CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 dicembre 2021, n. 38723
Tributi – IMU – Agevolazioni per abitazione principale – Coppia di coniugi non separata legalmente, ma con due distinte residenze anagrafiche in Comuni limitrofi – Fruizione dei benefici per entrambi gli immobili – Illegittimità – Condotta “elusiva”
Rilevato che
Con avviso di accertamento in rettifica, in data 15/12/2014, la società di riscossione R. a r.l. contestava alla contribuente Sig.ra C.M. il parziale versamento dell’IMU relativamente all’anno di imposta 2012 in riferimento all’immobile di sua proprietà sito in Francavilla al Mare (Ch) alla Via G. n. (..), rideterminando le imposte dovute ed irrogando le sanzioni per un importo totale di € 941,00 (di cui € 691,00 per la maggiore imposta, €. 207,30 per sanzioni, €. 32,73 per interessi ed €. 10,00 per spese di notifica).
All’esito di richiesta di autotutela, rigettata dalla R. srl, la contribuente proponeva ricorso avverso il citato avviso di accertamento deducendo di avere legittimamente applicato il regime fiscalmente previsto per l’abitazione principale (aliquota dello 0,4%), avendo ivi stabilito la propria residenza anagrafica e dimora abituale sin dall’anno 2006.
La CTP di Chieti con sentenza n. 815/2015, accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente e annullava l’avviso di accertamento impugnato. Ricorreva in appello la R. srl, che insisteva nel sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato.
La CTR di Pescara con sentenza n. 921/17, accoglieva l’appello con condanna alle spese di ogni fase del giudizio.
In particolare, la CTR affermava che, ai sensi del secondo comma dell’art. 8 D.lvo n. 504/1992, per abitazione principale doveva intendersi quella nella quale il contribuente, che la possedeva a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari, dimoravano abitualmente. Pertanto, ai fini della spettanza della detrazione e dell’applicabilità dell’aliquota ridotta, non era sufficiente che il contribuente dimorasse nell’unità immobiliare se – come doveva ritenersi pacifico nel caso di specie – il coniuge ed alcuni figli della coppia V./C. (come affermato espressamente nelle controdeduzioni del 27-9-2017) dimoravano altrove.
I giudici di appello evidenziavano l’intento elusivo, in quanto la C. non aveva affatto dimostrato quale imprescindibile necessità l’avesse costretta ad allontanarsi dall’abitazione familiare sita in Chieti per emigrare (unitamente al figlio P.V., come confermato espressamente nelle controdeduzioni del 27-9-2017), nell’abitazione di Francavilla al Mare.
In buona sostanza, secondo la CTR si era realizzata l’usuale condotta “elusiva” di una famiglia proprietaria di due abitazioni – site in Comuni limitrofi, uno dei quali abitualmente località di villeggiatura, che aveva posto in essere condotte finalizzate a beneficiare di una minore imposizione fiscale, tentando di far apparire entrambe le abitazioni come “prima casa” di ognuno dei coniugi.
Avverso la su indicata sentenza proponeva ricorso la C. sulla base di due motivi.
La R. srl. si costituiva con controricorso.
Considerato che
Con la prima censura si lamenta la violazione di legge e/o falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. n. 504/92 e dell’art. 13 secondo comma D.L. 201/2011 (convertito in Legge n. 44/2012), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3), c.pc. nonché nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360 primo comma n. 4), c.p.c. ovvero violazione e/o falsa applicazione di legge dell’art. 132 n. 4 c. p. c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3), c.p.c. e violazione e/o falsa applicazione di legge degli artt. 91 e 92c.p. c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3), c.p.c.
La seconda censura deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art 2697 c. c. e dell’art 116 c. p. c., nonché dell’art. 13 secondo comma D. L. 201/2011 (convertito in Legge n. 44/2012), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3), c.p.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 primo comma n. 5), c.p.c.
Ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata è costruita su di una unica premessa che, essendo del tutto erronea, travolgeva anche la motivazione che la sorreggeva. Invero, il Giudice del gravame avrebbe errato nell’applicazione della normativa, relativa all’ICI (art.8 D.Lgs n. 504/92), rispetto al caso concreto che concerneva, invece, un avviso di accertamento relativo all’IMU, specificamente regolata e disciplinata dall’art. 13 D.L. n. 201/2011 (conv. in legge n. 44/2012).
Conseguentemente, dall’erroneità della premessa, discendevano conseguenze incongruenti ed illogiche e la motivazione della sentenza risultava viziata da errori logici e giuridici manifesti ed invalidanti.
Il ricorso è infondato.
Come di recente statuito da questa Corte (che si è pronunciata in procedimento in cui era parte l’odierna resistente R. srl.), la pretesa tributaria si fonda sul fatto che, nel periodo d’imposta, la contribuente ed il suo coniuge risiedevano in comuni diversi (Cass. n.28534/2020).
Secondo la Corte, pertanto, “nel caso in cui il soggetto passivo dell’ICI sia coniugato, ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni dell’imposta previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo dall’art. 8 d.lgs. n. 504/1992, non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, atteso che, considerato che l’art. 144 cod. civ. prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia (Cass. n. 18096 del 2019).
Pertanto, ai fini della spettanza della detrazione prevista, per le abitazioni principali (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica), dall’art. 8 d.lgs. n. 504/1992, occorre che il contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo e non della di lui moglie (Cass. n. 15444 del 2017; n. 4166/2020). Occorre quindi, la necessità della sussistenza del requisito della dimora e quello della residenza anagrafica, non solo del possessore dell’immobile ma anche del suo nucleo familiare. Il concetto di «abitazione principale» richiama quello tradizionale di «residenza della famiglia».
Nel caso di specie, trattandosi di una coppia di coniugi non separata legalmente, ma con due distinte residenze anagrafiche, consentire il godimento di tale esenzione, comporterebbe la possibilità per lo stesso nucleo familiare di usufruire di una doppia esenzione per una doppia abitazione principale. Infatti, come indicato in ricorso il coniuge della ricorrente (V.) risiedeva nel comune di Chieti, laddove la C. risiedeva, come dedotto dall’anno 2006, nel Comune di Francavilla al Mare. Non può quindi condividersi la tesi, proposta dalla ricorrente secondo cui ogni coniuge, anche non legalmente separato, possa avere una propria “abitazione principale”.
Il ricorso va pertanto respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 450,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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