digitale. Dalle specifiche tecniche di cui sopra si desume, inoltre, che l’atto del processo redatto in formato elettronico dal magistrato in tanto può essere depositato telematicamente nel fascicolo informatico in quanto sia stato previamente «sottoscritto con firma digitale» (Cass. n. 22871 del 2015 cit., in motivazione).

11. Il secondo motivo vede su presunte violazioni processuali riconducibili all’omessa pronuncia su specifici motivi di appello, che tuttavia non sono stati trascritti nel ricorso.

11.1. La Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa;

tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, in esatto adempimento degli oneri di cui all’art. 366 cod. proc. civ., tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 2771 del 2017, n. 1170 del 2004). In particolare, dalla sentenza di appello non risulta che fosse stata denunciata, con specifico motivo di gravame, la violazione del principio di non contestazione.

12. Il terzo motivo, in parte connesso al secondo, vede sulla violazione dei diritti difensivi derivanti dall’avere la Corte di appello accreditato alcuni giudizi di inferenza probatoria espressi dal C.t.u. (e che invece spettava al giudice di esprimere) circa il difetto di prova sul fatto che il ricorrente avesse usato continuativamente guanti protettivi e altri strumenti di protezione individuale contenenti amianto con esposizione qualificata, ai fini del riconoscimento del superamento della soglia anche nel periodo durante il quale prestò la propria attività con mansioni di capo-squadra.

12.1. Anche per tale motivo si omette la trascrizione dei passi della relazione peritale nei quali sarebbero state formulate le presunte indebite valutazioni esulanti dall’incarico conferito e comunque non di spettanza del consulente.

13. Il quarto motivo involge un inammissibile riesame dell’accertamento di merito e in particolare mette in discussione la scelta delle fonti di prova e la prevalenza data all’una o all’altra fonte.

13.1. Costituisce principio consolidato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

13.2. Inoltre, anche in questo caso, per potere ritenere il malgoverno delle prove in relazione alla fonte prescelta (nel caso in esame, la c.t.u.), occorrerebbe la trascrizione, almeno nelle parti salienti, della relazione tecnica d’ufficio e del giudizio espresso dal C.t.u., mentre risultano riportate solo le conclusioni.

14. Il ricorrente richiama Cass. n. 9205 del 2014 che ha cassato una sentenza del giudice di merito in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in quanto basata su una adesione acritica della tesi del C.t.u. negando il raggiungimento della prova dell’esposizione ad amianto, pur in presenza di ulteriori elementi che avrebbero dovuto indurre ad ulteriori accertamenti. Tuttavia, non può trarsi alcuna conseguenza da tale pronuncia che ha ritenuto non adeguatamente motivata la decisione del giudice di merito in quel particolare giudizio.

14.1. Giova comunque osservare che ogni censura che attenga a presunte violazioni dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. sono inammissibili in presenza di c.d. doppia conforme. Poiché il ricorso in appello risulta essere stato depositato il 25 luglio 2013, opera la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, previsione che trova applicazione agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv. in I. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dopo 1 1 11 settembre 2012.

15. Il quinto motivo è inammissibile. L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto “contestato” uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione ed al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa “non contestazione”, diventa inammissibile (Cass. n. 27490 del 2019, 4249 del 2012).

15.1. Nel caso in esame, il giudice di primo grado diede ingresso alla prova testimoniale e dispose l’espletamento di una c.t.u. per la verifica della effettività della esposizione qualificata all’amianto anche nel periodo successivo al 1992, ritenendo evidentemente contestati i fatti che l’attuale ricorrente ritiene invece che non lo fossero. La censura è inammissibile alla stregua del principio sopra richiamato.

16. Anche il sesto motivo è inammissibile. La consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito. Questi può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente) (Cass. n. 3717 del 2019).

16.1. Nel caso in esame, non è stato chiarito dal ricorrente per cassazione – che ne aveva l’onere – quale fosse il quesito sottoposto al C.t.u. per stabilire l’ampiezza dell’accertamento e delle indagini demandata dal giudice di merito. L’assunto di avere esorbitato dal mandato conferito è privo di adeguato riscontro nelle allegazioni su cui il ricorso per cassazione si fonda e difetta così di specificità (art. 366 n. 4 e 6 cod. proc. civ.).

17. Il settimo e l’ottavo motivo sono inammissibili. La confutazione delle riserve avanzate dall'(allora) appellante è implicita nel giudizio di piena attendibilità ed esaustività dell’elaborato tecnico che la Corte di merito esprime e giustifica riferendo della correttezza della metodica seguita dall’ausiliare — determinazione del tempo e della consistenza della esposizione all’amianto effettuata – in relazione alle mansioni svolte.

17.1. L’assunto per cui non sarebbe stata seguita correttamente la metodica in uso non è specifico rispetto a quanto affermato nella sentenza impugnata, secondo cui il C.t.u. aveva spiegato come dipendesse dai dati inseriti la diversità del risultato rispetto a quanto auspicato dal ricorrente e l’appellante non avesse chiarito in quale modo, applicando al metodo Amyant i dati relativi all’esposizione ritenuti dal Consulente d’ufficio, i risultati così ottenuti sarebbero stati difformi da quelli di cui alla relazione peritale.

18. In definitiva, le censure che vengono addebitate alla sentenza impugnata si risolvono, per la gran parte, nella messa in discussione dell’operato e delle conclusioni del C.t.u., in critiche strumentali a una revisione del merito del convincimento del giudice (che quelle conclusioni ha fatto proprie) e, per ciò stesso, devono ritenersi inammissibili, in quanto incompatibili con il sindacato di (sola) legittimità proprio del giudizio di cassazione.

19. Il ricorso va dunque rigettato. Quanto alle spese, poiché non vi è prova dei presupposti reddituali per l’esonero di cui all’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., va applicata la regola della soccombenza, con conseguente condanna di parte ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

19.1. Nulla va disposto quanto alle spese nei confronti degli “avv.ti B.F. e C.M.”, difensori dell’INPS in grado di appello, che risultano indicati nell’intestazione del ricorso per cassazione come parti del giudizio, ma che – all’evidenza – non sono tali, in quanto soggetti non interessati in alcun modo dall’impugnazione, e la cui indicazione quali contraddittori deve ritenersi inammissibile, se non frutto di errore materiale.

20. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 1.500,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.