CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 giugno 2018, n. 14570
Tributi – Accertamento – Notificazione – Paesi a fiscalità privilegiata – Operazioni commerciali
Rilevato che
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 235/66/09, pronunciata in data 15.6.2009 e depositata in data 21.12.2009, con la quale – in controversia concernente avviso di accertamento notificato alla S.A. (…) s.r.l. a titolo di IRPEG ed IRAP dovute per l’anno di imposta 2002 per recupero di costi ritenuti indeducibili ai sensi dell’art. 76, commi 7-bis e 7-ter, t.u.i.r. (vecchia numerazione, ora art. 110, commi 10 e 11), in quanto relativi ad operazioni poste in essere con paese a fiscalità privilegiata (c.d. paesi black list: nella specie, Emirati Arabi Uniti) e non separatamente indicati in dichiarazione – sono stati accolti, previa riunione, gli appelli proposti dal legale rappresentante della contribuente e, parzialmente, dalla società stessa, con applicazione della sanzione pecuniaria derivante dalla sopravvenuta disciplina di cui all’art. 1, commi 301, 302 e 303, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Il giudice d’appello, in particolare, riteneva che: a) l’atto impugnato era fondato unicamente sulla omissione della separata indicazione dei costi in dichiarazione, con la conseguenza che, determinando tale irregolarità, alla luce dello ius superveniens sopra citato, soltanto l’obbligo del pagamento di una sanzione e non più l’indeducibilità dei costi, esso non poteva essere utilizzato ai fini della contestazione in giudizio dei presupposti sostanziali della deducibilità, in quanto privo, sul punto, di idonea motivazione; b) era invalida la dichiarazione integrativa presentata dalla società ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, in quanto presentata dopo l’inizio dell’attività di accertamento, della quale la contribuente era stata messa al corrente; c) il regime sanzionatorio applicabile nella specie era quello, più favorevole, introdotto dall’art. 1, commi 302 e 303, della legge n. 296/96; d) con riferimento alla posizione del legale rappresentante della società, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3, comma 2, d.lgs. n. 472/97 e 7, d.l. 30.9.2003, n. 269, conv. in I. 24.11.2003, n. 326, le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio della società dovevano ritenersi a carico esclusivamente di quest’ultima.
La società contribuente è rimasta intimata. Il P.M. ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, viene dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 76, 110 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; 1, comma 301, legge 27 dicembre 2006, n. 296 e 3, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; l’Agenzia ricorrente lamenta, in tale prospettiva, che erroneamente la CTR, in relazione ad una fattispecie verificatasi in data anteriore alla introduzione della legge n. 296/06, ha attribuito efficacia retroattiva alla modifica dell’art. 110 t.u.i.r. operata con l’art. 1, comma 301, legge n. 296/96, in base al quale l’omessa indicazione separata delle spese sostenute per operazioni con imprese aventi sede in Stati inclusi nella lista dei paesi a fiscalità privilegiata (cd. Paesi black list) non determina più l’indeducibilità di tali componenti reddituali, ma soltanto l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
Il motivo è infondato.
Secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. sez. 5, 10/06/2016 n. 11933 e Cass. sez. 5, 28/02/2017, n. 5085), la materia è regolata, per quanto qui di rilievo, dai seguenti principi:
a) dal 1° gennaio 2007, i commi 301 e 302 dell’art. 1, legge n. 296/06 (il primo modificando l’art. 110, commi 10 e 11 — già art. 76, commi 7-bis e 7-ter – del d.P.R. n. 917/86, il secondo mediante l’inserimento del comma 3-bis nell’art. 8 del d.lgs. n. 471/97) hanno mutato la disciplina che sanciva l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata – ove non fosse provato che i contraenti esteri svolgessero effettiva attività commerciale, che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico, che le stesse avessero avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non fossero stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi – degradando la separata indicazione dei costi da presupposto sostanziale della relativa deducibilità ad obbligo di carattere formale, passibile di corrispondente sanzione amministrativa, pari al 10 per cento dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione, da un minimo di € 500,00 a un massimo di € 50.000,00;
b) in ordine al regime transitorio, dettato dal comma 303 dell’art. 1, legge n. 296 cit., anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge sono degradate a violazioni formali e non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi, ma sono soggette alla sanzione proporzionale suddetta, alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, già assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilità) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471/97;
c) tale lettura della disciplina di cui ai commi 301, 302 e 303 dell’art. 1 I. n. 296 cit. – che appare l’unica idonea a garantirne la tenuta sul piano della razionalità – non viola il principio di legalità, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta è, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente (cfr., altresì, Cass. sez. 5, 14/01/2016, n. 6338 e 21/06/2016, n. 6651).
