CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2018, n. 24616
Professionisti – Dottore commercialista – Pensione di vecchiaia anticipata – Accesso – Requisiti – Calcolo delle anzianità contributive
Ritenuto che
con la sentenza n. 784/2012 la Corte d’Appello di Ancona rigettava l’appello proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC) avverso la pronuncia che aveva accolto la domanda di C.A. condannandola al pagamento dei ratei maturati e maturandi, con relativi accessori, della pensione di vecchiaia anticipata, ai sensi dell’articolo 14 del Regolamento di disciplina con decorrenza 1/7/2006, sulla base della quota di pensione annua retributiva di Euro 32.266,70, in accoglimento della domanda intesa ad ottenere che il calcolo delle anzianità contributive sino al 31/12/2003, fosse effettuato, previa disapplicazione delle disposizioni del Regolamento di disciplina approvato con D.I. 14/7/2004, sulla base della previgente disciplina ex articoli 2 e 15 legge n. 21/1986 e 3 del Regolamento di disciplina delle funzioni di previdenza, utilizzando quale reddito di riferimento la media di quelli dichiarati nei 15 anni, piuttosto che nei 20 anni, anteriori alla maturazione del diritto a pensione;
a fondamento della pronuncia la Corte richiamava la sentenza n. 8847/2011 con cui questa Corte di Cassazione aveva affermato che il d.lgs. 509/1994 e l’art. 3, comma 12 della I. 335/1995, pur avendo conferito alla Cassa poteri riguardanti i criteri di determinazione della misura del trattamento pensionistico (salvo il pro rata), non avevano attribuito alla stessa Cassa il potere di incidere sulla disciplina contributiva e delle prestazioni e pertanto sui requisiti per l’accesso alle pensioni, salvo i poteri già previsti in base alla normativa preesistente;
avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la CNPADC affidando le proprie censure a quattro motivi, ai quali resiste A.C. con controricorso; le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
con il primo motivo la CNPADC lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’articolo 3, comma 12 della legge 335/95 che nella sua previgente formulazione prevedeva il diritto delle Casse di stabilire diverse determinazioni dei trattamenti pensionistici;
con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli articoli 2, 3, 35 e 38 comma 2 Cost. perché l’interpretazione accolta dalla Corte di Appello non consentiva alla Cassa di adeguare i requisiti di accesso alle pensioni per far fronte a situazioni di crisi e di aggiustare il tiro allo scopo di garantire la tenuta finanziaria del sistema,violando così il principio di solidarietà e di eguaglianza, in quanto poneva gli effetti della riforma solo sui giovani iscritti;
con il terzo motivo lamenta violazione falsa e applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’articolo 3 comma 12 legge n. 335/1995 con riferimento al calcolo della quota reddituale;
con il quarto motivo lamenta violazione falsa e applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’articolo 1 comma 763 ultimo periodo legge 296/2006 che ha definitivamente riconosciuto l’autonomia normativa delle Casse privatizzate;
i motivi di ricorso, i quali possono essere esaminati unitariamente per la connessione che li correla, sono infondati;
sotto il profilo fattuale è pacifico che il controricorrente ha maturato il diritto a pensione con decorrenza dal 1° luglio del 2006, quindi prima del 2007;
occorre quindi applicare la giurisprudenza di questa Corte (cfr. n. 20235/2010, n. 13607/2012, n. 14/2015) secondo cui sono illegittime le deliberazioni adottate nel tempo dagli enti privatizzati di cui al d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, con le quali sono state introdotte modifiche in peius in materia di accesso a pensione o criteri di calcolo meno favorevoli per l’assicurato; in particolare, secondo quanto osservato con la sentenza n. 25212 del 30/11/2009, gli enti previdenziali privatizzati (nella specie, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti) non possono adottare – in funzione dell’obbiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità della gestione – atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano una trattenuta (nella specie, un contributo di solidarietà) su un trattamento che sia già determinato in base ai criteri ad esso applicabili, dovendosi ritenere tali atti incompatibili con il rispetto del principio del “pro rata” – che è stabilito in relazione “alle anzianità già maturate”, le quali concorrono a determinare il trattamento medesimo – e lesivi dell’affidamento dell’assicurato a conseguire una pensione di consistenza proporzionale alla quantità dei contributi versati;
è stato inoltre ribadito (sentenza n. 8847 del 18/04/2011) che sulla violazione della regola del “pro rata” di cui all’art. 3, comma 12, legge 8 agosto 1995, n. 335, non può rilevare, in senso contrario, il disposto dell’art. 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il quale va interpretato nel senso che la disposta salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al d. lgs. 30 giugno 1994, n. 509 ed approvati dai Ministeri vigilanti, non vale a sanare la illegittimità dei provvedimenti adottati in violazione della precedente legge vigente al momento della loro emanazione;
tali orientamenti sono stati poi confermati dalle Sez. Unite con le pronunce nn. 17742/2015 e 18136/2015, le quali hanno disatteso tutte le censure, anche a carattere costituzionale, pure qui sollevate, con le quali si sostiene la legittimità dei provvedimenti adottati dalla Cassa e la sanatoria per effetto dell’art. 1 comma 763 della legge 296/2006; si è affermato al contrario che in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994, per i trattamenti maturati prima del 1° gennaio 2007 il parametro di riferimento è costituito dal regime originario dell’art. 3, comma 12, della I. n. 335 del 1995, sicché non trovano applicazione le modifiche “in peius” per gli assicurati introdotte da atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell’attenuazione del principio del “pro rata”
per effetto della riformulazione disposta dall’art. 1, comma 763, della I. n. 296 del 2006, come interpretata dall’art. 1, comma 488, della I. n. 147 del 2013.;
si tratta di pronunce fondate su argomenti a carattere generale che valgono anche per le modifiche in peius (introdotte con il nuovo “Regolamento di disciplina del regime previdenziale”, approvato con Decreto interministeriale 14 luglio 2004 ed applicato a decorrere dall’1 gennaio 2005) che hanno aggravato i requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso a pensione; modifiche che non possono perciò trovare applicazione al caso di specie;
il ricorso deve, pertanto, essere respinto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali liquidate in € 5200, di cui € 5000 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
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