CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 marzo 2018, n. 5294
Assegno mensile di invalidità civile – Incollocazione al lavoro – Nozione – Iscrizione nell’elenco dei disabili ex art. 8 della L. n. 68/1999 – Necessità
Ritenuto
che con sentenza n. 4977/2011, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Tivoli, riconosceva in favore di L.M. l’assegno mensile di invalidità con decorrenza dal dicembre 2005 ritenendo sussistenti i requisiti sanitario e reddituale e, quanto a quello di incollocamento, che lo stesso fosse stato idoneamente provato, avendo l’assistita superato il 60^ anno di età e non essendo più in età lavorativa, con la certificazione dell’Agenzia delle Entrate che attestava l’inesistenza di redditi denunciati tra il 2004 ed il 2007;
che avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’I.N.P.S. affidato ad un motivo cui resiste L.M. con controricorso e con memoria datata 6 novembre 2017;
Considerato
Che con l’unico motivo proposto l’I.N.P.S. denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13, degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 dolendosi del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente il requisito della inoccupazione limitandosi a richiamare il certificato dell’Agenzia delle Entrate (evidenziante l’insussistenza di redditi denunciati negli anni 2004-2007) e rilevando che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, nel periodo di tempo intercorrente tra il cinquantacinquesimo anno di età ed il sessantacinquesimo, l’invalida è comunque tenuta a provare il suo stato di incollocazione, elemento costitutivo della prestazione, seppure ricorrendo a presunzioni; che il motivo di ricorso è manifestamente fondato, posto che successivamente alle modifiche introdotte dalla L. n. 68 del 1999, e prima dell’entrata in vigore della modifiche apportate alla L. n. 118 del 1971, art. 13, (per effetto dell’entrata in vigore della L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35), la ricorrente invalida al 74% che abbia compiuto il sessantesimo anno di età, ma non ancora il sessantacinquesimo, è tenuta a dimostrare il proprio stato di incollocamento offrendo la prova dell’iscrizione nell’elenco dei disabili di cui alla L. n. 68 del 1999, o, almeno, di aver presentato la domanda di iscrizione, e di non aver conseguito un’occupazione in mansioni compatibili;
che la L. n. 68 del 1999, art. 1, comma 1, non prevede più il limite dei cinquantacinque anni ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale, in quanto non fa riferimento all’età pensionabile (diversificata tra gli uomini e le donne secondo quanto indicato nella tabella A allegata al D.Lgs. n. 503 del 1992) bensì all’età lavorativa, che i precetti costituzionali di cui all’art. 3 Cost., e all’art. 37 Cost., comma 1, non consentono di regolare per la donna in modo difforme da quello previsto per gli uomini, e che, giusta il disposto del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 2, deve ritenersi fissata, per entrambi i sessi, a 65 anni (Cass. 29 marzo 2012, n. 5085; Cass. n. 9155/2012; Cass. n. 5082/2015; Cass. n. 11582/2015) che ha enunciato il seguente principio di diritto cui va data continuità:
– con riguardo al regime anteriore a quello del nuovo testo della L. n. 118 del 1971, art. 13, introdotto con la L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, in materia di diritto all’assegno mensile di invalidità, nella vigenza della L. n. 68 del 1999, deve ritenersi incollocato al lavoro l’invalido che, uomo o donna, essendo in età lavorativa per non avere ancora compiuto il sessantacinquesimo anno di età ed essendo iscritto (o avendo presentato domanda d’iscrizione) nell’elenco dei disabili di cui alla L. n. 68 del 1999, non abbia conseguito un’occupazione in mansioni compatibili;
– solo con la modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, infatti, il requisito occupazionale è cambiato e non si richiede più la incollocazione al lavoro, ma semplicemente lo stato di inoccupazione, in quanto la legge individua il requisito in questi termini: disabili che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussistono e tra i due concetti vi è una differenza, perché il disabile incollocato al lavoro non è semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi speciali per l’avviamento al lavoro ed ha cioè attivato il meccanismo per l’assunzione obbligatoria;
– la normativa dettata dalla L. n. 482 del 1968, è stata totalmente modificata dalla L. n. 68 del 1999 la quale richiede per l’iscrizione negli elenchi (L. n. 68 del 1999, ex art. 8), diversamente da quanto era previsto in precedenza (presentazione di una domanda munita della necessaria documentazione attestante la sussistenza dei requisiti secondo l’interpretazione datane da Cass. Sez. un. del 10 gennaio 1992, n. 203), l’avvenuto esperimento di una fase preliminare volta all’accertamento dei requisiti sanitari previsti dall’art. 1, comma 1, (minorazioni che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, o situazioni analoghe previste dalle ulteriori lettere del medesimo articolo);
– per espressa previsione dell’art. 1, comma 4, il diritto ad accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili (e quindi la possibilità di fare la domanda di iscrizione nelle liste) sorge solo dopo l’accertamento dei requisiti sanitari su indicati ad opera delle commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4;
– questa fase è stata pertanto definita rigorosamente propedeutica (Cass. 12 giugno 2012, n. 9502) e se non viene esaurita, se la riduzione della capacità lavorativa non è stata accertata (L. n. 68 del 1999, art. 1, commi 1 e 4) il disabile non può chiedere l’iscrizione nelle liste. E la legge non fissa termini alla commissione medica per il suo espletamento. Poiché non sono fissati termini perché la commissione impieghi accerti che il disabile presenta i requisiti sanitari per l’iscrizione negli elenchi e sino a quel momento il disabile non ha diritto di proporre la domanda per essere iscritto negli elenchi, perché quel diritto nasce solo a seguito dell’accertamento positivo della commissione ed una domanda quando l’accertamento ancora non è stato effettuato sarebbe inutile per il disabile e dannosa per l’amministrazione, che dovrebbe esaminare e congelare istanze in parte destinate a non avere seguito, al fine di dare alla disciplina una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme al disposto dell’art. 38 Cost., seguendo l’insegnamento del giudice delle leggi (cfr. Corte cost., sentenza n. 483 del 1995), si è ritenuto che, ai fini della sussistenza del requisito dell’incollocazione al lavoro, è sufficiente la prova della richiesta (non di iscrizione negli elenchi, ma anche solo) di essere sottoposto agli accertamenti medici da parte delle commissioni previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4 (che, nel sistema della L. n. 68 del 1999, sono condizione necessaria per poter chiedere l’iscrizione negli elenchi) (Cass. 9502/2012 cit.);
– inoltre, il disabile dovrà comunque fornire anche la prova di non aver lavorato in quel periodo e tale prova, in giudizio, potrà essere data con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni. L’unico limite è costituito dal fatto che non potrà essere fornita con una mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale. Ciò anche dopo la novella introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, che non ha introdotto alcuna deroga circa la rilevanza di dichiarazioni di questo genere solo nell’ambito amministrativo ed ha lasciato, quindi, impregiudicati i principi sulla prova operanti nei giudizi civili (cfr. Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 11 febbraio 2011, n. 3552; 28 agosto 2013, n. 19833; 3 marzo 2014, n. 4942);
che conseguentemente il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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