CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 dicembre 2020, n. 27931
Esposizione qualificata all’amianto – Mancato riconoscimento del diritto alla rivalutazione del periodo contributivo – Riconoscimento del danno patrimoniale e non – Pregiudizi carenti di allegazione e di prova
Rilevato che
la Corte d’appello di Potenza, in riforma delle decisioni di primo grado, che avevano parzialmente accolto le domande avanzate da G.P., V.N. ed U.M. nei confronti dell’INPS volte al riconoscimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente al mancato riconoscimento del diritto alla rivalutazione del periodo contributivo a seguito di esposizione qualificata all’amianto, riunite le impugnazioni, ha accolto in parte gli appelli principali proposti dall’INPS ed ha ritenuto assorbiti quelli incidentali proposti dai lavoratori che riguardavano la concreta liquidazione del danno;
ha evidenziato la Corte territoriale essere pacifica ed obiettiva la circostanza della richiesta di collocamento in pensione datata 29/06/2007 e del riconoscimento della stessa a decorrere dall’1/10/2007, prima finestra utile ritenendo altresì che la domanda giudiziale avesse natura sostanzialmente risarcitoria e che i pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale lamentati in giudizio fossero carenti perfino di compiuta allegazione, prima ancora che di prova ad esclusione dei profili di danno relativi alla mancata fruizione del bonus previsto dall’art. 1, comma 12, I. n. 243/2004 per i lavoratori che pur avendo maturato i requisiti per la pensione di anzianità fossero rimasti in servizio;
la cassazione della sentenza è domandata da G.P., U.M. e V.N. sulla base di tre motivi;
resiste, con controricorso, l’INPS;
entrambe le parti hanno depositato memorie;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione di norme di diritto nonché omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in particolare relativamente al mancato diritto al riconoscimento del danno patrimoniale;
con il secondo motivo si censura ancora la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 nonché omessa insufficiente contraddittoria motivazione in relazione al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale;
con il terzo motivo di ricorso si deduce omessa insufficiente contraddittoria motivazione in relazione alla liquidazione del bonus ed alla quantificazione del relativo danno patrimoniale;
i primi due motivi da scrutinarsi congiuntamente per l’intima connessione sono infondati;
questa Corte ha da tempo consolidato il principio (di recente ribadito da Cass. n. 2927 del 7 febbraio 2019; Cass. n. 17708 del 2020; Cass. ) secondo cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (si veda, altresì, Cass. n. 21087 del 2015);
nella specie, quindi, del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che il contenuto sostanziale della pretesa fatta valere dall’odierno ricorrente avesse natura sostanzialmente risarcitoria, come risulta chiaramente anche dal contenuto della stessa come indicato alle pagg. 8 e 9 del ricorso introduttivo della presente fase di legittimità;
i giudici di merito hanno, infatti, ritenuto che il pregiudizio patrimoniale lamentato in giudizio non avesse formato oggetto di compiuta allegazione e prova: tale affermazione appare corretta, prima ancora che incontestabile in questa sede di legittimità, conclusione che emerge anche da quanto fatto valere nel presente giudizio di cassazione secondo cui il danno patrimoniale, nel caso di specie, sarebbe in qualche modo da considerarsi in re ipsa, discendendo dal mancato godimento della pensione, e dal non aver potuto eventualmente svolgere un’altra attività;
questa Corte ha sempre escluso che una domanda risarcitoria di un danno patrimoniale possa prescindere dall’allegazione e prova del danno sulla scorta della chiara disposizione contenuta nell’art. 1223 c.c.;
giova solo ricordare che la nozione di danno in re ipsa perviene surrettiziamente ad identificare il danno con l’evento ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui ciò che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente precisazione secondo cui un danno punitivo può essere ritenuto compatibile con l’ordinamento vigente solo in caso di sua espressa previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost. (così da ult. Cass. n. 2927/2020 cit., nonché, Cass. n. 31233 del 2018, ove si riviene il richiamo a Cass. S.U. nn. 26972 del 2008 e 16601 del 2017);
alla luce delle suesposte argomentazioni, anche il profilo relativo al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale non può trovare accoglimento;
è opportuno evidenziare, in merito, che nessuna dispensa dall’onere probatorio circa la sussistenza del danno non patrimoniale può ricavarsi da Cass. n. 3023 del 2010 essendosi questa Corte colà pronunciata esclusivamente sull’astratta configurabilità di un danno non patrimoniale alla persona che, a causa del ritardo nella concessione della prestazione pensionistica, non aveva potuto esercitare una legittima scelta di vita, ciò che nella specie non è stato negato in radice, ma semplicemente ritenuto non provato come chiaramente si legge nella sentenza impugnata a pag. 9;
anche il terzo motivo è da rigettare;
lo stesso è formulato deducendo il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., ma tale formulazione non è conforme al contenuto di tale previsione;
occorre rilevare che la sentenza impugnata è stata emessa il 3.2.2015, per cui trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, come riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012);
la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”;
in tal senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’interpretare il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. SU 8053/2014; cfr. anche Cass. 26097/14);
la censura formulata alla stregua dei criteri previsti dalla vecchia norma va quindi considerata inammissibile.
la sentenza impugnata, anche a voler considerare la rappresentazione del motivo alla stregua della vigente formulazione, non soffre di vizio motivazionale sul punto censurato dal momento che ha determinato il danno patrimoniale derivato dalla circostanza che ciascun lavoratore, a causa della condotta dell’INPS, aveva perso la possibilità di fruire del bonus previsto dall’art. 1, co. 12, I. n. 243 del 2004 una volta raggiunta l’anzianità contributiva necessaria per fruire della pensione di anzianità; tale beneficio avrebbe potuto essere fruito dal momento in cui l’interessato avrebbe potuto concretamente fruire della pensione di anzianità (tenendo conto del regime delle cd. finestre) e fintanto che il lavoratore fosse rimasto in servizio dopo tale momento e, nel caso di specie, correttamente si è calcolata la maggior somma – rispetto all’importo della pensione di anzianità oggetto di domanda- che sarebbe stata erogata per tutto il periodo di vigenza del beneficio;
il ricorso, pertanto, va rigettato;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in complessivi euro 3500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 – bis dello stesso articolo 13), se dovuto.
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