Ne consegue che la disciplina in esame ha, diversamente da quanto ritenuto dall’Agenzia ricorrente, integrale portata retroattiva (esplicitamente sul punto, Cass. Sez. 5, 27/02/2015, n. 4030, Rv. 634885 – 01, secondo cui «in tema di reddito d’impresa, l’abolizione del regime di assoluta indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata – cd. Paesi “black list” -, ove non separatamente indicati nella dichiarazione annuale dei redditi, a seguito della modifica all’art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, apportata dall’art. 1, comma 301, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha integrale portata retroattiva, come può evincersi sia dalla “ratio” della nuova disciplina, che intende contemperare l’interesse del contribuente a poter dedurre i costi effettivamente sostenuti con quello dell’Amministrazione finanziaria ad un efficace controllo, sia dal dato testuale dell’art. 1, comma 303, della legge n. 296 del 2006, che cumula l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, introdotta dall’art. 1, comma 302, della legge n. 296 del 2006, con quella prevista dall’art. 8, comma 1, del medesimo decreto, quest’ultima giustificata solo in ragione dell’estensione della portata retroattiva dell’abolizione del previgente regime d’indeducibilità).
Del resto, occorre riconoscere che il declassamento della condotta prescritta a semplice adempimento formale, determina quale effetto non solo che la fattispecie, In caso di violazione dell’obbligo, non incide più sulla deducibilità dei costi (salva la contestazione della assenza dei presupposti sostanziali descritti nel comma 11 cit.), ma altresì che la stessa, sul piano sanzionatorio, esula dal paradigma dell’infedele dichiarazione, non incidendo più sul calcolo dei componenti di reddito. Ne consegue che l’eventuale persistente applicazione delle sanzioni previste dall’art. 1, comma 2, d.lgs n. 471/97 sarebbe del tutto ingiustificata, oltre che incompatibile con il principio di proporzionalità delle sanzioni tributarie, con particolare riferimento alla necessità di tenere conto della distinzione fra violazioni sostanziali e violazioni meramente formali (principio che ha trovato riconoscimento anche nella giurisprudenza della Corte di giustizia UE: cfr., ad esempio, la sentenza relativa alla causa C-272/13 del 17 luglio 2014).
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 76, 110 t.u.i.r., 1, comma 301, legge n. 296/06 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nel senso che, anche ritenuta l’efficacia retroattiva della modifica dell’art. 110 citato, la CTR non avrebbe potuto ritenere tout court deducibili i costi considerati, disattendendo così la ripresa a tassazione effettuata dall’Ufficio, in assenza di prova, da parte della contribuente, della sussistenza dei requisiti sostanziali richiesti dall’art. 110, comma. 11, cit., ossia che l’impresa estera svolgesse una effettiva attività commerciale, ovvero che l’operazione posta in essere rispondesse ad un effettivo interesse economico ed avesse avuto concreta esecuzione. In tal senso, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’Ufficio non potesse contestare, in sede contenziosa, l’esistenza dei presupposti sostanziali per la deducibilità dei costi in esame poiché la motivazione dell’atto impositivo si fondava esclusivamente sull’omissione della loro separata indicazione in dichiarazione.
Con il terzo motivo, che va esaminato congiuntamente al secondo, in quanto strettamente connesso, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 76, 110 t.u.i.r., 1 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471; 1, commi 302 e 303, legge n. 296/06 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. con particolare riferimento all’applicazione retroattiva delle sanzioni introdotte dall’art. 1, commi 302 e 303 cit.
Deduce in tal senso l’Agenzia che la contribuente, dopo l’entrata in vigore della legge n. 296/06, avrebbe potuto vedersi irrogare in giudizio, in luogo della sanzione di cui all’art. 1 d.lgs. n. 471/97, le sanzioni meno afflittive introdotte dalla citata legge soltanto fornendo in giudizio la prova di cui all’art. 110, comma 11, primo periodo, t.u.i.r., circa la sussistenza dei presupposti sostanziali della deducibilità dei costi derivanti dalle operazioni con imprese appartenenti a Paesi c.d. black list; e ciò anche in caso di , mancata contestazione da parte dell’Ufficio di tali requisiti nell’avviso di p- accertamento.
I predetti motivi sono infondati.
Premesso che la motivazione dell’avviso impugnato è chiaramente basata – come ritenuto dalla CTR e come risulta dal tenore testuale dell’atto, riportato in ricorso – sul profilo formale costituito dalla mancata separata indicazione dei costi nella dichiarazione della contribuente, va ribadito che costituisce principio generale del diritto tributario quello secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario – che (anche se con sue specifiche caratteristiche) è, pur sempre, giudizio d’impugnazione di atti -, al fine di mettere il contribuente in grado di conoscere fan ed il quantum della pretesa fiscale e di approntare una idonea difesa; ne consegue che l’ufficio non può, in sede contenziosa, porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle specificamente definite nella motivazione dell’atto stesso (tra le più recenti, Cass. sez. 5, 21/01/2016, n. 11934; Cass. sez. 5, 18/03/2014, n. 9810; 02/07/2014, n. 22003; 14/01/2016, n. 6103).
Nella materia in esame, inoltre, la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di osservare che l’inderogabilità della specifica contestazione della mancanza dei requisiti sostanziali di deducibilità dei costi è rafforzata dalla previsione (contenuta nell’art. 110, comma 11, cit.) secondo cui “l’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove” della sussistenza dei detti requisiti (e la omissione di tale avviso determina l’illegittimità dell’atto impositivo per violazione del contraddittorio procedimentale: Cass. 10/06/2015, n. 20033).
Da tale premessa discende dunque che, in presenza di avviso di accertamento contemplante la sola violazione formale della mancata indicazione separata dei costi derivanti dalle operazioni con imprese non residenti in territori con regime fiscale agevolato, l’ambito del giudizio non può estendersi alle ulteriori violazioni, di carattere sostanziale, sulle quali soltanto interferiscono l’operatività dei contraenti esteri e l’effettività delle operazioni.
In tale prospettiva, va, altresì, osservato che tale criterio – anche per le fondamentali funzioni di garanzia che, sul piano del diritto di difesa del contribuente, la motivazione dell’atto impositivo assolve nell’ambito dell’ordinamento tributario – non può ritenersi derogato dalla previsione dell’art. 1, coma 303, legge n. 296/06, laddove subordina l’applicazione retroattiva della disposizione del precedente comma 302 alla prova di cui all’art. 110 comma 11, primo periodo, t.u.i.r.; previsione che d’altro canto, per parte sua, intende solo ribadire che la degradazione da presupposto d’indeducibilità a violazione amministrativamente sanzionata, attuata dalla disciplina sopravvenuta, riguarda solo il profilo formale della violazione, consistente nella mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione (cfr. Cass. sez. 5, 14/01/2016, n. 6103).
Occorre, pertanto, concludere che nella specie, poiché la contestazione contenuta nell’avviso di accertamento riguardava esclusivamente il profilo formale della mancata separata indicazione dei costi in dichiarazione, senza alcun accenno alla loro sostanziale indeducibilità, la società contribuente non era tenuta a svolgere attività probatoria sul punto, al fine di ottenere l’applicabilità retroattiva della modifica dell’art. 110, commi 10 e 11, del t.u.i.r.
Con il quarto motivo di ricorso, l’Agenzia deduce insufficiente motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel senso che, ove la decisione impugnata andasse interpretata nel senso che, ad avviso della CTR, l’avviso di accertamento conteneva una vera e propria ammissione da parte dell’Ufficio circa la sussistenza dei requisiti sostanziali di deducibilità dei costi in esame – anziché la semplice non contestazione tali elementi, ritenendosi assorbente la mancanza di separata indicazione dei costi -, la stessa decisione sarebbe incorsa nel denunciato vizio motivazionale su fatto decisivo, in quanto gli elementi indicati, valutati alla stregua di criteri di normalità, ragionevolezza e verosimiglianza, non potrebbero mai condurre a riconoscere l’esistenza di siffatta ammissione.
Il motivo, quand’anche non assorbito da quelli che precedono, risulta manifestamente infondato, in quanto muove da un presupposto – peraltro, formulato in termini meramente possibilistici o ipotetici – che non trova riscontro nella ratio decidendi della sentenza impugnata: essa, infatti, non ha affermato l’esistenza di una vera e propria ammissione da parte dell’Ufficio circa la sussistenza dei presupposti sostanziali per la deducibilità dei costi, trattandosi di circostanza non rilevante ed, ancor meno, decisiva, atteso che era, piuttosto, la mancata contestazione di tali requisiti da parte dell’ufficio nell’ambito della motivazione dell’avviso di accertamento – che, come detto, si fondava esclusivamente sull’omissione della loro separata indicazione in dichiarazione -, a far sì che l’oggetto del giudizio non potesse estendersi alle ulteriori violazioni di carattere sostanziale.
Con il quinto ed il sesto motivo di ricorso, la ricorrente deduce omessa motivazione ex art. 360, comma 1, n, 5 cod. proc. civ. in ordine ai presupposti sostanziali per la deducibilità dei costi e, in ogni caso, per l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio di cui all’art. 1, comma 303, legge 296/06, costituiti dall’effettivo svolgimento da parte dell’impresa estera di una effettiva attività commerciale, ovvero dalla rispondenza dell’operazione posta in essere ad un effettivo interesse economico e dalla sua concreta esecuzione.
Anche tali motivi sono infondati, alla luce di quanto osservato trattando dei precedenti motivi, che si richiama integralmente, non potendo rientrare nel thema decidendum la sussistenza dei presupposti sostanziali per la deducibilità dei costi in esame.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a pronuncia sulle spese, in considerazione del fatto che la società contribuente è rimasta intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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